di Luca
Rachetta
Edizioni Creativa, 2014
pp. 95
Edizioni Creativa, 2014
pp. 95
Il
nuovo racconto di Luca Rachetta riprende la saga della famiglia Scipioni (romanzo
uscito nel 2009). Riannodando le fila della storia familiare di Giovanni, il
racconto continua la crisi del cinquantenne medio finalmente separatosi dalla
moglie, dal futuro sentimentale ed esistenziale da reinventare.
Docente
in una scuola superiore, Giovanni intraprende una relazione con una collega,
Lauretta, dopo la fine del suo matrimonio con Elsa. I tentativi di tenere
all’oscuro i colleghi della relazione e la stessa vita scolastica vissuta a
fasi alterne contribuiscono ad accrescere una situazione di disagio psicologico
e tragicomica vissuta dal protagonista. Il personaggio riflette talvolta
“sofisticamente”, ed il suo ragionare come accade nel seguente passo quando
riflette sul comportamento del bidello, tende sempre al tentativo di controllo
per via intellettuale di determinati stati d’animo.
A renderlo molesto e
inviso, nonché perturbatore, nelle giornate peggiori, della serena convivenza
in seno all’istituto, erano però le sue baruffe con gli studenti a suo dire
maleducati e irrispettosi, le lamentele coi docenti per il grado di sporcizia
in cui versavano le aule dopo le lezioni, che lo scoraggiava a tal punto da
farlo desistere dal solo tentativo di porre rimedio a tale immonda sozzura, e
infine i suoi pettegolezzi con i genitori riguardanti i vizi dei suoi nemici
del momento.[1]
Le riflessioni
individuali dei componenti della famiglia Scipioni passano da una situazione ad
un’altra, da un dramma ad un altro e scorrono per tutto il romanzo. Per il
fratello maggiore, Antonio, “asociale cronico, misantropo folle, ogni occasione
si rivela buona per declamare il monologo sull’amore”. I motivi intellettuali e
le assurde forme di ragionamento lo portano a considerarsi l’uomo più forte, “l’amore gli consente di creare, sopra
l’epidermide, una scorza coriacea per resistere alle offese della società, agli
insulti del prossimo, alla pochezza della morale corrente”. Impiegato in un
ufficio e legato sentimentalmente ad Adriana, governante, un “po’ avanti con
gli anni, dal fisico tarchiato, un po’ anonima , ma dal comportamento
rassicurante, Antonio diviene la rappresentazione tragicomica della chiarezza e
della “crudeltà” verso se stessi, assomigliante molto al ragionar lirico dei
personaggi di Pirandello.
Il racconto, che rinvia,
in effetti, ad alcune caratterizzazioni pirandelliane dei personaggi,
tratteggiate abilmente dall’autore, è ricco di metafore. I problemi dell’uomo
contemporaneo, del suo essere individuale e in rapporto alla società sono
incarnati perfettamente dalla famiglia Scipioni . I singoli componenti infatti
si muovono all’interno di un puzzle di vita realistico, ma a tratti paradossale
ed in cui i tormenti ed i rovelli dei personaggi fanno ormai parte delle
convenzioni di una società sprofondata in una crisi senza rimedio:
Ragioni per stereotipi:
Paolo l’immaturo, Antonio il matto, che a dire il vero un po’ lo è davvero, Giovanni
l’affidabile. Il problema è che quando ti viene a mancare uno di questi
stereotipi, ad esempio Giovanni felicemente sposato”, vai in tilt e non sai
come regolarti. [2]
Osservati camminare uno
vicino all’altra, Antonio e la sua fidanzata sembravano due clown che
incedevano sulla pista del circo all’inizio di uno spettacolo: simili per un
impaccio e una goffaggine che raccontavano due storie di solitudine e di
emarginazione, eppure diversi nell’espressione del viso, adulterato dall’emozione
quello di Antonio, e camuffato dalla finzione quello di Adriana. Una coppia
comica impegnata a recitare uno spettacolo di cui uno solo, Adriana, conosceva
il canovaccio, mentre l’altro Antonio, seguiva a braccio e si adeguava alle
uscite e alle invenzioni del primo, ben sapendo che il successo della
rappresentazione sarebbe dipeso dalla sua abilità nell’adattarsi e nel
conformarsi alle invenzioni del capocomico.[3]
Giovanni Scipioni è ancora
alle prese con un rapporto difficile con la figlia, e sembra assumersi l’onere
di protettore e consigliere dei fratelli. In ambito lavorativo, l’uomo mal
sopporta l’invadenza dei colleghi e la stessa forma di “controllo” esplicitata
a danno della sua sfera personale.
I personaggi, che si
alternano durante il prosieguo del racconto, sono delineati con ironica ma
lucida obiettività . Il futuro di Giovanni, in particolare, sembra aprire delle
prospettive attuabili solo attraverso una forte opposizione a certi
clientelismi e contrarietà a forme di rassegnazione rispetto ad esempio alle
gerarchie istituzionali, non più tollerabili dal protagonista.
Come per il personaggio
pirandelliano Belluca, è giunto il
momento per Giovanni Scipioni: Il treno
ha fischiato anche per lui
Fu quello il suggello
palese alla rottura tra lo Scipioni e la Dirigente, la ciliegina sulla torta di
una storia nata male e finita ancora peggio.[4]