Antonella Cilento
NN editore, 2015
pp. 140
€13
La Cascina
Cooperativa è una società, con sede a Roma, che negli ultimi anni si è rivelata
leader nel settore della ristorazione collettiva. Eppure la società capitolina
è balzata agli onori, anzi ai “disonori”
delle cronache quando, nel contesto
dello scandalo legata all’inchiesta su “Mafia
Capitale”, si è scoperta la galassia di malaffare nella quale La Cascina
era coinvolta a seguito dell’accoglienza dei migranti nell’ormai famigerato
C.A.R.A. (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Mineo, in provincia di
Siracusa. Ormai il volontariato e la solidarietà mossi dall’interesse del vile
denaro sono sempre più, specie alle nostre latitudini, un binomio
difficilmente inscindibile. Binomio inestricabile anche nel nuovo romanzo,
edito da NN Editore, di Antonella Cilento, La Madonna dei mandarini.
Ovvero il “volontariato S.P.A.” ai tempi di Buzzi e Carminati.
Questa storia,
ambientata nei vicoli e negli anfratti più sacri e religiosi di una Napoli un
poco “addurmita”, colta tra le feste e i successivi pranzi e cenoni vari, non è
una storia però di mafia o di camorra. È la storia di un malcostume, o per meglio
dire di un “scivolamento del tutto, dall’ordine cittadino al decoro individuale”,
in cui ogni personaggio, grande o piccolo, basilare o meno, che compongono il
racconto ne fanno parte. Tutte le persone coinvolte in La Madonna dei mandarini fanno parte di un’associazione, pura emanazione della Curia
napoletana, che si occupa di dare conforto e ristoro, più materiale che
spirituale, alle persone in difficoltà della città.
Antonella
Cilento, insegnante di scrittura creativa, scrive in maniera agile, mescolando
italiano e dialetto alla maniera illustre di Andrea Camilleri. Tratteggia personaggi
appena abbozzati, magari anche solo da un gesto, una frase o un’attitudine
ricorrente. La vicenda vede un tourbillon di “comparse principali”: Statine, il
giovane vecchio studente di medicina che vive a casa con la nonna, Mimì
Staibano, l’avvocato di chiara fama e di illustrissima famiglia appassionato di
giovani virgulti e statuaria greco-romana, don Cuccurrullo, barocchissimo prete
da “Napoli Milionaria” amante fino allo stremo del lusso e degli orologi di
pregio e così via. Personaggi che raccontano bene le mille anime di Napoli, “città
dell’inferno, città del paradiso”.
Eppure tra le
pieghe di una storia tutto sommato leggera, c’è un sottofondo, quasi una “puzza”
che aleggio in ogni dove. In La Madonna dei mandarini le vicende umane, gli
snodi della coscienza non odorano del delicato aroma delle bucce di mandarino
lasciate a scaldare nel forno, bensì “feteno”
di qualcosa di brutto. È il sudicio dei tempi, è il lassismo dei comportamenti
è, il quasi senza ritorno, scivolare verso il baratro di un’intera società. Una
società che, ammantandosi dei valori cristiani di salvazione delle anime, è
avida di scorciatoie, mossa dalla fame di denaro e di prebende e scambia sempre
l’interesse personale e privato per
quello pubblico e collettivo.
Vi sono da registrare alcuni momenti
di stanca per una storia tutto sommato breve, fanno di questo un libro se
sicuramente non “un gran libro” quantomeno un libro molto strano, che lascia un
sapore amarognolo in bocca. E quasi quasi ci si pasce di questo sapore.
Eppure, con una
mossa quasi da pensatrice bizantina anzi fenicia, Antonella Cilento non
racconta di un qualcuno che si erge a paladino contro il malcostume, fa tutt’altro.
Anche i personaggi connotati da un’area positiva, almeno apparentemente,
cadono, compiono il malfatto e non se ne pentono. Forse perché tutto oramai
perduto oppure perché, quando tutto scivola, l’unico modo per non scomparire e
non tenersi stretto da qualche parte, ma “scivolare” nel modo migliore, come
quando, da bambini, “ci si lasciava
andare sullo scivolo”. Chissà che la vera forma di bene oggi non sia una
forma diversa di “male”? Ecco il grande dilemma di Cilento, a cui l’autrice non
dà risposta, come è giusto nella logica sapienziale antica: ancora una volta è
meglio recitare la storia della Madonna dei mandarini. Chissà che il buon
profumo arancio che viene dall’oriente non salvi l’intero mondo?
Mattia Nesto