L’Anno
dei Quattro Imperatori
di Pierre Cosme
21 editore, 2015
Traduzione a cura di Omar Coloru
295 pp.
€ 18 (cartaceo)
Quante volte abbiamo sentito la frase: “Ah, come va veloce il mondo, tutto ormai è in costante e repentina
evoluzione”? Questo concetto, tipico dell’evo contemporaneo, vuole sottolineare
come, in controtendenza con il passato, dove i cambiamenti erano lenti ed inesorabile
alla maniera della deriva dei continenti, ora, nel mondo moderno, le cose accadono
velocemente, si mutano e si modificano, durano, per dirla come François de
Malherb, “l’espace d’un matin”. Eppure,
c’è stato un tempo in cui la Storia “andava anche più di corsa di adesso”. E quel
tempo veloce ce lo racconta, corredato da un ottimo apparato critico, un’eccellente
raccolta di dati e citazioni, Pierre Cosme, ex membro dell’École française de
Rome e professore di Storia Romana presso l’Università di Rouen, nel libro L’Anno dei Quattro Imperatori, uscito
per la casa editrice siciliana 21 editore.
L’anno dei quattro imperatori, così
chiamato (Vierkaiserjahr) a seguito
della fortunata definizione di Theodor Mommsen, è il 69 d.C. In questi 365
giorni densi, densissimi di fatti, battaglie, tradimenti, uccisioni,
spericolatezze e sogni più o meno infranti si succedono sul trono di Roma, per
l’appunto, quattro “proprietari”, tre dei quali morirono di morte violenta:
Galba, Otone, Vitellio e, il vincitore della guerra civile, fondatore della
dinastia Flavia, Tito Flavio Vespasiano.
È quindi soprattutto un racconto di potere e di ogni mezzo lecito ed illecito
per conquistarlo quello costruito da Cosme, che si avvale, in prima battuta,
degli storici Tacito e Plutarco e poi utilizzando tutta una serie di studiosi e
ricercatori moderni, fornisce un quadro il più possibile ampio e dettagliato di
quel, per dirla come lo stesso Tacito nel Dialogo
degli oratori, “longus et unus annus”.
Va detto che lo storico francese non
descrive solamente il 69 d.C. ma contestualizza quella data, facendo iniziare
il racconto storico dall’inverno 67/68, ovvero quello della prima rivolta di
Gaio Giulio Vindice contro Nerone. Quindi numerosi gli eventi citati che
vengono sempre presentati in una maniera molto rigorosa. Quindi largo spazio,
come abbiamo già sostenuto, alle fonti “di prima mano”, per così dire, vagliate
sempre però sia dai contributi più recenti, sia anche da studi incrociati, ad
esempio, sulla società romana ed in particolare su quella militare. Infatti,
leggendo L’anno dei Quattro Imperatori, si comprende bene come l’elezione ad
imperatore sia ormai diventata, almeno a quell’altezza cronologica, soprattutto
una questione, non tanto di soldi, di risorse insomma (che si potevano trovare, ad esempio, promettendo ai soldati il bottino di guerra o il frutto di una razzia), quanto di ascendenza e
leadership, anche se dovremmo dire imperium,
militare.
Vi è che tutti e quattro i “protagonisti”,
Galba, Otone, Vitellio e lo stesso Vespasiano erano generali di legioni
praticamente sparse agli angoli dell’Impero Romano. Cioè il potere si conquista
con la spada ma non solo. Il potere “viene dato” dalla spada, ovvero in molti
casi, sono le stesse legioni, i pretoriani come i soldati più rappresentativi, che eleggono, per acclamazione, il loro duce. In questo modo, codesti specie di “sponsor”,
saranno poi nobilitati con prebende, favori e posti di rilievo.
Illuminante, per capire la modernità di
queste antiche vicende, è il caso di un legato di legione, Fabio Valente,
presentato da Tacito quale principale capo, assieme all’altro legato Aulo
Alieno Cecina, del “partito” di Vitellio (ma vi sono casi analoghi anche negli
altri schieramenti)
Fabio Valente era già legato della legione I Germanica al momento della rivolta di Vindice. Aveva allora affrettato l’eliminazione di Fonteio Capitone nel tentativo di ingraziarsi Galba. Dal momento che il risultato ei suoi intrighi non si era rivelato all’altezza delle sue speranze, egli aveva rapidamente preso consapevolezza del vantaggio che poteva trarre dalla proclamazione di Vitellio a Colonia, alla quale aveva perciò largamente contribuito a capo dei cavalieri legionari e ausiliari venuti da Bonn.
Si capisce bene quindi come non vi fosse
molto spazio per la fedeltà in quell’antico-moderno mondo romano. Forse più ad
uno straniero che ad un italiano, una vicenda del genere farebbe riecheggiare i
grandi tradimenti e intrighi della tradizione dei Medici, dei Borgia, del Duca
Valentino e di molti altri protagonisti della Storia patria. Va detto anche
che, probabilmente, ad un italiano verrebbe più facilmente alla mente il “trasformismo”
di numerosi parlamentari che, senza colpo ferire, passano tranquillamente da
uno “spicchio” all’altro dell’emiciclo parlamentare.
Ecco il grande valore di questo libro di
Pierre Cosme che, oltre ad essere un tomo ben realizzato nella sua veste
scientifica (ideale anche per un consulto a livello universitario e accademico,
grazie alla perfetta cura editoriale e alla traduzione di Omar Coloru), è uno
strumento ideale per ricordare, qualora ve ne fosse bisogno, certe
caratteristiche precipue della gens
italica: grandi trame per grandi uomini sempre pronti a fiutare “dove soffi il vento”.
Mattia
Nesto