Mi chiamo Hyeonseo Lee. Non è il nome che mi hanno dato quando sono nata, né uno di quelli che le circostanze, in momenti diversi, mi hanno costretta ad assumere. È il nome che mi sono data io stessa una volta raggiunta la libertà.
Foto di Claudia Consoli
Questo è l'inizio di una storia vera che parla di una fuga dalla Corea del Nord e di tutto quello che significa cercare la libertà, costruire e ricostruire la propria identità.
L'ha scritta Hyeonseo Lee, che ho incontrato a Milano in un assolato pomeriggio di settembre, al Mondadori Store di Piazza Duomo. Autrice di La ragazza dai sette nomi (Mondadori, 2015, con David John, traduzione italiana di Stefania Cherchi), è fuggita dalla Corea del Nord nel 1997 e oggi è attivista e portavoce per i diritti umani e i rifugiati nordcoreani.
Una sera di dicembre, a diciassette anni, ai piedi un paio di scarpe nuove, ha salutato la sua famiglia e attraversato il fiume Yalu. Al di là dell'acqua ghiacciata c'era la Cina, con la sua notte illuminata a giorno; alle sue spalle la sua casa, una vita che quel gesto ha cambiato per sempre.
Nel suo libro che sembra un romanzo Hyeonseo non racconta solo che ci vuole coraggio per fuggire da una dittatura e diventare disertori, non ci porta soltanto dentro la macchina di uno Stato che si regge sul terrore: si interroga e ci interroga sul significato della parola 'libertà' per offrirci un punto di vista che non potremo mai davvero comprendere con nessun reportage o documentario.
Ci ha detto che:
Io ero felice in quella vita, non eravamo liberi, è vero, ma era la nostra vita. La propaganda ci convinceva del fatto che la nostra nazione fosse la più prospera del mondo, che i sudcoreani soffrissero e che la loro fosse una vita povera e infelice. In fondo ho nostalgia della mia infanzia, mi mancano tutti coloro che sono rimasti e continuano a non sapere la verità.
Foto di Claudia Consoli |
Dal dubbio è nato questo viaggio che la porta prima in Cina e poi in Corea del Sud, sempre costretta a nascondere un'identità che è come un marchio indelebile che le impedisce di essere davvero libera, che la fa soffrire ricordandole che non potrà mai più tornare a casa.
Un'esule, come si definisce all'inizio del libro, porta con sé un'identità che non sa trovare pace: Sono arrivata ad accettare il fatto che, essendo fuggita dalla Corea del Nord, sono un'outsider in tutto il mondo (p. 7). È per questo che è così difficile sentirsi di nuovo a casa:
In Cina i rifugiati nordcoreani sono considerati migranti illegali e spesso vengono rimandati indietro e uccisi. La Cina non era il mio Paese, è stato il primo luogo in cui sono arrivata dopo la fuga, ma anche quello in cui ho avuto più difficoltà a vivere. Nel 2008 sono arrivata a Seul. Anche qui non è stato semplice ma ho provato per la prima volta sulla pelle la sensazione della libertà. E la libertà è ciò che conta di più.
Tra il racconto della vita nordcoreana e la libertà stanno anni di clandestinità, sette nomi che corrispondono a sette vite diverse. Bugie, nascondigli, fughe, il terrore per sé e per la propria famiglia: Hyeonseo cerca un equilibrio tra il ricordo di un'infanzia felice e di una famiglia unita e le speranze di un futuro da ricostruire altrove, sempre accompagnati dalla certezza che: Ero nata e cresciuta a Hyesan, sulle rive del fiume Yalu, nell provincia del monte Paektu. E non potevo essere niente di diverso.
La ragazza dai sette nomi è una testimonianza coraggiosa che ci porta in una realtà del tutto chiusa al mondo esterno, un sistema brutale che, coinvolgendo tutti, dal più elevato al più umile, sfuma i principi morali in modo che nessuno sia privo di colpe (p. 183):
Imparavamo prima il nome del Caro Leader e poi quello dei nostri genitori, ogni mattina dovevi ringraziarlo per quello che ti aveva regalato. Intere famiglie sparivano di notte e il sistema di delazioni ci rendeva tutti in ogni momento controllabili e controllati. Quotidianamente c'erano eventi pubblici a cui tutti erano obbligati a partecipare. Il regime controllava le razioni di cibo perché tenere un popolo affamato significa averlo in pugno. Se ne soddisfi tutti i bisogni rischi di attirarne la presa di coscienza e la ribellione.Quella di Hyeonseo è una testimonianza preziosa che esce dalle pagine del libro per farsi voce attiva: ha parlato all'ONU e al Forum di Oslo per la libertà. Il suo TED Talk del 2013 è stato visto da oltre 4 milioni di persone.
Dopo avere ascoltato le sue parole prendetevi del tempo per scoprire la sua storia, la storia di un risveglio. Non a caso 'Hyeon' significa 'luce del sole', 'Seo' significa 'buona sorte'.
Un nome che finalmente ha potuto scegliere per sé, libera dalla paura di vivere ancora nell'ombra.
Claudia Consoli