L'antiesorcista
di Paolo Grugni
Novecento Editore, 2015
pp. 227
€ 9,90
Metto subito le mani avanti: non sono religioso. Né credente né praticante. Non ho nessun sacramento oltre al battesimo, e spesso mi viene la tentazione di "lavare via" anche quello. Non ho mai fatto catechismo. Non vado mai a messa se non ai matrimoni e ai funerali, e in entrambi i casi più o meno con lo stesso spirito (ben poco santo). Non stravedo per papa Francesco, "il papa dellaggente" a capo di una Chiesa che, tolto il sorrisone bonario e accattivante del suo attuale pontefice, sta bene attenta a non schiodarsi dalle posizioni mantenute negli ultimi duecento anni su tutti i temi più scottanti del dibattito pubblico moderno (eutanasia, aborto, matrimoni gay, fecondazione assistita). Per non parlare di quei piccoli fastidiucci delle tasse sui patrimoni immobiliari ecclesiastici. Fino ad arrivare al concetto stesso di Dio che, per come la vedo io, ai fini del naturale sviluppo della vita umana sulla Terra storicamente o quotidianamente intesa, più che indimostrabile è inutile; ragion per cui non ho mai avuto altro dio all'infuori di me. Quanto al problema dell'aldilà, quando si proporrà spero di essere riuscito a togliermi abbastanza sfizi in questo mondo da non dovermi preoccupare troppo di quello che troverò o non troverò nell'altro.
Premesse tanto nobili farebbero di me il lettore ideale de L'antiesorcista, l'ultimo romanzo di Paolo Grugni, che per la veemenza con cui si scaglia contro il Cattolicesimo e le ipocrisie di una Chiesa romana poco santa e molto puttana* sarebbe piaciuto molto al Nietzsche de L'Anticristo. Con la differenza che, nella sua Legge contro il Cristianesimo, Nietzsche si limitava a decretare per i preti il carcere o l'esilio nel deserto; Josh Maine, l'antiesorcista eponimo, preferisce stare più sicuro e sgozzarli con un coltellaccio da pesca. Purtroppo il condizionale è d'obbligo, perché il romanzo di Grugni fallisce il suo duplice obiettivo: impostare una critica "distruttiva" efficace alle magagne intrinseche di Chiesa e religione e costruire una sorta di antieroe in grado di portarci a giustificare l'efferatezza dei mezzi con la superiore dignità del fine.
L'idea di base è anche buona: ribaltando i canoni del genere, Grugni sostiene che a possedere e contaminare le menti degli uomini non sono i dèmoni, ma gli esorcisti. Rappresentanti di una casta ecclesiastica intenzionata a mantenere il dominio sull'inconscio collettivo mondiale contrapponendo paura e superstizione a scienza e logica, gli esorcisti hanno costituito una sorta di "Vaticano dentro il Vaticano", una potentissima associazione segreta chiamata "Rinascita". Presieduta da un Consesso di dodici (come gli apostoli) anziani esorcisti, la Rinascita è in pratica controllata dall'esorcista più temuto di tutti, il malvagio padre Throma, personaggio lussurioso e dispotico deciso a identificare e fermare il misterioso serial killer di esorcisti noto con l'epiteto piuttosto buffo di "Antiesorcista". Una specie di Diabolik del Vaticano che al lettore si rivela da subito come Josh Maine, diplomatico americano di stanza a Roma la cui missione segreta consiste nel rintracciare e uccidere uno per uno i più famosi esorcisti della Rinascita, per porre fine allo sfruttamento della credulità di gente disperata in nome di un'incontenibile sete di potere. Maine conosce bene il vero scopo della Rinascita: dopotutto, anni prima ne faceva parte anche lui.
Una buona idea che però non trova una realizzazione all'altezza. E il primo problema sta proprio nel trattamento del tema di fondo: la critica alla religione come subdolo strumento di un oscurantismo consapevole e premeditato. L'avversione di Maine per il cristianesimo e la Chiesa cattolica è assoluta, totalizzante, non fa prigionieri. Per lui la religione è "un virus", "una tossina"; i Vangeli e tutta quanta la letteratura cristiana sono "carta straccia", un cumulo di sciocchezze inventate a tavolino per indottrinare le masse e dominare il mondo:
Gesù non era mai esistito, era un personaggio fantasy su cui si era costruito un centro di potere e di controllo della credulità popolare. Gesù era il protagonista di favole per bambini, un personaggio mezzo illusionista e mezzo imbonitore di ovvietà spacciate per saggezza, per di più nato da una vergine solo grazie a un errore di traduzione. Non esisteva un solo documento coevo che lo citasse, cosa impossibile per una figura di tale presunta importanza storica. I Vangeli canonici erano stati scritti almeno settanta anni dopo la supposta morte di una leggenda da persone che non potevano essere ovviamente gli apostoli. Carta straccia.
Tutte cose risapute, ma a stupire è il tono di rifiuto radicale di qualsiasi cosa sia mai derivata dal Cristianesimo. A un certo punto Maine si spinge addirittura a giustificare il vandalismo di Laszlo Toth ai danni della Pietà di Michelangelo:
Definito da tutti come uno squilibrato, Toth aveva invece intuito come il culto delle immagini religiose fosse venefico quanto la religione stessa e la loro distruzione un passaggio fondamentale per arrivare a liberarsi dalla più lunga oppressione della Storia.
Un po' estremista, persino per un personaggio la cui missione è l'estirpazione del fanatismo irrazionale. Non c'è da stupirsi che, nella sua inappellabile condanna di qualsiasi fenomeno concreto abbia anche solo lontanamente a che vedere con la religione (quindi anche, appunto, l'arte e la letteratura), un simile atteggiamento determini inevitabilmente la monodimensionalità del personaggio di Josh Maine: che alla fine risulta spigoloso e un po' macchiettistico, con alcune virate intimistiche poco convinte (e in cui comunque riesce sempre a insinuarsi l'astio per la Chiesa: come quando, venendo a conoscenza di rivelazioni sconvolgenti sulla sorella scomparsa venticinque anni prima, Maine riesce a infilare una discussione sullo scandalo di seppellire criminali pluriomicidi in chiesa con la connivenza ecclesiastica). Un antieroe un po' troppo caricato, con il quale è difficile sviluppare empatia.
L'implacabilità cieca non è però il difetto principale di Maine: in fondo è un killer, i killer sono fatti così. Quello che non funziona in lui è semmai la labilità del nesso causa-effetto. Non solo perché, a ben guardare, non si capisce in che modo il massacro sistematico di tutti gli esorcisti italiani dovrebbe porre fine al dominio della Chiesa sul mondo, ma soprattutto perché il suo stesso movente è in sé un po' superficiale. In fondo si riduce tutto a un vago "Dio non esiste, la Chiesa è marcia, togliamoli tutti di mezzo e liberiamoci dalla superstizione". Un po' grezzo, come modus operandi. Una genericità di fondo che spiega anche, forse, perché la guerra di Maine contro le deviazioni manipolatrici di uno spirito religioso ipocrita finisca per tirare dentro anche figure che con la religione non c'entrano proprio niente, come santoni, guaritori, ciarlatani taumaturghi, maghi e imbonitori televisivi di vario genere. Tutta gente che Maine, già che c'è, macella senza pietà, senza fare troppe distinzioni tra loro e gli esorcisti approfittatori.
L'unica distinzione attiva nel romanzo è quella tra buoni (Maine e le sue figure di contorno) e cattivi: questi ultimi caratterizzati, nella loro deviata malvagità, al limite del grottesco. Quelli che non sfoggiano ripugnanti malformazioni fisiche non perdono mai occasione di rendersi odiosi ostentando disprezzo per donne, omosessuali, animali, mostrandosi più interessati agli ortaggi che alla vita delle persone o sfoderando una lussuria da vecchi bavosi che dopo un po' fa quasi sorridere. Come padre Throma, l'arcinemico di Maine, una figura da cui si poteva ricavare molto di più, che invece a un certo punto del romanzo sembra quasi essere stata ripensata in corso d'opera. Throma comincia infatti come personaggio problematico dotato di un'indubbia fede nell'esistenza del diavolo e nella sua missione di esorcista (racconta anche alcune esperienze chiaramente demoniache), poi quasi di punto in bianco si trasforma in un satiro dispotico che convoca donne presuntamente possedute al solo scopo di assistere a spettacolini lesbo-erotici. Un'evoluzione parallela a quella di Mara Aniasi, controfigura narrativa di Sara Tommasi: all'inizio presentata come una pornostar dalla ninfomania del tutto fuori controllo con derive diaboliche ("La voce era distorta, metallica, in arrivo da un gorgo infernale"), da un giorno all'altro Mara si trasforma in una povera ragazza vittima delle manovre del satanasso Throma, di cui desidera solo liberarsi. Insomma, un po' di confusione.
Ne L'odore acido di quei giorni, Paolo Grugni imbastiva una narrazione avvincente che riusciva a mescolare efficacemente noir e racconto della situazione storico-politica dell'Italia del '77. L'intento era capire, non condannare, e il racconto generale ne ricavava un maggior equilibrio anche stilistico. Ne L'antiesorcista, sembra quasi che Josh Maine e il suo autore si siano lasciati prendere eccessivamente la mano dalla volontà di eliminare la religione dalla faccia della terra. Il risultato è un romanzo un po' troppo sopra le righe che poteva avere molte cose giuste da dire, ma ha finito per dirle nel modo sbagliato; con un finale un po' frettoloso che inspiegabilmente accantona il protagonista per delegare ad altri il momento clou della sua storia. Peccato. Del resto, il diavolo si vede nei dettagli. Che ci abbia messo lo zampino lui?
* Non prendetevela con me, che la Chiesa fosse una "casta meretrix" lo diceva Sant'Ambrogio.
Luca Pantarotto
@HoldenCompany