Nessuno può sfrattarci dalle stelle
di Diego Cugia
Mondadori, 2015
pp. 144
€ 17 (cartaceo)
«Purtroppo la povertà non ha strategie, riscatto, vie di scampo. Ti lascia svuotato, senza energie, solo. Ti prosciuga pure la fantasia.» Fortunatamente, non sempre è così. Anzi, a volte i tempi di crisi sono un motore diesel, che richiede tempo per raggiungere alte velocità, ma poi porta alla meta della fantasia come fuga o, più interessante, come modalità tutta nuova per osservare e capire meglio il presente.
Così il ritorno alla narrativa di Diego Cugia è un tanto inatteso quanto piacevolissimo viaggio di fantasia, che allontana dalle celle di Alcatraz, dove era rinchiuso l'ormai indimenticabile Jack Folla, per chiudersi - con nostalgia, senza detenzione - nella casa di Massimo Pietro. Per un'ultima notte, prima dello sfratto. Massimo Pietro aveva tutto: un bel lavoro creativo, scriveva sceneggiature e programmi; una famiglia; un futuro. Poi qualcosa si è abbattuto sulla sua stabilità economica e familiare, ed eccolo solo in una casa che dovrà sgomberare, senza sapere dove e come muovere i bauli con i ricordi di famiglia.
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Potrebbe essere una notte tristissima in cui prendere atto pateticamente del fallimento; e invece, qualcosa accade. Dopo pochissime pagine, quando ancora non abbiamo capito bene il protagonista, ecco che qualcuno bussa alla porta. All'inizio Massimo Pietro non vede nessuno; poi abbassa lo sguardo e riconosce un bambino, nel buio. Un piccolo zingaro? Cerca di capire perché un bambino si aggiri da solo, ma presto la diffidenza si placa davanti alle tante curiosità del nuovo arrivato, attratto da un libro raro sui volatili, adorato dallo stesso Massimo Pietro. Certo, qualcosa appare strano quando l'ospite afferma con decisione di chiamarsi Massimo Pietro, proprio come il protagonista...
E lì qualcosa si incrina: no, non è il pianto del protagonista; è la realtà, che subisce uno strattone violento e si infrange per lasciar entrare - dalla porta, dalle finestre, nella mente del lettore - la fantasia. Presto iniziano a bussare gli avi di Massimo Pietro, che entrano nella sua ultima notte in casa per raccontarsi, dare consigli, rivelare tratti comuni che - quasi inquietantemente - si ripresentano di generazione in generazione.
Chi non ha mai sognato, almeno una volta, di incontrare quel famoso bisnonno eroico, o quella bellissima trisavola decantata da tutti? A Massimo Pietro è concesso tutto questo e, dopo il primo sgomento, l'ironia ha la meglio sulla tristezza dello sfratto.
Forse si tratta solo del tentativo di fuggire da una realtà troppo dura da accettare? È lo stesso Massimo Pietro a proporlo:
“Povero, infaticabile cervello nostro che tenta sempre di mettere una pezza agli avvenimenti che non comprende, anche i più illogici e inspiegabili."
Con Diego Cugia dopo la nostra presentazione a #BCM15 |
O forse non è così, ma nell'ultima notte, tra viaggio onirico e smisurato volo pindarico dell'immaginazione, al protagonista è concessa un'appassionante e ilare scoperta di sé a partire dalle proprie radici, tra idisincrasie, colpi di scena che hanno della grande commedia e danno prova di tutta la sapiente scrittura per il pubblico di Cugia. E poi c'è questa componente favolistica, aumentata dalla compresenza di tre singolari animali parlanti simpaticissimi, due cani e una pecora, che accompagneranno la vicenda con divertenti a parte, fino all'incombere dell'alba, quando la realtà tornerà a bussare alla porta.
GMGhioni
L'ipse dixit:
“Non sorridete, vi assicuro che far divertire il prossimo è un mestiere usurante come chi scava nelle miniere di carbone”
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