Scrittori in ascolto: l'anomalo migrante di Marco Balzano alla Fiera delle Parole






Quando ci si trasferisce a Padova, si viene informati che si vive ormai nella città dei tre “senza”: il prato senza erba, il caffè senza porte e il Santo senza nome. Ovviamente è un’amabile presa in giro perché Padova è una città con più “con” che “senza” e tra i “con” degni di nota senza dubbio va annoverata la Fiera delle Parole, festival letterario ormai giunto alla sua nona edizione e che per una settimana popola la città universitaria di incontri, scrittori e giornalisti. Non è infrequente bere un caffè al banco e veder passare per strada uno Strega oppure scontrarsi con l’ultimo autore di best seller mentre si è appena usciti per comprare il pane. In questo Paese dei balocchi letterario, venerdì 9 ottobre alle ore 17.30 nella cornice della Scuola della Carità di Padova si è tenuto l’incontro, condotto da Piero Luxardo, con Marco Balzano, autore del romanzo “L’ultimo arrivato” e primo classificato al cinquantatreesimo Premio Campiello. (leggi la recensione)

Balzano ha un legame particolare con Padova. Il suo protagonista, Ninetto Giacalone, ha avuto le sue prime presentazioni ufficiali sempre nell’ambito della Fiera delle Parole del 2014; tornare come vincitore è sicuramente un traguardo importante.

Ninetto è il protagonista indiscusso dell’opera: la sua voce narrante ci apre una finestra sull’immigrazione minorile dal Mezzogiorno alle città del triangolo industriale del Nord. Nessuna sorpresa, dunque, se tutta la conferenza si è incentrata sull’analisi della sua personalità, delle sue sfaccettature. Quello che ne è emerso è che ci troviamo di fronte ad un giovane immigrato che presenta una serie di anomalie rispetto a quello che ci aspetteremmo dalla nutrita letteratura di genere.
Bisogna quindi partire da una domanda: cosa ci aspetteremmo da una storia come questa? La risposta pare abbastanza unanime: un racconto di sofferenza, tragicità e non esule da un pizzico di retorica. L’autore racconta che ha rischiato di intraprendere questa strada durante la prima stesura, scritta in terza persona. Alla rilettura sua e della fidata cerchia di lettori, si è accorto che mancava di vitalità e che non rendeva giustizia alle testimonianze raccolte dai (una volta) giovani immigrati. La virata alla prima persona ha scongiurato questo pericolo oltre che a divertire molto di più lo scrittore nel processo. Sentiamo parlare Ninetto e ci sembra di vedere il bambino che corre in bicicletta, pronto ad affrontare la vita e a fare di tutto per sopravvivere. La sua vivacità impedisce anche la percezione della sofferenza e il senso di inferiorità in quanto “napulì”. Probabilmente questi sentimenti vengono somatizzati, ma mai esternati. Nella prima parte picaresca, vissuta on the road come galoppino di lavanderia per le strade di Milano, si legge l’entusiasmo e la volontà di prendere la vita di petto e con una certa premura.
Da una vicenda come questa ci aspetteremmo anche un rapporto con la cultura molto marginale. Eppure, il nostro piccolo migrante anomalo, ha un’attrazione velleitaria per la parola. Il suo più grande rimpianto rimane sempre quello di non aver completato gli studi e tutto il romanzo è percorso da ricordi di scuola. I suoi anni in fabbrica, passati quasi sotto silenzio e alienazione, vengono ravvivati dal racconto del corso di 150 ore per conseguire la licenza elementare e media. Gli anni senili sono caratterizzati dalla lettura ossessiva di romanzi che Ninetto sa di non capire, ma nei quali cerca disperatamente di identificarsi. D’altra parte, così ci confessa Balzano, la parola, per essere apprezzata, non ha necessariamente bisogno della cultura.
Ancora una stranezza? La parlata di Ninetto. Poche pennellate di siciliano, parole comprensibili a tutti, e nessuna contaminazione con il milanese. La lingua è un elemento di appartenenza ed accettazione. Ma come “Lo straniero” di Camus, romanzo in cui il protagonista ormai anziano si identifica, per Ninetto non c’è appartenenza né alla terra natia né alla Milano di adozione.

Per quanto la riflessione sia stata fatta all’inizio dell’incontro, tra gli affreschi seicenteschi, mi sento di proporla qui a conclusione. La vicenda di Ninetto ci relaziona immediatamente con i ben più recenti fatti di cronaca, ennesimo ricorso storico di movimenti migratori. Ora gli “ultimi arrivati” sono altri: fuggono da situazioni diverse da quelle degli anni ’50, si muovono in un contesto economico completamente ribaltato rispetto al boom del dopoguerra e hanno diverse aspettative. Ma il motivo di fondo resta sempre lo stesso: quello di cercare di vivere meglio. Ninetto, con la sua voce vitale e innocente, pur se non permeata di cultura, coglie appieno questo aspetto con tutte le sue sfumature di grottesco e di speranza. È stato questo che ha permesso all’ultimo arrivato, Ninetto Giacalone l’anomalo migrante, di arrivare primo classificato al premio Campiello.