di Alice Munro
Einaudi,
2014
pp. 282
Traduzione di Marina Premoli
1^ edizione originale: 1994 (Open Secrets)
Louisa, in tempo di guerra, s’innamora
ricambiata di un giovane con cui scambia lettere appassionate ma che non vedrà
mai, rimanendo prigioniera del proprio sentimento celato e irrisolto. Una
ragazza scompare in occasione di una gita scolastica per non essere mai più
ritrovata, ma la timida e insicura Maureen pare per un attimo intuire la verità
che si cela dietro a tale mistero. L’amicizia tra Eunie e Rhea deve passare
attraverso le complicazioni della crescita, ma non riesce a sopravvivere al
cambiamento. Gail si trasferisce in Australia sotto mentite spoglie sulle tracce
di una relazione fallita, per ritrovare l’uomo che ama o forse se stessa. Questi
sono solo alcuni degli scorci esistenziali che Alice Munro ci permette di
intravedere nella sua raccolta.
I racconti che
compongono Segreti svelati sono
acquerelli, e come tali non possono che disturbare sottilmente chi ama gli olii
dai colori intensi e le pennellate pastose. Non è la forte emozione o il colpo
di scena che deve cercare chi intraprende la lettura di questa silloge. I testi
dispiegano infatti trame dalle sfumature delicate, istantanee che catturano
momenti transitori di singole esistenze umane, con cui il lettore può
identificarsi, ma senza essere costretto a farlo. La scrittura piana e
scorrevole tratteggia scene e caratteri con acume, cogliendo il dettaglio
dissonante, il punctum barthesiano
che si imprime nella mente di chi osserva e non l'abbandona.
Le protagoniste
degli otto racconti che compongono l’opera sono donne, donne che cambiano,
donne in transizione o in ricerca, donne che si fanno carico con naturalezza e
senza enfasi di decisioni spesso radicali. Il panorama è quello desolato del
Canada centro-occidentale, tra Alberta e Ontario, descritto nelle sue cittadine
polverose e nella sua ristretta mentalità paesana, sullo sfondo le vicende
della fabbrica di pianoforti Doud, vero filo conduttore dell'intera raccolta.
Le storie sono ambientate in un passato sempre in bilico tra il prossimo e il remoto,
che non si riesce a non sentire irrimediabilmente distante, con un inevitabile
effetto di straniamento.
Sono storie che
sanno di verità, ma di una verità lontana, che ci tocca solo di sfuggita. La
stessa messa a fuoco è parziale, volontariamente ingannevole. Come nei Sillabari di Goffredo Parise, il tema
centrale del racconto - quello che realmente preme all'autrice - non viene mai
affrontato direttamente, ma sfiorato, lasciato emergere tra le righe, proposto
allusivamente al lettore accorto. A differenza di quanto sembra suggerire il
titolo dell’opera, i segreti che si nascondono dietro ai fatti narrati non sono
quasi mai pienamente svelati e, come in tutte le avventure che scaturiscono
dalla vita e alla vita vogliono ritornare, ai testi non è data una conclusione
univoca e definitiva: la storia inizia e si conclude in medias res, suggerendo ma non imponendo le possibili linee di
sviluppo ulteriore.
I racconti, che pure per estensione e
contenuti si configurano come veri e propri romanzi brevi, si pongono
all’interno della raccolta come meteore: permettono di intravedere come un
lampo alcuni aspetti della vita dei loro protagonisti, per poi lasciarli
ricadere nel buio. Permane un senso di malinconica insoddisfazione: troppo è rimasto
non detto, troppe ipotesi sono state formulate e sono rimaste senza soluzione. Raramente
i personaggi a cui il lettore si è affezionato hanno trovato giustizia, o
risposte, o felicità. Più spesso si è lasciato intendere che la loro vita è
semplicemente andata avanti, come quella di chiunque, nel solco di una
quotidianità che tende a riassorbire tutte le eccezioni, tutti i picchi
emotivi. Lo suggerisce la stessa autrice, attraverso le parole di una delle sue
protagoniste: “Durante la mia vita mi sono resa conto che è buona regola trarre
il maggiore piacere possibile dalle cose anche quando non si è felici”. E
allora perché non abbandonare il volume, alla ricerca di qualche emozione più
forte, di qualche avventura più epica o clamorosa? Per l’abilità che ha Alice
Munro – come del resto molte altre e ugualmente note connazionali, si veda ad
esempio Anne Tyler – di creare mondi coerenti, di mostrare l’eroismo della normalità,
di osservare gli abissi che si possono spalancare in una psiche femminile, talvolta
per futili motivi. Le protagoniste dei racconti, come si diceva, sono donne,
donne sensibili, complesse, donne sciocche o brillanti, anticonformiste o
appiattite da regole troppo pressanti. Sono però, sempre, donne vive, che fanno appello direttamente al
lettore perché si avvicini loro con curiosità e desiderio di conoscenza, come
avverrebbe in qualunque incontro casuale, anche al di fuori dei confini
letterari.
Quello che pensava davvero era che certe donne, donne come lei, erano sempre pronte a fare la posta a una follia che potesse contenerle. Infatti, che cosa era vivere con un uomo se non vivere nella sua follia? Un uomo poteva avere una follia del tutto normale, invisibile, come la passione per una squadra di pallone. Ma poteva non essere una follia sufficiente, poteva non essere abbastanza grande, e una follia non abbastanza grande rende semplicemente una donna irritabile e scontenta.
Per tutta un’estate Eunie e Rhea giocarono insieme, senza mai
pensare che quell’attività fosse un gioco. La chiamavano così per far contenti
gli altri. Era la parte più seria della loro vita. Quello che facevano il resto
del tempo sembrava frivolo, da dimenticare. Quando scendevano al fiume, dal
giardino di Eunie, diventavano persone diverse. Lì, si chiamavano entrambe Tom.
I due Tom. Per loro Tom era un sostantivo, non solo un nome. Non era né maschio
né femmina. Significava qualcuno di eccezionalmente coraggioso e intelligente,
non sempre fortunato, ma – sempre per un pelo – indistruttibile.
Carolina Pernigo