Gloria Ghioni con David Leavitt (foto di ©Cletteraria) |
Hotel Manin, Milano
Come festeggiare il proprio compleanno? Ci sono moltissimi modi, ma di certo non capita spesso di incontrare e intervistare uno dei propri scrittori preferiti. Ho avuto questa fortuna e per questo mi concedo questa introduzione insolitamente soggettiva.
Bene, partiamo. Il romanzo di David Leavitt, I due Hotel Francfort, è uscito per Mondadori da una settimana, quando ci sediamo attorno a un tavolo a parlarne. Avevo già recensito il romanzo (leggi qui) e le curiosità erano tante. Premetto che Leavitt le ha soddisfatte tutte, senza il minimo tentennamento.
SULLA STORIA
Anzitutto, perché scegliere Lisbona come ambientazione? Come ci ricorda Leavitt, durante la seconda Guerra Mondiale il Portogallo era neutrale e tutti andavano lì, perché era l'unica via per partire. All'inizio aveva avuto il desiderio di raccontare la storia di Jean Michel Frank, un designer d'interni francese; poi la vicenda si è complicata, e ha richiesto di staccarsi dalla biografia pura per raccontare la storia di rifugiati senza una casa. Tutti i personaggi hanno infatti il punto in comune di essere in luoghi estranei, mai volutamente. In fondo, una sensazione che anche noi lettori abbiamo provato almeno una volta nella vita!
Quanto al periodo storico, Leavit confessa che da giovane non avrebbe mai pensato di raccontare del 1940. Forse i fatti erano ancora troppo freschi per essere "sporcati" di narrativa: i genitori stessi avrebbero potuto contraddire ogni singolo fatto. Ora, a parte i tanti collegamenti tra la crisi di allora e quella di oggi, è forse intercorso abbastanza tempo per raccontare della seconda Guerra Mondiale.
L'ISPIRAZIONE DI LEAVITT-TURISTA
L'evento scatenante di quanto leggerete nel romanzo, è ispirato alla visita di Leavitt a Lisbona: anche a lui sono caduti gli occhiali mentre si trovava in centro, proprio al bar dove si ambienterà parte del romanzo. Da grande miope, ha pensato: cosa avrei fatto, se gli occhiali si fossero rotti? In fondo, la rottura degli occhiali del protagonista Pete ha un forte valore simbolico: l'uomo smette di avere pieno controllo sugli eventi, cosa che lo fa sentire vulnerabile ma anche stranamente libero. Dunque, l'incidente dà la possibilità di una visione alternativa.
Durante il soggiorno a Lisbona, lo scrittore ha anche scoperto cosa è stato dei due hotel Francfort, centrale nel romanzo (una coppia sta al Francfort Hotel e l'altra all'Hotel Francfort, accentuando l'idea di un doppio che è allo stesso tempo fusione e opposizione). Dopo essere venuto a conoscenza della loro esistenza e dell'equivoco legato al doppio nome nei diari di Julien Green, Leavitt ha provato a cercare i resti a Lisbona: attualmente è in piedi solo l'Hotel Francfort, abbandonato nonostante la sua posizione centralissima.
Poco dopo, lo scrittore confessa che viaggiare cambia molto l'ispirazione, anche se non subito: Leavitt passa molti periodi «da recluso», come dice lui, nel suo campus universitario, ma quando parte va in posti lontanissimi. Se l'influenza sul presente è immediata (ad esempio, Leavitt fa sogni molto più vividi e selvaggi quando è in viaggio: «Quando viaggi, anche se dormi continui a viaggiare», commenta), l'apporto sulla scrittura è posticipato:
Amo molto viaggiare, ma deve passare il giusto tempo di marinatura tra gli eventi e la loro scrittura. Ad esempio, quando sono andato in India, ho pensato di scrivere "Il matematico indiano" ma ho dovuto aspettare due anni!
ROMANZO O RACCONTO?
Conosciamo tutti David Leavitt per l'esordio straordinario con Ballo di famiglia, raccolta di racconti ha passato indenne oltre trent'anni di vita. Poi, tuttavia, Leavitt ha scelto tante volte l'ampio respiro del romanzo, limitandosi a scrivere racconti "su commissione", per festival letterari o su richiesta esplicita dei giornali.
Poi Leavitt ci racconta dei suoi insegnamenti e, lì, i suoi allievi preferiscono di gran lunga le short stories, forse in cerca dell'intensità e dell'immediatezza data dalla brevità.Se usiamo una similitudine, il racconto è un po' come una storia d'amore: breve e intensa, ma destinata a finire. Il romanzo invece è come il matrimonio: non è facile lasciarlo da parte, a volte vorresti divorziare, altri giorni è qualcosa di indescrivibile. Insomma, nel racconto c'è un investimento inferiore, a tratti è liberatorio scriverlo e si prova sollievo. Non che sia facile fare un racconto, ma lo puoi accantonare temporaneamente e riprenderlo dopo.
COME E QUANDO SCRIVERE?
Leavitt suggerisce il multitasking come grande stimolo creativo: scrive molto meglio quando si sente sotto pressione. In ogni caso, è un lavoro molto difficile, che riesce più facilmente da giovani: con l'età, si hanno moltissime cose da trasferire sulla carta, molte più esperienze da condividere, mentre prima si dona interamente la propria realtà.
In più, adesso Leavitt è un temibile editor di se stesso: sta continuamente correggendo le pagine, troppo conscio e troppo consapevole di come funziona il racconto. Ad esempio, quando scrive una scena di sesso, ha il terrore di venire segnalato ed eventualmente vincere il Premio per la peggiore scena di sesso mai scritta (il Bad Sex Award)!
E A PROPOSITO DI SESSO?
Alcuni lettori su Amazon si sono lamentati perché nel nuovo romanzo di Leavitt ci sono troppo poche scene di sesso. Non è così, ma forse - penso io - se ne vorrebbero leggere di più perché Leavitt è un vero e proprio maestro a scrivere di lenzuola, talvolta addirittura citato per pornografia. Non è affatto vero, ma è legittimo chiedersi fino a dove spingersi: i suoi studenti sono molto più liberi e anche le donne fortunatamente si sono lasciate andare rispetto a quattordici anni fa, quando Leavitt aveva iniziato a insegnare.
TRA IERI E OGGI, QUALI DIFFERENZE?
Guardando ai suoi studenti, Leavitt trova che Internet stia modificando sensibilmente le abitudini di scrittura: con l'abitudine allo "scroll" dei siti web, l'unità di misura ha smesso di essere la pagina e sono tornati i paragrafi, le singole frasi. Per gli studenti è normale, mentre Leavitt trova angosciante questa diversa modalità di scrittura per chi, come lui, era abituato alla pagina bianca, con confini ben definiti.
In più, per gli aspiranti scrittori è anche più difficile emergere. E qui Leavitt sorride, raccontandoci la grande fortuna che gli ha permesso di pubblicare: quando era all'università, nel 1982 aveva pubblicato un racconto per il giornale di Yale. Uno studente anonimo aveva poi girato il racconto al «New Yorker» e la redattrice ha contattato con grande interesse Leavitt. Lui, completamente emozionato, ha mandato tutta la sua produzione: solo due racconti sono stati stampati, tra cui Territorio.
Da allora - scherza Leavitt - sono riuscito a pubblicare qualcosa sul «New Yorker» solo due mesi fa!
L'unico consiglio che si sente di dare ai propri studenti è: "Siate disubbidienti!", insieme all'imprescindibile "Devi prima amare tu la tua storia per poi farla amare ai lettori". Molto spesso, poi nell'intervenire sul testo subentra l'istinto, ciò che fa davvero la differenza tra talento e amatorialità.
E CHI È IL PERSONAGGIO PIÙ AFFINE A LEAVITT?
Alla fine del bell'incontro, vista l'atmosfera confidenziale, ci lasciamo andare a chiedere qualcosa in più sui personaggi dell'ultimo romanzo. A sorpresa, Leavitt difende Julia, il personaggio che forse gli assomiglia di più: in fondo, entrambi sono cresciuti in un ambiente conservatore, da cui avrebbero voluto fuggire. Eppure è impossibile vivere come dei veri bohemien se si è nati benestanti: Julia continua ad "aspettare Godot", ma non è pronta davvero a scappare.
Nonostante siano passate quasi due ore, alla fine del nostro incontro David Leavitt ci concede foto, stringe le mani di tutti noi e ci regala autografi. Un piccolo gossip? Anche David è appassionato come me dei pennarellini Stabilo e ci siamo confrontati su quali tonalità preferiamo! Per il 16 settembre, un bell'autografo con lo Stabilo viola, che resterà lì a cambiare colore nella mia libreria, di anno in anno.
GMGhioni