di Caterina Falconi e Francesca Bonafini
Ad est dell'equatore, 2015
pp. 192
€ 12
È stato dimostrato da ricerche approfondite condotte sul campo che ogni marito fedifrago, quando si rivolge alla propria amante, attinge più o meno inconsapevolmente, a un repertorio consolidato, una sorta di serbatoio dell’inconscio collettivo adulterino.
In questo agile libro dedicato alle frasi che gli uomini sposati
dicono alle amanti, diviso in sezioni dai titoli programmatici (come
dichiarazioni e promesse, ripensamenti post-coitali,
sulla moglie e giustificazioni), le due autrici
raccolgono brevi riflessioni teoriche e piccoli racconti
esemplificativi.
Il tono, lo si capisce subito, è finto-scientifico e molto
divertito. D’altronde “non ci resta che ridere”, visto
che tutti siamo vittime del gioco dell’amore.
Qualunque sia la verità scientifica in proposito, a partire da oggi ogni donna possiede uno strumento indispensabile di difesa personale, perché il manuale del fedifrago non è più segreto: è qui, tra le vostre mani, sotto i vostri occhi, affinché vi possa essere di aiuto e conforto.
Qualsiasi cosa sia quello che chiamiamo amore, è sicuramente un
sentimento che si presenta come incondizionato, eccessivo, complice
l’idea, dura a morire, che sia “unico e totalizzante” e quindi
extra-ordinario, esente dalle costrizioni a cui sono sottoposte tutte
le altre faccende umane: proprio per questo spesso entra in attrito
con la nostra vita quotidiana, concreta, fatta al contrario di
limiti, in cui quindi l’assoluto fatica a trovare la sua giusta
collocazione.
Lo stile del libro, riverbera della stessa dicotomia, unendo nei
suoi momenti migliori un linguaggio ricercato e una prosa altisonante
(che enfatizza il lato epico o favolistica dell’esperienza amorosa
con toni melodrammatici, scene madri, iperboli, fino ai registri
surreali e fantascientifici di Invecchierai tra le mie braccia,
in cui si parla di alieni, criogenia e diavoli dell’inferno) a
termini volgari e situazioni terra-terra, quando la realtà prosaica
irrompe nelle intenzioni auliche dei protagonisti. Dal contrasto tra
passione e realtà nasce anche la comicità di chi ama, che si sente
in diritto di pronunciare frasi perentorie, retoriche, ingenue nella
loro auto-illusione di eternità. “Le
lettere d'amore, se c'è l'amore, devono essere ridicole”:
Pessoa già lo sapeva, e Vecchioni dopo di lui. E non è forse
proprio questo il bello di questo sentimento, il concedersi il lusso
di credere che qualcosa sia imperituro, la libertà di mostrarsi
stupidi?
Resta comunque il fatto che il proprio marito altrui (perfetta definizione delle autrici) sceglie l’ambiguità, e questa sua decisione ha ripercussioni su altre persone (la moglie e l’amante) che alla lunga non dovrebbero poter esser ignorate; ma l’essere umano è campione indiscusso di fuga dalle responsabilità, ed in effetti è questa strenua difesa dell’indifendibile che viene messa alla berlina da Falconi e Bonafini, attraverso il frasario ricorrente del traditore: Dammi sei mesi, Io non ti merito, Suo padre sta morendo lentamente di Alzheimer ma anche Mi ammazzo di seghe pensando a te, Prego Dio di farmi diventare un maschio stronzo e l’immancabile So che non dovrei cercarti, ma vorrei sapere come stai. Le attenuanti si possono concedere, ma col passare del tempo la buona fede viene meno e ci si rende, oltre che ridicoli, anche danneggiatori della vita propria ed altrui. Unica difesa, l’ironia.
Resta comunque il fatto che il proprio marito altrui (perfetta definizione delle autrici) sceglie l’ambiguità, e questa sua decisione ha ripercussioni su altre persone (la moglie e l’amante) che alla lunga non dovrebbero poter esser ignorate; ma l’essere umano è campione indiscusso di fuga dalle responsabilità, ed in effetti è questa strenua difesa dell’indifendibile che viene messa alla berlina da Falconi e Bonafini, attraverso il frasario ricorrente del traditore: Dammi sei mesi, Io non ti merito, Suo padre sta morendo lentamente di Alzheimer ma anche Mi ammazzo di seghe pensando a te, Prego Dio di farmi diventare un maschio stronzo e l’immancabile So che non dovrei cercarti, ma vorrei sapere come stai. Le attenuanti si possono concedere, ma col passare del tempo la buona fede viene meno e ci si rende, oltre che ridicoli, anche danneggiatori della vita propria ed altrui. Unica difesa, l’ironia.
Una delle tipiche frasi che gli uomini sposati dicono quando vogliono lenire il senso di colpa e rintuzzare le pretese delle amanti è: “Vi amo entrambe in modo diverso”. Una frase che offende le contendenti. La moglie si trova infatti spesso relegata nell’immaginario adulterino al ruolo quasi sororale di quella che va amata con modalità attenuate e tenerezza. Mentre l’amante va scopata torridamente per colmare le lacune del sesso coniugale, avendo essa lo stigma della troia.
Un’ironia leggera, non perfida, solidale coi destini di tutti i
personaggi, che condividono la stessa, complicatissima, condizione
umana. Non siamo forse tutti, a dosi variabili e a momenti alterni,
“analfabeti sentimentali incapaci di introspezione”? Le amanti e
le mogli, lungi dall’essere solo vittime innocenti, in Non
avremmo mai dovuto spesso sono complici dell’eterna danza dei
tradimenti.
Il linguaggio pseudo-scientifico, d’altronde, presuppone una
distanza asettica dall’oggetto di studio che è in realtà
impossibile e svela l’inghippo: certo, alla fredda luce
dell’analisi razionale le scuse accampate dai fedifraghi e i loro
comportamenti non reggono neanche un secondo, ma il fatto è che
quando si è coinvolti non si può esser totalmente oggettivi; da qui
derivano le classiche situazioni ai limiti dell’assurdo in cui
tutti si accorgono che qualcosa non va tranne i diretti interessati.
Nel bene e nel male funziona così, ci si può solo rendersene conto,
riderci sopra e cercare di stemperare gli eccessi.
Una lettura piacevole, da consumare in estate che, si sa, è la
stagione dei tradimenti. C’è forse un’insistenza eccessiva sul
tema del proseguimento del matrimonio come difesa dell’onorabilità:
certamente c'è chi ancora se fa un cruccio insormontabile, ma mi sembra
che ormai il divorzio e le separazioni, entrati nella quotidianità
di molti, siano accettati da buona parte delle persone.
C’è anche il rischio che la frammentazione in capitoli brevi, dalle
conclusioni rapide, sia un po’ ripetitiva e stanchi, ma essa dà
sicuramente l’idea del balletto amoroso, una sorta di girotondo
schnitzleriano, che coinvolge tutti gli esseri umani. Dopo la sfilza
di storie raccontate per interposta persona (Conosco un uomo,
So di una ragazza…) e lasciandosi coinvolgere dal gioco dei
cliché propostoci da Falconi e Bonafini, ci viene spontaneo chiedere
sornioni: non è che sotto le amiche tradite di cui si parla in
questo libro si nascondano le autrici stesse, scottate dai capricci
di Eros? Se fosse così, niente di male: c’è spazio anche per
loro, su questa giostra. Sarebbero in ottima e ampia compagnia.
Nicola Campostori