Piero Gobetti: il delicato romanzo di un eretico

Mandami tanta vita
di Paolo Di Paolo
Feltrinelli, 2013

pp. 164
€ 8


Torino, 1926. I fascisti hanno preso il potere e disorientato le coscienze, intimidendo una generazione già intorpidita. Sembra impossibile: solo cinque/sei anni prima l’Italia era sull’orlo della rivoluzione rossa, o almeno così pareva, ed era Gramsci e non Mussolini a sognare, legittimamente, un Ordine Nuovo. Chi non piega la testa dinanzi a un regime volgare e violento è Piero, studente, poeta, editore, critico, uomo appassionato. Una mente fervida e inarrestabile. In un tempo che non promette nulla di buono Piero, si tratta di Piero Gobetti, sfiora la vita di Moraldo, un altro studente dell’università torinese il cui approccio alla vita è diametralmente opposto. Per tutto il libro, i due giovani saranno legati da un filo invisibile e misterioso.
Piero Gobetti, è bene fissare in testa i suoi dati anagrafici, ovvero era nato nel 1901 ed è morto nel 1926, in soli due decenni e mezzo ha influito, sotto certi punti di vista, sul pensiero e sulla cultura italiani come pochi altri. Gobetti ha fatto in tempo a incrociare Luigi Einaudi e Benedetto Croce, due monumenti e quanto di meglio l’Italia del Novecento ha prodotto, uscendone a testa altissima. Sono stati i suoi padri spirituali ma senza timori se ne è staccato, procedendo spedito verso mete più radicali, guidato da spirito indomito, fedele a quella che considerava una ruvida necessità di natura: la legge morale. Piero, oltre che come pensatore, è stato precoce come marito e padre e grazie al carteggio che intrattenne con la moglie Ada, rimasta a Torino quando lui scelse la via dell’esilio francese, ne conosciamo le qualità di scrittore, di rivoluzionario e di attivista febbrile. Fu sconfitto da una malattia nel fiore dei suoi giorni.
“Mandami tanta vita” è però un romanzo e non un saggio, un romanzo di delicatezza e sensibilità. Moraldo è l’eterno indeciso, apprendista di una vita destinata a non lasciare traccia. Si muove verso una direzione approssimativa, correndo alla ricerca di un posto dove provare a essere qualcosa, imbarazzato della propria famiglia e dell’apatia che lo incatena. Un giorno all’università vede un ragazzo provocare sfrontatamente un paludato professore: è proprio Piero Gobetti. Antipatia a prima vista, magnetismo irresistibile. A questo punto, fatti e personaggi della storia entrano nella finzione, o viceversa, compenetrandosi mentre la trama propone temi letterari classici: il doppio, lo scambio, il viaggio, le coincidenze capaci di sviare il corso degli eventi.
Sono tanti gli interrogativi cruciali sorti nel Novecento quando i fascismi riuscirono a imporsi in Europa. Il più pregnante era, anzi è: come tenere lontane le tenebre del nuovo Medioevo? Se una domanda come questa interagisce con una giovinezza, età dell’anima più che anagrafica, vissuta con eccessiva generosità ne viene fuori una miscela insubordinata ed esplosiva. Ne viene fuori Piero Gobetti che, prima di diventare adulto e vedere spento ogni sussulto interiore, vuole bruciare fino in fondo tutti gli effetti di questa sua stagione ribelle. Così, il giovane intellettuale si ubriaca d’inchiostro, riviste, pensieri, parole, su tutte: RIVOLUZIONE.
A Moraldo verrebbe da emularlo, chissà se ne sarebbe capace, o quanto meno da avvicinarlo per abbeverarsi a tanta vita. Invece a lui è concessa una notte da bohémien a Parigi nell’albergo dove si è rifugiata una fotografa che ama ma che è anche libera come il vento. Questa avventura, strappata ai murazzi e al Po, ne decreta la fine dell’infanzia. L’incontro casuale, dopo averlo tanto anelato, con Gobetti potrebbe imbastire per Moraldo un destino meno opaco, non dico un varco di entusiasmo ma perlomeno un gancio di speranza. Pure noi, dinanzi alle squadracce in camicia nera, pure noi dinanzi a situazioni eticamente ineludibili, come reagiremmo? Con furore o con acquiescenza?

Marco Caneschi



Anche Laura si è occupata di Mandami tanta vita per il festival TreQuarti di Weekend: leggi qui