di Chiara Cecilia Santamaria
Rizzoli, settembre 2015
pp. 432
€ 18,00
Qualcuno ha detto che scrivere un libro è un atto di fede. Non potrei essere più d’accordo. È un atto di fede prima di tutto verso sè stessi e le proprie capacità di mettere in ordine le parole e le storie che affollano la mente, poi verso i lettori che speriamo di raggiungere, coinvolgere in quella storia cui ognuno di loro darà un senso e una percezione personale. Ed è anche, secondo me, una bella prova di coraggio esporsi al giudizio – degli editori, degli addetti ai lavori, del pubblico - , lasciare che le nostre fantasie messe ordinatamente su carta se ne vadano in giro ed ogni lettore che incontrano le faccia un po’ sue in qualche modo.
Chiara Cecilia Santamaria delle parole è una professionista: giornalista, autrice del blog molto seguito machedavvero.it da cui poco dopo era anche nato un libro, viaggiatrice, presenza molto attiva sui social. Ma nella narrativa è un’esordiente e se, come me, la seguite – e in qualche modo conoscete – online potete immaginare la fatica e l’ansia dietro questo libro, uscito proprio oggi per Rizzoli.
Penna divertente e malinconica insieme, mamma e moglie espatriata a Londra, sorprende con un romanzo che è lei in ogni parola e allo stesso tempo non lo è per niente: un esordio notevole, maturo, che merita di essere letto mettendo da parte il personaggio della Chiara blogger che in questi anni abbiamo seguito per scoprirla nell’inedita veste di romanziera. E nel giro di poche frasi la trama e i personaggi catturano, riuscendo piuttosto facilmente a lasciare l’autrice sullo sfondo e parlare da sè, liberi da vincoli, confronti ed influenze che pensiamo di poter riconoscere. Il romanzo verso cui ci ha attirato il nome in copertina, deve essere lasciato libero infatti di svelare da sè ogni pregio, ogni limite, maturità ed incertezze per quello che nonostante alcune debolezze – a tratti un eccesso di sentimentalismo, alcuni personaggi vagamente troppo caratterizzati, il tempo sospeso - resta un esordio interessante e promettente.
Un romanzo in cui le donne hanno un ruolo protagonista: amiche, madri, rivali, un universo femminile di amore e rancori in cui non mancano le presenze maschili ma che non riescono mai fino in fondo a reggere il confronto con queste donne, imperfette eppure magnifiche. Come imperfetta è la vita narrata e per questo tanto vicina al reale: una madre e una figlia che improvvisamente devono fare i conti con la fuga del marito latitante, la solitudine, la perdita di ogni ricchezza e status, delle speranze per un futuro sicuro; l’assenza di quel padre che peserà come un macigno per Adele, bella ed austera moglie, per Lara bambina taciturna.
Aveva cercato appigli per dare un senso a quel momento e invece non una frase, non una sola ragione per cui improvvisamente stessero facendo le valigie nel cuore della notte, come fosse arrivato un terremoto. Poi aveva guardato il padre, perfettamente immobile, con i denti che tremavano nel buio come dadi agitati dentro a un pugno, e aveva capito che il terremoto era arrivato per davvero. Alberto Marchese, che di nobile non aveva niente, da quella notte era scomparso nel nulla. Gli indizi li aveva disseminati da mesi e, se Lara li aveva ignorati, sua madre a pensarci bene li ricordava tutti: il conto in banca improvvisamente inaccessibile, il Rolex e i gemelli introvabili, il modo in cui aveva sostituito la palestra e il tennis club con la corsa al parco. Suo marito aveva ridotto la sua vita all’osso mantenendo solo il decoro a prima vista, come la facciata di un set.
Rimaste sole, in una Roma popolare da cui la donna cerca in ogni modo di restare estranea, è nella dignità del lavoro in una piccola merceria, “La casa del bottone”, che Adele troverà un guadagno sicuro per provvedere a lei e alla figlia, dopo che quel mondo borghese che un tempo era anche il loro ha voltato le spalle alla famiglia Marchese caduta in disgrazia. E la crudeltà di chi un tempo si dichiarava amico è un prezzo che anche la piccola Lara è costretta a pagare, le risatine e i commenti al veleno delle compagne di scuola che con lei non vogliono più avere niente a che fare. Chiusa nella sua solitudine, Lara trova inaspettatamente conforto nell’amicizia con Elena che senza troppo riflettere si schiera dalla parte di quella ragazzina così fragile e silenziosa.
Lei si era messa fra Lara e gli altri, ma più vicino a Lara, e nessuno le aveva chiesto nulla fino a quel momento. Elena Marli, figlia dell’avvocato divorzista Alessia Marli, non aveva esattamente scelto di entrare nella discussione e schierarsi, anzi, lo ritenne piuttosto stupido, ma il gesto le venne così automatico e lo sentì così giusto che, mentre stava lì in piedi a parare gli occhi lucidi di Lara Marchese da altre domande disgustose, non capì come mai fosse la sola, e con lei non ci fossero almeno tutte le altre ragazze della classe.
Elena, che a prendersi cura degli altri è da sempre abituata: una madre giovane, Alessia Marli, avvocato in carriera, brillante e anticonformista, ma anche così immatura e incapace di assumersi le proprie responsabilità. Una mamma bambina che non è mai diventata adulta davvero, che piange la notte per un altro uomo che esce dalla sua vita, senza curarsi che la figlia possa sentire e soffrire, che va alle feste lasciandola sola e spaventata in quella grande casa vuota.
Inevitabile quindi che tra Lara ed Elena nasca un legame, profondo e duraturo, entrambe in qualche modo costrette a fare i conti con le mancanze materne, padri assenti, chiacchiere e pettegolezzi. Ragazzine, poi adolescenti e infine donne, unite da un’amicizia quasi esclusiva: eppure non potrebbero essere più diverse, per carattere, per inclinazione, per approccio alla vita:
È questa, la grande differenza. La grazia con la quale Elena attraversa il mondo contro la diffidenza con la quale Lara lo osserva, pronta a difendersi.
Elena, così vitale, ottimista, forte, è un punto fermo nella vita di Lara, è l’amica che la sostiene e, soprattutto, che la sprona a credere nel proprio talento. Più di ogni altra cosa infatti, Lara ha sempre sognato di dipingere, un desiderio che però nessuno prima aveva mai preso sul serio. Prima di Elena. Prima di Elio.
Elio, bizzarra figura quasi paterna, proprietario di un locale – L’Assenzio - dove Adele è costretta a lasciare la figlia dopo la scuola mentre lei è impegnata al negozio, dove la diffidenza e la timidezza in breve lasciano il posto ad una sorta di amicizia; impressionato dallo straordinario dono di quella bambina, l’uomo la incoraggia a continuare, regalandole album e colori e soprattutto un luogo dove sentirsi libera di credere che il suo sia un sogno possibile. Qui, nell’atmosfera senza tempo dell’Assenzio, Lara dipinge, osserva Elio e quella sfilata continua di donne e relazioni senza importanza. E sogna, insieme all’amica, di prendere in mano la propria vita: Elena, decisa a lasciare Roma un giorno per uno stage in una grande agenzia pubblicitaria di Londra; Lara, sognando l’Accademia di belle arti e una vita da artista.
Come a volte accade, la vita però è fatta anche di sogni infranti, debolezza, ostacoli e difficoltà che sembrano impossibili da superare e i progetti per il futuro devono fare i conti con la realtà, le aspettative della famiglia, insicurezze e paure.
L’unica cosa certa, reale, è sempre stata la loro amicizia, un legame profondissimo che non avrebbero mai pensato di poter tradire. Unite contro il mondo, l’una la custode dei segreti dell’altra, non importa quante delusioni si debbano sopportare, resta sempre la certezza di poter contare su quell’amicizia che le lega fin da bambine. Gli assoluti dell’adolescenza però sembrano perdere intensità mentre lentamente diventano adulte, mentre la vita si mette in mezzo e tutte quelle zone grigie, quel confine netto tra cosa è giusto e sbagliato sembra vacillare.
È questa, in qualche modo, la vita vera, dove si viene a patti con i propri principi, dove l’egoismo serve a farci sopravvivere, dove spesso allontanarsi è l’unico modo possibile per non morire? Ed è questa la realtà, in cui la felicità passa per la sofferenza, i fantasmi del passato non smettono di tormentarci e per alcuni distruggere è più facile che provare davvero ad essere felici, a diventare adulti? No, non è la vita vera, non sempre almeno e per fortuna, ma è la vita che la Santamaria ha scelto di rappresentare e lo fa egregiamente, senza timore di mostrare le sfumature non sempre gradevoli che ne fanno parte, di creare personaggi imperfetti, che fanno scelte detestabili, che forse non possono conoscere redenzione o felicità ma che sono attori di uno spettacolo che non possiamo fare a meno di godere scena dopo scena, tra Roma e Londra.
Londra, foto di Debora Lambruschini |
Due realtà che naturalmente sappiamo l’autrice conosce molto bene lei stessa: l’una città natale, luogo amatissimo, degli affetti, dove tornare spesso, che sulla pagina rappresenta nei suoi sapori familiari, nella luce che il tramonto getta sulle cose, nei sanpietrini che lastricano le vie, nel mondo diviso di due classi sociali che raramente si incontrano davvero; l’altra città d’adozione anch’essa amatissima, raccontata con i suoi pub di quartiere, i parchi, le gallerie e il panorama artistico contemporaneo, la musica, i mercatini, qualche frase qui e là in quella lingua imparata a scuola.
Due città, due vite, ma la vera protagonista è sempre Lara: inconsapevolmente bella, fragile all’apparenza, abituata a contare sull’appoggio e sulla forza di Elena, incapace di ribellarsi ad una madre oppressiva e prepotente, di riconoscere i propri meriti, i propri talenti. Lara, sempre più protagonista della storia e della sua vita, anticonformista, lontana dallo stereotipo dell’eroina assoluta, donna complicata fatta di mille sfumature diverse. Possiamo condannarne le scelte, odiarla perfino, ma resta protagonista indiscussa e il personaggio più intrigante del romanzo, che lentamente mette in ombra tutto il resto, tutti quanti. Che costringe sullo sfondo le donne della sua vita, Elena, la madre Adele, le rivali; e soprattutto gli uomini, spesso meschini, fragili, le cui assenze e mancanze – verso di lei, verso altre donne – non smettono mai davvero di ferire. E l’amore non può essere facile per Lara, che a lungo protegge sè stessa dai sentimenti, fino a quando non è più possibile:
Due città, due vite, ma la vera protagonista è sempre Lara: inconsapevolmente bella, fragile all’apparenza, abituata a contare sull’appoggio e sulla forza di Elena, incapace di ribellarsi ad una madre oppressiva e prepotente, di riconoscere i propri meriti, i propri talenti. Lara, sempre più protagonista della storia e della sua vita, anticonformista, lontana dallo stereotipo dell’eroina assoluta, donna complicata fatta di mille sfumature diverse. Possiamo condannarne le scelte, odiarla perfino, ma resta protagonista indiscussa e il personaggio più intrigante del romanzo, che lentamente mette in ombra tutto il resto, tutti quanti. Che costringe sullo sfondo le donne della sua vita, Elena, la madre Adele, le rivali; e soprattutto gli uomini, spesso meschini, fragili, le cui assenze e mancanze – verso di lei, verso altre donne – non smettono mai davvero di ferire. E l’amore non può essere facile per Lara, che a lungo protegge sè stessa dai sentimenti, fino a quando non è più possibile:
Perché lei lo sa che tutti gli amori, anche quelli incredibilmente stupidi, apertamente suicidi, per un attimo rendono felici.
Nemmeno l’amicizia è sempre facile, non lo è neanche quella tra Lara ed Elena. Quando gli equilibri vengono meno, quando la vita di nuovo si mette in mezzo e ciò che credevano di essere e potere ad un tratto cambiano, continuare ad esserci l’una per l’altra nello stesso esatto modo come è sempre stato diventa impossibile:
Era lei quella forte. Era lei quella che si rimboccava le maniche e faceva le cose. Era lei quella che avrebbe avuto un brillante futuro nonostante tutto. Era Elena, in grado di farsi carico anche dei fallimenti dell’altra. Se ora era lei a fallire, chi si sarebbe fatta carico dei suoi?
Così come facile non è mai stato il rapporto con Adele, quella madre che la opprime con i suoi eccessi di amore e di rabbia, che non ha mai dimenticato e perdonato la debolezza del marito:
Adele vuole che la loro vita sia un monumento alle colpe di Alberto Marchese. Il ponte verso le aspirazioni, le conquiste e la vita felice che quell’uomo aveva troncato senza voltarsi a guardare aveva causato una voragine, ed era in quella che stavano vivendo madre e figlia, senza ricostruire mai.
Adele e Alessia, madri diverse quanto diverse sono Lara ed Elena, eppure entrambe in qualche modo manchevoli, egoiste, barricata dietro il proprio rancore l’una, irresponsabile ed assente l’altra. Figure materne inadeguate, madri mancate, donne spezzate e sole, l'impulso all'autodistruzione: sono tante le donne di questo romanzo, che affascinano, fanno rabbia, provocano un istintivo disprezzo ma che con le loro debolezze appaiono anche così tragicamente umane.
Tra Roma e Londra, tra fallimenti, sensi di colpa, dubbi, paure, insicurezze e solitudini, la storia costruita dalla Santamaria coinvolge e sorprende con il suo carico di emozioni, gli spunti di riflessione; a tratti destabilizza, come ogni romanzo dovrebbe avere il coraggio di fare, per farci mettere in dubbio certezze e principi. Perchè è la complessità della vita e delle persone che le storie devono rappresentare. E, proprio come la vita, molte sono le interpretazioni e i finali possibili.
di Debora Lambruschini
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