Susanna (Monica Guerritore) e Alfredo
(Antonio Catania) sono una classica coppia borghese. Di mezza età,
benestanti e colti, attivisti di sinistra durante l'università e ora
radical chic quanto basta, un figlio che studia in Inghilterra.
Si preparano a trascorrere l'estate
nella residenza privata in campagna, insieme a una coppia di amici, i tipici cafoni arricchiti intrisi di superficialità, lei che snobba la
servitù ed è in perenne gara con la bilancia (Iaia Forte), lui che
pensa solo ai soldi e alle belle ragazze (Giorgio Gobbi).
Questo cavalcare a briglia sciolta i
più beceri cliché salvo ribaltarli con un unhappy end rende
La bella gente di Ivano De Matteo (film del 2009 che ha
trovato solo ora una -dovuta!- distribuzione in Italia, nelle sale dal 27
agosto) un vero gioiellino d'atmosfera à la Carnage (Roman
Polanski, 2011).
La miccia scatenante qui è una giovane
prostituta ucraina, Nadja (Victoria Larchenko) che Susanna vede
mentre viene maltrattata dal suo ruffiano sul ciglio della strada.
Si mette in testa di salvarla. La fa
“rapire" e portare a casa da Alfredo. La ragazza tenta di
scappare ma loro vogliono redimerla a tutti i costi, anche suo
malgrado. Soprattutto, suo malgrado.
Che bella gente che sono Susanna
e suo marito, che si possono permettere il lusso di porre rimedio ai
mali del mondo.
Dopo un bagno purificatore, in cui
scioglie i capelli e lava via il trucco pesante, Nadja è il nuovo
gingillo della coppia: sguardi benevoli su di lei che timida sorride e ringrazia per tutto ciò che le stanno offrendo in italiano stentato abbassando gli occhi, patetica commozione nel farle leggere a voce
alta in lingua originale un libretto di poesie russe.
Per il compleanno di Susanna viene in
visita il figlio Giulio (Elio Germano) vagamente fricchettone ma con fidanzata pariolina, Flaminia (Myriam
Catania).
Prevedibilissimo il confronto fra la ricca viziata e l'honesta meretrix. Flaminia, gelosa,
vuole ripartire subito per l'isola del Giglio.
Ma al culmine di una
sequenza di inquadrature alternate fra una festa in villa che strizza
l'occhio a La terrazza (Ettore Scola, 1980) e la tenera
scoperta della grande casa da parte della piccola ospite rimasta
sola, Giulio torna, piantando in asso la fidanzata.
Nadja e Giulio si annusano,
si piacciono, vanno insieme in paese, dove la vergogna di lei -che
filtra dietro gli occhialoni rossi i visi dei numerosi ex clienti- le
impedisce di scendere dalla macchina. La ritrosia della ragazza cede
a poco a poco il posto a quello che sembrerebbe il più romantico dei
copioni.
Poi il bacio.
Lei chiede: “Perché?” e
lui risponde: “Ce sta”.
Seguono sequenze ammantate di
poesia, una colonna sonora discreta ed espressiva, una natura riarsa
dai colori bruciati e il piuccheperfetto Elio Germano nel ruolo del giovane appassionato, carico di promesse e belle speranze.
E a questo punto gli
ingranaggi cominciano a stridere.
Scatta il congegno della
commedia borghese. La ritorsione delle anime belle.
Il buonismo, il pietoso
progressismo, cede il posto alla più bieca meschinità, alle
considerazioni di basso livello su “quelle dell'est” e il loro
miraggio di ricchezza.
Lo sguardo della ragazza
filtrato dalla macchina da presa sembra passare anch'esso dallo
stupefatto al libidinoso e Nadja cade in disgrazia agli occhi di
tutti.
Susanna inizia a odiarla, la
dipinge come una manovratrice che dopo aver consapevolmente sedotto
il figlio, fa il doppio gioco con il padre.
Il sospetto si insinua, mettendo tutti contro tutti.
E alla fine in un gioco di
sguardi obliqui la palla ritorna a lei, l'intrusa. La stella caduta,
umiliata e offesa, l'eroina da romanzo russo, la pedina.
Abbandonata alla cocente
delusione di un mondo che non potrà mai essere il suo.
La visuale si ribalta,
dall'alto in basso, di nuovo. Una finestra chiusa, la luce dorata che
lascia il posto ad un notturno e a una bruma mattutina.
In una luce lattiginosa, in attesa del treno in una stazione deserta, Nadja si ritrasforma sotto i nostri occhi in quello
che era prima.
Per ritornare al punto di
partenza, come in un crudele gioco dell'oca del quale non è mai stata lei a stabilire le regole.
«La Bella Gente siamo noi. Questo è un film che parla delle nostre ipocrisie e debolezze, è una critica nei nostri riguardi, un affresco della realtà in cui viviamo», ha dichiarato il regista.
Giulia Marziali
Social Network