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In sella al Buraq tra le due sponde: il sacro Mediterraneo pansiciliano di Pietrangelo Buttafuoco

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Il feroce saracino
di Pietrangelo Buttafuoco
Bompiani, 2015
 

pp. 195
€ 12 


Quanto sono belli i viaggi in cielo. E sono ancora più belli se fatti in groppa ad animali alati e pieni di buoni sentimenti, come il drago peloso Fùchur de La Storia Infinita (il cui, bellissimo, titolo originale, essendo stato il più costoso film della storia del cinema tedesco, è  Die unendliche Geschichte) oppure anche Buraq, il cavallo alato dal volto umano con il quale Maometto fece il suo viaggio carnale nei Cieli, prima di ispirare Dante e tutti i successivi epigoni. Ed anche Pietrangelo Buttafuoco, il fine giornalista/pensatore/scrittore siciliano, inizia questo suo discusso saggio Il feroce saracino. La guerra dell’Islam. Il califfo alle porte di Roma con una situazione aerea, ma molto più prosastica, quasi comica: ovvero la descrizione delle interminabili file, con la cintura in mano reggendosi i cadenti pantaloni, come tutti quanti noi dobbiamo fare durante i controlli dell’aeroporto. Ma perché dobbiamo farlo, si chiede Buttafuoco e con lui, noi. Perché, ci dice Buttafuoco: “Qualcuno prega cinque volte al giorno in direzione di Mecca. Quel qualcuno io lo conosco”.

Inizia così un viaggio, non sappiamo se infernale o paradisiaco, ma senza dubbio “alato”, nel quale Buttafuoco ci presenta una specie di ur-religione (che potremmo benissimo definire anche una “cultura diffusa”) che, partita dai deserti dell’Arabia assieme a Muhammad e alla rivelazione di Allah, si è via via allargata sino a coinvolgere anche l’isola di Sicilia, terra centrale per i destini e islamici e mediterranei. Infatti di un Islam profondamente mediterraneo, ancorché orientale, vengono portate le prove e i segni, con somiglianze, rimandi ed echi che attraversano, senza soluzione di continuità, le due opposte sponde del Mare di Mezzo.

Buttafuoco mescola filosofia sufi e cultura pop, l’immaginario del fiabesco, delle immortali canzoni di gesta dei paladini/pupi di Francia con i personaggi del Carosello, saltellando, ora ieratico come un idolo bizantino ora beffardo come uno smargiasso da commedia all'italiana, da Battiato alla sapienza iranica. Nel Mare di Mezzo le differenze si assottigliano come le ombre nell’ora meridiana. E che tutto sia unito, che tutti stia stretto (verrebbe da dire sul “palmo della mano di Buddha”, ma in questo  preciso caso non ci pare conveniente dirlo) lo confermano non soltanto i toponimi siciliani, quasi tutti di derivazione araba, ma anche le feste, le usanze e persino i saluti (“Ebbi chiaro che Sabbenedica, il saluto dei miei vecchi, altro non è che Salam Wa Aleikum, ovvero, la Benedizione di Dio su di voi”).

Un viaggio, direbbero i latini, ab ovo, ovvero alle origini non soltanto della civiltà/società ma anche della stessa persona del giornalista, che infatti, convertitosi all’Islam “per forza di natura” con il nome, un poco disneyano va detto, Giafar al-Siqilli, ci dice come non vi sia alcuno scontro di civiltà, perché non è che vi siano due (o più) società diverse e/o contrapposte. Bensì il vero scontro dell’evo moderno è tra la dimensione materialistico-scientifica, dominante lo scorso secolo, e la nuova/vecchia visione spirituale-sacrale. Ecco perché “l’amico che mi saluta appena da quando ha scoperto mi sia convertito all’Islam” ha torto: perché non sa che professandosi moderno, egli si è condannato ad essere primitivo ed obsoleto.

Quelli che ci aspettano non sono insomma secoli bui ma brulicanti di stelle, astri e (mezze) lune nel cielo. La cosa veramente importante è avere astrolabi e strumenti intellettuali abbastanza fini per lasciarci guidare in questo “folle volo di starna” in sella al Buraq.


Mattia Nesto