Mangiare nell'epoca dei social
di Evelyn Leveghi
postmedia books, 2015
pp. 121
12,60 euro
Sapevate che, soprattutto nel Nord Europa, esistono gli one-person-restaurant, con coperti tarati rigorosamente “in base uno”? Farebbero al caso vostro o siete troppo “mediterranei”, e il solo pensiero di pranzare o cenare in pubblico ma vis à vis con voi stessi vi mette a disagio? Magari può intrigarvi di più l'idea di partecipare a un flash mob conviviale: appuntamento nella piazza X della città Y all'ora W, per condividere la tavolata con N avventori perfettamente sconosciuti che però, proprio come voi, si vestiranno di colore Z e si porteranno da casa tutto l'occorrente, commestibile e non, della stessa gamma cromatica. Se è così, può darsi che vi piacciano anche le azioni e gli eventi a tema gastronomico, ormai un classico all'interno di musei e gallerie. Chissà, forse siete tra quelli che possono dire di avere sorbito un'ottima zuppa thai cucinata da Rirkrit Tiravanija, artista simbolo di quell'estetica relazionale teorizzata da Nicolas Bourriaud all'inizio degli anni Novanta e più che mai frequentata ancora oggi. Oppure no, la cucina orientale nemmeno vi piace, ma questo non vi impedisce, prima di gustare qualcosa di buono, di frenare l'impulso primario al sostentamento, fotografare la pietanza o tutto il desco, e condividere “la cosa” su Instagram con l'hashtag #foodie (che poi siete voi). Se questi fenomeni vi stuzzicano – l'intelletto, se non l'appetito – ma, meglio ancora, se la vostra sopportazione a proposito ha varcato la soglia della sazietà, vi consiglio di leggere Pratiche relazionali del cibo. Mangiare nell'epoca dei social di Evelyn Leveghi (postmedia books, 2015). Il saggio vi aiuterà a scegliere da questo menù secondo il vostro maggiore gradimento, o vi porgerà, di contro, un formidabile ammazza-caffè qualora l'offerta “eno-gastro-maniacale”, declinata all'infinito da editoria e palinsesti televisivi, vi risultasse, ormai, invasiva e indigeribile.
Sapevate che, soprattutto nel Nord Europa, esistono gli one-person-restaurant, con coperti tarati rigorosamente “in base uno”? Farebbero al caso vostro o siete troppo “mediterranei”, e il solo pensiero di pranzare o cenare in pubblico ma vis à vis con voi stessi vi mette a disagio? Magari può intrigarvi di più l'idea di partecipare a un flash mob conviviale: appuntamento nella piazza X della città Y all'ora W, per condividere la tavolata con N avventori perfettamente sconosciuti che però, proprio come voi, si vestiranno di colore Z e si porteranno da casa tutto l'occorrente, commestibile e non, della stessa gamma cromatica. Se è così, può darsi che vi piacciano anche le azioni e gli eventi a tema gastronomico, ormai un classico all'interno di musei e gallerie. Chissà, forse siete tra quelli che possono dire di avere sorbito un'ottima zuppa thai cucinata da Rirkrit Tiravanija, artista simbolo di quell'estetica relazionale teorizzata da Nicolas Bourriaud all'inizio degli anni Novanta e più che mai frequentata ancora oggi. Oppure no, la cucina orientale nemmeno vi piace, ma questo non vi impedisce, prima di gustare qualcosa di buono, di frenare l'impulso primario al sostentamento, fotografare la pietanza o tutto il desco, e condividere “la cosa” su Instagram con l'hashtag #foodie (che poi siete voi). Se questi fenomeni vi stuzzicano – l'intelletto, se non l'appetito – ma, meglio ancora, se la vostra sopportazione a proposito ha varcato la soglia della sazietà, vi consiglio di leggere Pratiche relazionali del cibo. Mangiare nell'epoca dei social di Evelyn Leveghi (postmedia books, 2015). Il saggio vi aiuterà a scegliere da questo menù secondo il vostro maggiore gradimento, o vi porgerà, di contro, un formidabile ammazza-caffè qualora l'offerta “eno-gastro-maniacale”, declinata all'infinito da editoria e palinsesti televisivi, vi risultasse, ormai, invasiva e indigeribile.
I presupposti del volumetto, anche a spulciare tra le righe del blog dell'autrice (www.evelleve.com), sono presto esplicitati: se studiate design di interni al Politecnico di Milano, ma la vostra passione per la progettazione degli spazi è pari a quella per il cibo, e in particolare per il cioccolato – al punto che nel 2004 partecipate a un corso intensivo di pralineria, e un periodo di lavoro presso un laboratorio artigianale di Trento vi cambia la vita – non avrete scampo: andrete sempre alla ricerca del rapporto tra le forme e gli alimenti, e tra le modalità della consumazione all'interno (e all'esterno) dei luoghi (soprattutto urbani) e le conseguenti dinamiche di relazione che si vengono a creare tra gli avventori. Il libro, poi, verrà quasi da sé, come tentativo di analizzare il rapporto tra alimentazione, architettura e arte contemporanea da una prospettiva di tipo sociologico; una sfida tanto più ambiziosa quanto più raccolta in medias res, e come tale soggetta ai rischi e ai limiti conoscitivi e prospettici del caso. Piuttosto che approfondire il rapporto dei singoli individui con la sfera della nutrizione, Leveghi preferisce dunque analizzare la matrice squisitamente relazionale del cibo, in quanto fatto sociale e culturale collettivo e connettivo, e mostrare come proprio le relazioni siano divenute il mezzo e il soggetto privilegiato di molte delle produzioni attuali. Il ventaglio, come si intuisce, ha moltissimi spicchi: si spazia da L'universo gastronomico, sociale e relazionale del cibo di strada ai Fenomeni attuali di estetizzazione del cibo, passando ovviamente per le Pratiche artistiche contemporanee (osservate soprattutto attraverso la lente dell'Esthétique Relationnelle) e alcuni focus di approfondimento – dedicati al designer catalano Martì Guixé, alla designer olandese Marije Vogelzang, e al già citato Rirkrit Tiravanija.
Ma se un appunto si può muovere al lavoro di Leveghi è che, terminata la lettura, a dispetto delle 121 pagine e delle promettenti premesse teoriche, si ha come l'impressione di avere mandato giù uno dopo l'altro solo una lunga serie di assaggi: tanti bocconi, ma purtroppo tutti eccessivamente mignon. Da una parte, questo aiuta anche il lettore più ostile all'argomento a comprendere e distinguere meglio le profonde questioni socio-filosofiche dalle semplici mode che (lo voglia o no) ne influenzano la percezione e il consumo del cibo nella società contemporanea; dall'altra, tuttavia, il lettore più “bulimico” e appassionato dovrà “accontentarsi” di trovarvi ottimi stimoli e spunti per approfondire l'indagine in modo autonomo (anche a questo serviranno le note bibliografiche alla fine dei capitoli). Ma è un appunto, si badi, che non individua nel libro un vero e proprio difetto, quanto piuttosto la cifra distintiva di molte delle più recenti pubblicazioni sull'argomento, specie se calate nel tempo vivo e social-issimo dell'Expo, “esposizione universale di tutto l'edibile possibile e immaginabile”: il loro destino, per statuto, sembra essere quello di lasciare gli appassionati piuttosto insoddisfatti, e dunque ancora più affamati di come potevano esserlo prima di avventarsi sulla pagina d'ouverture.
Cecilia Mariani