Poetica delle storie perdute e ritrovate: Il ladro di nebbia di Lavinia Petti


Il ladro di nebbia
di Lavinia Petti
Longanesi, 2015
 

pp. 420
€ 14.90 (cartaceo)




Nel capitolo VIII della Poetica, Aristotele, parlando dell’unità d’azione, precisa che per dare coesione al narrato non bisogna concentrarsi su un solo personaggio, dato che non tutte le azioni di un solo personaggio sono, de facto, rilevanti per dare i contorni di una giusta drammaturgia. Nell’Odissea, ad esempio, si può tralasciare di raccontare la finta pazzia di Odisseo, mentre è fondamentale ragionare e parlare intorno alla sfida lanciata dall’itacese al dio Poseidone. 
Nel romanzo Il ladro di nebbia, edito da Longanesi, Lavinia Petti sembra disinteressarsi del precetto aristotelico, alla stregua, né più né meno, di quanto fece, secondo la tradizione orfica, il dio Phanes. Phanes, emerso dall’uovo cosmico deposto da Chronos (il Tempo) e da Ananke (la Necessità) generò tutto quanto, "lo scibile e il non scibile". Poi egli si disinteressò del potere, dato che era “già tutto” e lasciò lo scettro a sua figlia Nyx (la Notte) che poi, a sua volta, lo cedette ad Urano. Lavinia Petti, in una storia che contiene già tutto, appunto si disinteressa di raccontare: semplicemente, come una bambina che vede il padre intagliare la zucca di Halloween nel giardino di un faro alla fine del mondo, sorride e si perde nelle storie. Il ladro di nebbia è un libro di storie perdute e di storie ritrovate.

In una Napoli brumosa e piovosa che ricorda molto da vicino quella tratteggiata nel bellissimo film d’animazione L’Arte della Felicità di Alessandro Rak (e recensito in maniera eccellente dallo youtuber Dario Moccia), Antonio M. Fonte, scrittore di successo “un po’ per caso”, si muove svogliato ascoltando qua e là le esistenze altrui al fine di trovare la giusta fonte d’ispirazione per le proprie di storie, le storie che andranno a comporre i suoi libri. Fonte appare un uomo in perenne bilico tra mondo reale e mondo immaginario che, il più delle volte, si scatena in tutta la sua “surrealtà” quando, alla sera accoccolato sulla sua poltrona preferita e sorseggiando un bicchiere di latte tiepido, accarezza il pelo della sua gatta siamese: “Da lei scaturiscono le storie”. Una vita non ordinaria ma di ordinaria noia sembra profilarsi per il protagonista de Il ladro di nebbia. In realtà, o per meglio dire in finzione (che poi è la stessa cosa), non sarà così. Infatti, per una serie più o meno sfortunata di eventi, Antonio M. Fonte, a partire dal giorno del suo cinquantesimo compleanno, si ritroverà a dover viaggiare attraverso mondi fantastici, in cui non soltanto la realtà è, per così dire, capovolta, ma dove lo sono anche le storie stesse che invece di essere create dal nulla, come quando si è davanti ad un foglio bianco, debbono essere “ritrovate dal tutto”, neppure si fosse lo svogliato dio Phanes.

Petti scrive il suo romanzo usando un linguaggio colloquiale e mettendo in piedi un universo che ha la stessa consistenza dei videogiochi su cui intere generazioni hanno speso i propri pomeriggi. Videogiochi però che, invece di essere giocati con un semplice joystick, vengono direttamente interpretati dalle proprie gambe, come quando da ragazzi si giocava a nascondino nei boschi dietro casa. Sono mondi molto affascinanti e ben tratteggiati, da Vanesia, il regno delle illusioni, a Nechnaebel, il regno delle occasioni perse, attraversando città oceaniche e caotiche come Balàl sino ad arrivare alla Casa sulla collina, dove dorme il passato che si è voluto sotterrarare.

Si è molto parlato di questo romanzo, affermando che sia il primo esempio, almeno in Italia, di urban-fantasy, da parte di un’esponente di quella generazione, chiamata “Harry Potter – generation”, che appunto dai libri di J. K. Rowling ha tratto la sua linfa vitale. Diciamo che, come tutte le definizioni che vogliono ridurre una creazione artistica ad una corrente “giovanile”, si tratta di una definizione riduttiva per una scrittrice che riesce letteralmente a far scaturire un mondo, anzi “infiniti mondi” come scrisse a suo tempo Giordano Bruno, dalla sua penna. Una penna feconda, che non si perde in “infiniti fronzoli” ma che riesce invece a tenere attaccato il lettore alla storia, leggera e appassionante come una serie tv da “popcorn e risate” e pesante e struggente come un film “d’autore su cui ragionare e piangere tutta la notte”.

La storia d’amore (che sia reale, immaginaria oppure “scritta a tavolino” ha poca importanza a questo punto) con Genève Poitier, la ragazza “dai capelli verdi” conosciuta una sera del 1990 su un ponte di Ginevra durante la “Festa dell’Acqua” mentre suonava “lo strumento del diavolo” ovvero un’armonica di bicchieri, ragazza appunto conosciuta sotto le stelle e mai dimenticata lungo i giorni dallo scrittore, è giocata su sentimenti molto forti affrontati con una penna molto lieve. Un amore che si snoda lungo mondi improbabili, con arresti improvvisi, ripartenze sbagliate e addii così struggenti che fanno contorcere le budella neppure si stesse ascoltando le note degli The Smiths nella loro  Please, Please, Please, Let Me Get What I Want (versione uscita come b-side il 24 agosto 1984  per le Rough Trade Records). Petti comunque non è mai patetica, o per lo meno non lo è nel senso corrente, semmai è molto più vicina al valore classico/epico del termine: lei è simpatica, nel senso che “sa condividere il dolore con gli altri”.

Quindi in questo Il ladro di nebbia, tra padri fantasma, conti vampiri, madri troppo brave a ballare per passare una vita sulle punte, pittori che passano ad imbrattare di bianco le proprie tele, amori infranti come i cristalli di un bicchiere che cade e città immortali che sorgono dalle brume della (in)coscienza, nasce una grande storia per un grande romanzo contemporaneo italiano, che non ha niente da invidiare a omologhi stranieri (ammesso e non concesso ve ne possano essere in giro per il mondo), uscito per Longanesi e destinato ad essere ricordato. Oppure destinato anche ad essere dimenticato, tanto ci saranno sempre scrittori, ballerini, pittori e sognatori che s’inventeranno universi paralleli dove andare a ritrovare il tempo, così come le storie.



Mattia Nesto