di Paolo Grugni
Laurana, 2011
pp. 288
€ 16,50
Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta l'Italia è stata in guerra. Una guerra senza nome: non la troverete nella classica scansione cronologica degli eventi bellici del nostro bellissimo e orribile Paese. Per non concederle ufficialità, si è preferito ricorrere alla più generica etichetta di "Anni di piombo", efficace, sì, nell'idea di definire un certo periodo storico con il nome comunemente associato al metallo delle pallottole. Ma non sufficiente. Una guerra è una guerra, e quella combattuta in Italia in quegli anni fu una guerra civile in piena regola. Attentati, atti dimostrativi, omicidi politici, riunioni clandestine, cospirazioni, trame sovversive, servizi segreti inquinati o deviati, doppio e triplo gioco, logge massoniche (la P2), scontri tra estremismi opposti nell'ideologia (neri e rossi, fascisti e comunisti) ma omologhi nei metodi e negli scopi, la nascita di un Movimento autonomo che vuole porsi come alternativa a tutti (PCI, DC, sindacalismo opportunista) e che perciò tutti ostacolano. Fino all'intervento dell'esercito che, con l'avanzata minacciosa dei carri armati inviati da Cossiga nel marzo del 1977, cala il sipario sugli scontri di Bologna – che ormai, spogliando l'ipocrisia delle parole del loro ultimo velo, sarebbe ora di chiamare con il più veritiero nome di "battaglia di Bologna".
In uno scenario simile L'odore acido di quei giorni, il titolo del romanzo di Paolo Grugni ambientato tra la fine del '76 e il marzo del '77, non è una metafora, un'espressione messa lì a indicare l'amarezza per il naufragio di ideali di rinnovamento sociale manomessi e dirottati da forze politiche, apparati parastatali e "poteri occulti" intenzionati a fare di tutto, ma proprio di tutto, per ostacolare o rallentare il più possibile il sovvertimento dello status quo. Tutt'altro: è una precisa indicazione sensoriale. L'odore di quei giorni, impresso nella memoria olfattiva di chi partecipò, magari su fronti opposti, a manifestazioni, comizi e scontri, è il puzzo acre dei lacrimogeni lanciati da polizia e carabinieri per disperdere la folla prima di cominciare a sparare; è il sapore del sangue che dal naso o dalla fronte spaccati da un colpo di manganello cola a invadere la bocca; l'odore di auto incendiate, molotov, barricate sfondate, sampietrini, proiettili vaganti. È l'odore della paura e della ferocia di uno Stato assediato che, alla resa di fronte alle istanze di cambiamento avanzate da una società stanca e provata, preferisce spingersi sull'orlo dell'autodistruzione.
Il decorso infuocato di quegli ultimi mesi precedenti il marzo '77, con l'incessante litania quotidiana di morti, attentati e comunicati politici, fornisce al romanzo di Grugni il contesto ideale per innestare nella Storia il racconto delle vicende che, suo malgrado, precipitano Alessandro Bellezza in un gorgo di eventi più grandi di lui. Più grandi di chiunque, in effetti. Perché in una società in cui tutti sono in guerra contro tutti, nessuno è davvero chi dice di essere e di nessuno ci si può fidare, all'individuo non resta che smarrirsi di fronte all'indifferenza spietata del Bene Superiore. Senza contare che una società del genere è lo scenario perfetto per un noir.
Alessandro Bellezza vive a Persiceto, vicino a Bologna, ed è un medico. O meglio lo era, prima di essere radiato dall'albo per la sua sospetta vicinanza alle Brigate Rosse. Ora il "chirurgo rosso" perlustra le strade di notte per liberarle dai cadaveri degli animali investiti, frequenta le riunioni di Democrazia Proletaria e cerca di smettere di bere per ottenere il permesso di rivedere i suoi figli, che la madre, andandosene per sempre, ha portato via con sé. Una sera di metà dicembre, tornando a casa nel pieno di una tempesta di neve, Alessandro trova sul ciglio della strada il corpo di una giovane donna. Credendola morta, la carica sul pickup per portarla nel suo ambulatorio e informare i carabinieri. Il giorno dopo però la donna si risveglia; ristabilitasi e recuperata la memoria, condurrà Alessandro sulle tracce di un assassino che ha già ucciso cinque donne e che sembra avere sinistri legami con i fascisti di Ordine Nuovo, scoperchiando la sentìna del terrorismo nero nel cuore dell'Emilia rossa. Quando Alessandro capisce che la storia in cui è piombato è troppo grande per lui ormai c'è dentro fino al collo, e non gli resta che andare fino in fondo. E anche oltre.
Trattandosi di narrativa d'indagine, il romanzo dovrebbe trovare il suo primo livello di lettura nella ricerca dell'assassino da parte dei due protagonisti; tuttavia i progressi di quella sono legati a filo doppio alla comprensione ed evoluzione della strategia della tensione scandita ogni giorno dalla voce di Radio Alice (una delle radio-pirata della sinistra extraparlamentare autonoma fiorite dopo la fine del monopolio statale sull'audiovisivo). Intorno a questi Grugni costruisce la vera e propria impalcatura del racconto, che si regge su una ricerca storica evidentemente accuratissima in grado di mescolare storia politica, fatti di costume e momenti fondamentali nel processo di modernizzazione del Paese, come il passaggio dalla tv in bianco e nero alle trasmissioni a colori della televisione commerciale.
Il quadro che si compone è contraddittorio e complesso come la materia stessa della narrazione: l'Italia ritratta nel romanzo di Grugni è strattonata in un tiro alla fune che la vuole al tempo stesso moderna e conservatrice, propulsiva e statica, rivoluzionaria e sottomessa. Il punto di scambio tra un mondo già finito e un altro non ancora formato. La stessa sensazione che prova Alessandro guardando l'ultima puntata di Carosello, il 1° gennaio del '77:
La sera... guardai l'ultima puntata di Carosello condotta dalla Carrà. Avvertii, con il senso di inquietudine che accompagna le cose che lasci e che sai non ritroverai, la fine di un mondo ingenuo dove serviva investigare su un caso di omicidio per farci sapere quanto era buono un liquore, il capolinea di un mondo dove i bambini sarebbero dovuti andare a letto finita la pubblicità per cui d'ora in poi sarebbero rimasti alzati e un giorno avrebbero ammazzato i genitori, la fine di un mondo disintegrato con la strage di Piazza Fontana ma sopravvissuto a se stesso. Carosello era morto da tempo e stavo assistendo a una messa di suffragio.
Quanto ad Alessandro, è il tipico personaggio da noir (da non confondere con l'hard-boiled, che non c'entra niente). Vita privata e professionale a pezzi, idealismo impenitente, cuore grande, ma soprattutto un'assoluta estraneità alle vicende in cui si trova precipitato a forza, Alessandro Bellezza collabora allo sviluppo delle indagini in costante equilibrio tra la determinazione ad arrivare fino in fondo e l'impulso di scappare il più lontano possibile. Il mondo del terrorismo deviato e dei giochi di potere non è il suo mondo, lo sa benissimo. Da una parte i suoi alleati, dall'altra i suoi nemici;
E io in mezzo a tutti loro, non capivo a fare cosa.
Grazie al filtro del suo sguardo da outsider, il lettore condivide con lui quel sentimento di perplesso stupore necessario a chi scopre da un giorno all'altro l'esistenza di un mondo sotterraneo che determina il corso di buona parte di ciò che accade in superficie, dando al tutto una pienezza di senso abbagliante nella sua aggressività. Ogni passo avanti di Alessandro nell'identificazione del misterioso assassino corrisponde a dieci passi avanti compiuti dal lettore nella presa di coscienza dell'autentica natura del contesto della storia. Un contesto che si muove a una rapidità molto più elevata di quella del racconto stesso, che perciò si trova a sottostare a un ritmo sempre più impellente, sempre più inesorabile, fino alla resa dei conti.
Da buon noir, L'odore acido di quei giorni non ha nulla di consolatorio né di assolutorio. La miglior narrativa d'indagine non commette mai l'errore di peccare di ottimismo, soprattutto quella che si propone di rimestare nel torbido dei misteri d'Italia. Del resto, è la funzione intima della letteratura nera: porsi come l'antitesi della catarsi letteraria, condurci a una comprensione che passa, sì, attraverso la sofferenza, ma senza coincidere necessariamente con la soluzione di tutti gli enigmi o con il miglioramento di noi stessi. Prospettarci un futuro che, come quello intravisto da Alessandro nell'avanzata dei carri armati di Bologna,
non sarebbe mai più stato una promessa ma solo una minaccia.
L'indagine procede abbastanza serrata, e Grugni è abile nel capovolgere lentamente l'immagine di Persiceto da tranquillo paese di provincia a covo di imboscati doppiogiochisti. Lo stile e il lessico sono duri e terragni come dev'essere; niente intermediari retorici ad addolcire la pillola del racconto, frequenti incursioni in quell'ironia sarcastica che da sempre contraddistingue il punto di vista soggettivo delle voci narranti dei noir. Molti picchi di autentico talento, soprattutto nella resa di certe atmosfere o nel tratteggiare alcuni personaggi (come il maresciallo Bertoli). Peccato che l'intento di rendere l'immediatezza del parlato si banalizzi qua e là, soprattutto nei dialoghi, in un colloquialismo un po' sciatto, che stride con una cura del linguaggio mantenuta, nelle parti narrative, generalmente a livelli elevati.
Un romanzo da leggere, e da meditare. Perché l'Italia è un Paese strano, con uno strano concetto di storia. Nel 2015 siamo ancora qui a cercare di capire se il Fascismo sia stato davvero un male o se l'Unità sia stata davvero un bene, e non abbiamo ancora nemmeno cominciato ad aprire gli occhi sui lati oscuri di una storia così recente da essere tanto intimamente connessa, nelle sue cause ultime, a quella che stiamo vivendo oggi. E io credo che sia arrivato il momento di cominciare ad aprirli.
Luca Pantarotto
@HoldenCompany
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