Effetto domino
di Romolo Bugaro
Einaudi, 2015
pp. 228
€ 19,50
Nei giorni più intensi della crisi greca ed europea, i commentatori italiani agitavano quotidianamente lo spauracchio del cosiddetto “effetto domino”, per il quale, se fosse crollata la Grecia, l’Italia sarebbe stata la prima a seguirne il destino di rovina. Eppure questa prospettiva, corredata da dati economici e tecnicismi, non riusciva a spaventare in profondità il pubblico italiano, forse solo i più preparati in ambito economico coglievano la portata del pericolo. La distanza tra realtà e percezione cresceva a causa del linguaggio usato: era un linguaggio tecnico-economico, non immediatamente comprensibile e quindi irrimediabilmente distante dalla sfera emotiva di chi leggeva. Non a caso ciò che più colpì l’immaginario collettivo in quei giorni furono due eventi narrati secondo codici completamente diversi dal precedente: l’immagine del pensionato in lacrime davanti alla banca, raccontata attraverso il linguaggio fotografico, e quella di Alexis Tsipras che, esasperato, sbatte la sua giacca alle 4 del mattino sul tavolo del negoziato, percepita come una scena teatrale.
di Romolo Bugaro
Einaudi, 2015
pp. 228
€ 19,50
Nei giorni più intensi della crisi greca ed europea, i commentatori italiani agitavano quotidianamente lo spauracchio del cosiddetto “effetto domino”, per il quale, se fosse crollata la Grecia, l’Italia sarebbe stata la prima a seguirne il destino di rovina. Eppure questa prospettiva, corredata da dati economici e tecnicismi, non riusciva a spaventare in profondità il pubblico italiano, forse solo i più preparati in ambito economico coglievano la portata del pericolo. La distanza tra realtà e percezione cresceva a causa del linguaggio usato: era un linguaggio tecnico-economico, non immediatamente comprensibile e quindi irrimediabilmente distante dalla sfera emotiva di chi leggeva. Non a caso ciò che più colpì l’immaginario collettivo in quei giorni furono due eventi narrati secondo codici completamente diversi dal precedente: l’immagine del pensionato in lacrime davanti alla banca, raccontata attraverso il linguaggio fotografico, e quella di Alexis Tsipras che, esasperato, sbatte la sua giacca alle 4 del mattino sul tavolo del negoziato, percepita come una scena teatrale.
Effetto domino di Romolo Bugaro,
pubblicato da Einaudi, è la storia di un crollo, la descrizione di un effetto
domino che fa cadere una tessera dopo l’altra e in cui, a differenza delle
pagine di giornale, viene narrata la caduta delle singole vite portate a picco
dalla tempesta. L’orizzonte entro il quale si scatena questa tempesta non è la
Grecia, non è l’astratta Europa né l’Italia in generale: siamo nel Nord-Est
italiano, terra ricca di denaro e spirito d’impresa dove non ci si può fermare
perché, come recita l’incipit del romanzo, “fermarsi
voleva dire perdere tutto”. Storia tutta italiana dunque, che ricorda i
personaggi piccoli e spietati (anch’essi del nord-est) de “Il capitale umano” di Paolo Virzì e gli enormi e angoscianti
cantieri edili (romani) de “La nostra
vita” di Daniele Luchetti.
Chi
si muove in questo scenario è Franco Rampazzo, piccolo imprenditore edile che,
dopo una vita di piccoli progetti e nessun grande slancio imprenditoriale, ha
deciso di mettersi in proprio e di puntare tutto- forse molto più di quello che
ha- sulla realizzazione di un progetto da cento milioni di euro: la costruzione
di migliaia di unità abitative su un’area da duecentomila metri cubi, in cui realizzare
condomini da sogno in un ambiente da sogno, con parchi, piste ciclabili e
laghetti. Trova i finanziatori, trova dei soci e il cantiere parte. Ma quando
sembra che tutto sia partito e quindi, secondo la legge di quella terra, non si
possa fermare, qualcosa si inceppa. Una banca, per una lotta interna di potere,
esce dall’affare e ferma il suo finanziamento. 5 milioni di euro vengono a
mancare, un’inezia rispetto al totale dell’impresa ma è un’inezia sufficiente a
far crollare tutto e tutti, uno dopo l’altro.
A
partire da questo momento lo sguardo di Bugaro segue la caduta non solo del
progetto, ma di alcune esistenze che gravitano intorno ad esso e che ne vengono
irrimediabilmente travolte. Sono scorci di vite grigie, votate al lavoro e al
successo imprenditoriale, in cui i rapporti umani sono uno sfondo sfocato,
qualcosa di inafferrabile e incomprensibile. Franco Rampazzo ha una moglie che
fatica a capire, due figlie di cui sa poco o nulla; Alessandro Guarnieri, il
banchiere rampante che gli
comunica la fine del credito, ha un matrimonio fallito alle spalle ed una figlia di undici anni che non vede mai; Stefano Rinaldi è un giovane avvocato che passa le sue serate migrando da un locale all’altro, circondato da uomini anziani che giocano ad essere giovani, schifato da questo mondo e incapace di uscirne. Quello che emerge è il ritratto di un mondo cinico, spietato e profondamente cattivo: non solo perché è un mondo in
cui “dire amico significava zero, le cose
cambiavano di continuo” e perché ognuno è costantemente pronto a passar al
miglior offerente, ma anche- e soprattutto- perché tutti i personaggi di questo
piccolo universo percepiscono la miseria delle loro vuote esistenze, senza però
riuscire a trovare scampo. Sono vite chiuse nel circolo dell’estenuante ricerca
di profitto, vite consapevolmente infelici che non hanno possibilità di
catarsi. Si rifugiano in qualche
ricordo, in qualche rara contemplazione della bellezza del mondo (quello vero, totale e reale)
che li circonda senza mai essere in grado di uscire dal loro, piccolo e chiuso.
E’ un mondo senza vincitori, perché anche coloro che sembrano vincere (in un
progetto, nel guadagno) sono in realtà come gli altri, cioè profondamente infelici.
Il
merito di Bugaro è duplice. Egli è capace di mostrare un campionario di vite
meschine senza mai cedere al moralismo o al perbenismo, ma raccontandone con
grazia e profondità le illusioni, le debolezze e le aspirazioni. E riesce a far
ciò con una scrittura che non cede alla tristezza e alla bassezza di quel
mondo, ma che rimane sempre tesa e capace di cogliere gli slanci più profondi e
intimi di quelle vite in apparenza così fredde.
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