Più o meno dal 2010, anno di uscita per Mondadori, Bianca come il latte Rossa come il sangue (punteggiatura nel titolo non pervenuta, maiuscola mea sponte)
è uno dei bestseller più assegnati e letti dai ragazzi delle scuole. Mi
sono chiesta spesso perché, ma ho sempre avuto troppo poco tempo (e non
lo dico con snobberia ma con sincero rammarico da cacciatrice di casi
editoriali) per procurarmi il libro e leggerlo. Fino a quest'estate.
Complice
un compito assegnato e il desiderio di una studentessa scrupolosa di
imparare a fare l'analisi del testo, mi sono trovata a darle una mano,
fianco a fianco a questo stesso tavolo della foto. Abbiamo scelto di
leggere D'Avenia ad alta voce, per commentare via via la trama, lo
stile, le scelte descrittive,... Peccato solo che il commento sia stato
molto più edulcorato del previsto, ché non potevo certo dirle: "Guarda
qui che furbacchione, il Prof 2.0!".
Sì,
D'Avenia ha trovato un modo tutto suo per farsi amare dagli adolescenti
e, quel che è meglio, per farsi scegliere dai professori come lettura
in classe o per le vacanze.
Innanzitutto, la trama
mette perfettamente d'accordo grandi e pischelli: certo, c'è la rabbia
del giovane protagonista, Leo, che non sa come gestire la gravità della
leucemia che ha colpito la sua Beatrice, amata solo a distanza senza che
lei lo sappia. Ma la rabbia non sfocia mai in reazioni eccessive:
qualche giornata di scuola saltata, qualche parolaccia (mai troppo
forte) in classe, il rischio della bocciatura ma... Leo è un ragazzino
che è semplicemente disabituato a pensare e a rimasticare i fatti della
giornata, intenerisce anche i professori, che si sono sicuramente
misurati, se non immedesimati, col prof del romanzo, soprannominato il
Sognatore, perché persegue l'ideale dell'insegnamento senza mai fare
cenno all'iter angosciante della scuola italiana. Il Sognatore trova il
tempo per fare letture extra, voli pindarici da vero idealista che,
forse, in una scuola reale di muri e cemento susciterebbero qualche
risatina, per non dire peggio. Ma nel romanzo siamo in un liceo
classico: area protetta con specie in estinzione? Ma no, i ragazzi sono
normalissimi, forse Beatrice (che inizia a parlare e ad agire con la sua
stanchezza patologica a metà romanzo) è un po' troppo diafana e
perfetta, ma a farle da contraltare c'è la povera Silvia, la migliore
amica di Leo che - guarda caso - è totalmente innamorata di lui. Il
triangolo amoroso avvince i ragazzi (ho visto lacrime già pronte, di
reale commozione, vi giuro!), perché a chi non è mai capitato di
trovarsi in uno di questi ruoli? L'amore non corrisposto o non
dichiarato è perfetto, e in più ci sono i litigi in casa, dove genitori
fintamente autoritari si aprono a dialoghi edificanti e si trasformano
in modelli di riferimento. E anche la scuola, udite udite!, non è più la
massacrante imposizione di sempre, ma qualcosa per cui vale la pena
faticare.
Una trama perbenista? Forse. Sicuramente efficace per catturare la già scarsa attenzione di tanti giovani lettori.
Poi ci si mette la cascata di similitudini,
visto che usare le metafore è più rischioso. Tutto va spiegato, tutto
va accostato alle stelle, ai fiori, ai sogni,... A me francamente
seccava contare statisticamente 4/5 similitudini a pagina, ma ho
scoperto che piace, e anche tanto! Sarà che persino i Baci Perugina
vanno meno di moda, chissà, per cui certi riusi furbetti della
tradizione letteraria, edulcorati e semplificati, paiono ai ragazzi 2.0
una meraviglia di bravura. C'è tanta di quella letteratura e filosofia
liofilizzata, che potremmo quasi sperare in una sorta di invito alla
lettura.
Su tutto, domina - semplice semplice, quasi da orticaria daltonica (nuova patologia, pardon) - la dicotomia cromatica bianco/rosso,
che riprende il titolo con un andamento martellante. Leo odia il
bianco, lo associa al vuoto e all'assenza; molto meglio il rosso dei
capelli di Beatrice, che rimanda ovviamente alla passione e all'amore
(chissà cosa rivelerebbe una concordanza di questo romanzo?!),...
Insomma, incubi, pensieri, fantasie, ma anche inquietanti coincidenze
fanno sì che i colori la facciano da padroni, con numerosissimi senhal che, più che alludere, paiono cartelli stradali per uno studente alle prese per la prima volta con l'analisi del testo.
Però.
Però per una prima analisi del testo questo romanzo è perfetto. Non è
un'eresia: certo, da prof capiterà forse di annoiarsi un po', davanti
alle melensaggini di Leo e al suo egoismo estremo da adolescente (i
coetanei non lo rilevano, ho notato!). Tuttavia c'è tutto: primi
elementi di figure retoriche (tanto urlati da trascriversi da soli sul
foglio protocollo e far meritare almeno un 6), tematiche ribattute,
facili da individuare perché tornano e si esplicitano a ogni pagina,
dialoghi facili da riassumere e contestualizzare, episodi di passaggio
divertenti che alleggeriscono il peso della malattia mortale.
Viene
da dire: si vede che l'ha scritto un prof. E pure un prof che capisce
parecchio dei suoi ragazzi: ad esempio, sa parlare perfino di religione e
di morte senza annoiarli. O ha capito che basta mettersi al loro
livello per farsi amare. Forse, però, il limite è proprio questo: caro
D'Avenia, io spero che nei tuoi prossimi romanzi (che non ho ancora
letto, ne riparleremo tra qualche compito per le vacanze), tu alzi un
poco l'asticella e richiedi un minimo sforzo ai tuoi lettori. Li
hai ammaliati? Bene, ora che imparino a leggere non solo quel che hai
scritto, ma anche tra le righe.
Forse anch'io sono come il Sognatore: m'illudo ancora che possiamo lottare per far crescere il senso critico.
GMGhioni