Il bordo vertiginoso delle cose
di Gianrico Carofiglio
BUR, maggio 2015
pp. 315
€ 5,90
‘Our
interest’s on the dangerous edge of thing
The honest
thief, the tender murderer,
The
superstitious atheist’
Robert Browning
Enrico Vallesi è un uomo in bilico, sospeso sul bordo vertiginoso
della sua esistenza, da quando dieci anni fa ha pubblicato il suo primo ed ultimo
romanzo.
Schiacciato dal successo inaspettato di quel bestseller e
dal peso di aspettative a cui non riesce a far fronte, guarda la vita
attraverso un vetro appannato, nell’attesa perenne di una scossa, di una
scarica d’elettricità.
E la scossa arriva da un articolo di cronaca su di un
quotidiano, letto distrattamente al tavolino di un bar sotto casa. Enrico fa le
valigie e parte, da Firenze torna a Bari, la sua città d’origine dove non mette piede da
anni.
Con un ritmo serrato ma ben cadenzato, le vicende del presente,
narrate sotto forma di un lungo, a tratti ironico, dialogo interiore, si
alternano ai ricordi del passato: quelli dell’anno più importante della sua
vita, segnato dall'innamoramento (emotivo ed intellettuale) per la giovane
supplente di filosofia e dall’incontro con Salvatore Scarrone, il compagno di
classe più grande e pericoloso.
Gianrico Carofiglio, ex magistrato ed ex senatore pugliese,
oggi scrittore a tempo pieno e finalista al premio Strega, costruisce una
storia dal sapore autobiografico, dove l’autocommiserazione e l’implacabile
senso di fallimento del protagonista lo rendono specchio e luce puntata sui
vuoti vertiginosi che ognuno di noi avverte in sé.
Nel suo attraversare Bari quasi da turista, sostando da una
panchina all'altra, girovagando tra cinema ormai fatiscenti ed ex licei
abbandonati, nella disperata ricerca di quel sé adolescente determinato e pieno
di sogni, Enrico incontra una serie di persone del passato e sconosciute che
divengono (a loro volta) specchio e luce puntata sul suo io più autentico. Il
fratello Angelo e l’amica Stefania, a cui pone insistentemente la domanda:
“Com’ero da adolescente, di me cosa ricordi?”; ma anche l’aspirante scrittore
che si finge zoppo per un esperimento letterario e lo sconosciuto professore di
lettere in pensione, l’unico in grado di far svelare ad Enrico i segreti di
quella sua rinuncia alle parole, dopo il successo del primo romanzo; una
rinuncia che ha il sapore di una resa, di una disfatta senza l’onore delle
armi.
Operando un parallelo ardito ma affascinante, si può
riconoscere in Enrico Vallesi de “Il bordo vertiginoso delle cose” la sintesi e
al contempo la deriva delle esistenze dei due protagonisti di “Due di due”
(Andrea de Carlo, 1989), Mario e Guido. Enrico ragazzino è Mario, nella sua
accettazione passiva di un ideale politico altrui, contagiato da un amico più
forte. Ma lo scrittore Enrico Vallesi ha tutta l’insofferenza aspra e riottosa
di Guido, all’indomani del suo primo successo letterario.
Laddove “Due di due” è romanzo di formazione, “Il bordo
vertiginoso delle cose” è la descrizione lucida di un processo all’inverso: dal
successo e fallimento di un uomo ossessionato dalla ricerca delle parole, alla
riscoperta di un passato quasi dimenticato; l’obiettivo ultimo è, naturalmente,
risalire la china, riavvolgere il filo, esser in grado di abitare sul ‘bordo vertiginoso delle cose’, sentirle veramente, senza più filtri ovattanti.
“Prima piangi piano, in silenzio, […], poi più forte fino a quando non arrivano i singhiozzi e la pena disperata […] per tutta questa vita che ti è passata accanto e che non sei stato capace di vivere perché volevi soltanto raccontarla, e non sei stato capace di fare neanche quello”.
Una risalita difficile, che procede recuperando i pezzi del
puzzle di un’esistenza trascurata, che va ricomponendosi, passo dopo passo,
fino a che Enrico viene a trovarsi ancora una volta sul bordo vertiginoso della
sua vita e prende, stavolta, la direzione giusta.
Barbara Merendoni
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