di Lauren Oliver
Safarà Editore, Maggio 2015
traduzione di Martina Lunardelli
pp. 375
€ 18.00
Una delle
etichette in ambito letterario che ancor meno di altre sopporto è quella di
romanzo “young adult”: una categorizzazione evanescente, come lo è il target di
riferimento per pubblicazioni di questo tipo e che in genere difficilmente
attraggono la mia curiosità di lettrice. Non tanto perchè ho superato – ahimè – da qualche anno
il periodo dell’adolescenza e post adolescenza o perchè non sia capace di
provare ancora dopotutto una certa empatia con alcune questioni legate a
quell’età terribile e sfuggente. Ma perchè, molto banalmente, ho sempre ritenuto
che, con le sole eccezioni dei libri per l’infanzia e la manualistica –
quest’ultima per sua natura destinata ad un pubblico decisamente mirato - , un
buon libro è tale proprio quando aspira a rivolgersi ad un pubblico eterogeneo,
libero da vincoli di età, sesso, appartenenza sociale, epoca.. Ovviamente è un
compito arduo e un criterio che personalmente non sono portata ad applicare in
maniera assoluta; un libro poi tocca corde emotive profonde e personali e
spesso è determinante il momento in cui esso capita tra le nostre mani. Eppure,
consapevole dei limiti di questa banalissima osservazione, sono sempre convinta
che un’opera di narrativa che si presenti così vincolata ad un pubblico tanto
definito – e nel caso del romanzo della Oliver, ci tengo già a sottolinearlo,
l’etichetta di young adult coincide perfettamente con il target di lettori cui
è destinato – ne riveli in qualche modo tutte le mancanze, le debolezze. Una
categoria che a volte regala piacevoli sorprese, mentre altre sembra soltanto
seguire le mode letterarie del momento percorrendo – fino allo sfinimento –
strade note e finendo col ripetere schemi che in quel momento sembrano
incontrare l’interesse del pubblico. È stato così per vampiri, licantropi e
demoni vari, cui ha fatto seguito la riscoperta del genere distopico con esiti
non sempre felici, romanzi presto finiti nel dimenticatoio o incapaci di
catturare un pubblico più consapevole ed esigente, rimanendo mera evasione per
un lettore adolescente o pseudo tale. E ancor più delle altre categorie
letterarie anche l’etichetta young adult è labile, dai confini indefiniti,
applicabile a tutto e niente.
Il romanzo
della Oliver in questione, di recente pubblicato in italiano da Safarà Editore,
è invece a mio parere perfettamente etichettabile in questi termini e tutte le
mancanze e i difetti che appaiono dalla lettura sono quegli stessi elementi che
maggiormente mi rendono critica verso tale categoria. Il pubblico di
affezionati lettori – e sono tanti, i romanzi della Oliver compaiono sempre
nella classifica dei best seller del New York Times e quest’ultimo, Vanishing
Girls, è stato uno dei titoli più attesi dello scorso anno – dissentirà con il
mio giudizio ma, per quanto incuriosita dalle premesse che accompagnavano la
pubblicazione italiana di questo romanzo (scelto proprio per inaugurare la
collana giovani adulti della casa editrice indipendente di Pordenone), pagina
dopo pagina ho avvertito sempre più l’incapacità di andare oltre i confini del
genere, la debolezza e prevedibilità della trama e di quel “colpo di scena”
finale che non riesce a sconvolgere davvero.
Al
centro della storia il rapporto complicato tra due sorelle, diversissime eppure
molto legate, Dara e Nick, adolescenti come tante. Tanto una è ribelle,
esagerata, popolare e spavalda, quanto l’altra è il suo opposto, insicura,
riservata, riflessiva e cauta:
È proprio questo che ci caratterizza: siamo simili e al tempo stesso lontane anni luce. Come il sole e la luna, o come una stella marina e una stella: collegate, ovvio, ma allo stesso tempo completamente differenti. E Dara è sempre quella che, tra le due, luccica.
Diverse
e complementari, profondamente legate da qualcosa che va oltre il sangue in un
rapporto che non è sempre facile, fatto di complicità ma anche di ombre,
rivalità, incomprensioni. Finchè tutto si spezza: un terribile incidente cambia
ogni cosa per sempre, fungendo da spartiacque tra la vita di prima e la
devastazione che è il dopo. La bella Dara, che porta i segni di quella notte
sul volto sfregiato, il corpo dolorante di cui non riesce più a fidarsi; così
come non si fida più di Nick, che il trauma lo porta nel cuore, incapace di ricordare
chiaramente che cosa sia successo.
Da dove venivamo? Perchè stavo guidando così velocemente? Come ho fatto a perdere il controllo?
L’incidente era stato rimosso dalla mia memoria, sparito, come se asportato chirurgicamente. Anche i giorni precedenti all’incidente sono persi nel buio, sommersi in una profonda e umida stranezza: ogni tanto una nuova immagine o una nuova figura viene sputata fuori, come qualcosa che riemerge dal fango.
Nick
sa solo che dopo l’incidente ogni cosa è andata in pezzi: la sua famiglia, il
rapporto con il suo migliore amico Parker, ma soprattutto il legame con Dara
che ora è sempre più sfuggente, arrabbiata, solitaria. Dove un tempo c’era
complicità, ora sono porte chiuse, silenzi, segreti e bugie che sembrano
allontanare sempre più le due sorelle. Se la notte dell’incidente è ancora avvolta
nelle tenebre, la stessa esistenza di Dara diventa per Nick sempre più
misteriosa, i suoi comportamenti impossibili da decifrare, mentre i segreti di
una vita conosciuta solo in apparenza dividono sempre più le due sorelle. Se
l’incidente è lo spartiacque tra prima e dopo, si insinua però anche il dubbio
che niente sia davvero come appare, nemmeno in una tranquilla cittadina di
provincia, noiosa e ferma nel tempo dove ragazzine hanno terribili incidenti
nel vecchio parco divertimenti o svaniscono nel nulla, senza lasciare tracce.
La
vita, le persone, sono molto più complicate di quanto ci si aspetti, più
meschine e imperfette:
Dopo tutto questa è la vita: piena di buche e grovigli e punti nei quali bloccarsi. Scomoda e irritante. Un regalo che non avevi mai chiesto, mai voluto e mai scelto. Un regalo che dovrai indossare con eccitazione, giorno dopo giorno, anche quando preferiresti startene nel tuo letto a far nulla.
La verità è questa: non servono particolari requisiti per quasi-morire, e nemmeno per quasi-vivere.
Un
prima e un dopo raccontato dalle voci di Dara e Nick che si alternano,
inframmentate da pagine di diario, articoli di giornale, commenti sui social
network.
Gli
elementi per costruire un romanzo capace di catturare il lettore ci sono, young
adult o meno.
Eppure. È un eppure molto forte, perchè il problema principale di
Ragazze che scompaiono è in quello che manca: l’imprevedibilità della trama, i
colpi di scena realmente sconvolgenti, quella tensione che sia davvero capace
di inchiodare pagina dopo pagina. E un così scarso approfondimento psicologico
dei personaggi, così prevedibili, evanescenti, a tratti caratterizzati ed
immobili. Mancano la tensione, le zone grigie, il coraggio di spiazzare il
lettore. Penso a Gone Girl – L’amore bugiardo, di Gillian Flynn, uno dei pochi
thriller psicologici capaci di catturare perfino la sottoscritta (non proprio
un’amante del genere infatti), grazie ad una narrazione matura e puntuale, alla
complessità psicologica dei suoi protagonisti così umanamente imprevedibili e
complessi, alla tensione crescente e soprattutto alla straordinaria capacità di
suscitare dubbi e riflessioni nel lettore. Interrogativi e spunti che non
mancherebbero nemmeno in Vanishing Girls ma che, in qualche modo, non sono
abbastanza, per una storia che non riesce davvero a decollare, quasi come se
fosse solo un lungo preludio a cui ciò che segue non riesce soddisfare
pienamente le attese del lettore.
Nick, Dara, i segreti e le bugie, un ragazzo
che si mette tra loro, il lato oscuro della provincia americana, sensi di
colpa, incapacità di conoscere davvero una persona anche quando ad essa siamo
legate da un rapporto di sangue: si, gli elementi ci sono tutti, ma troppo superficiale
e cauta l’analisi per lasciare qualcosa che non si perda poco dopo la parola
fine.
di Debora Lambruschini
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