Il ladro di Libri
di Alessandro Tota e Pierre Van
Hove
Coconino Press, 2015
pp. 180
€ 17,50
Cosa significa avere vent’anni? Non
intendo l’intero decennio; parlo proprio dei vent’anni tondi (due-zero), quell’anno
in cui, se hai deciso di frequentare l’università, stai provando ad affrontare
il trauma di una nuova vita di studi, se invece hai deciso di immetterti nel
mondo del lavoro, stai iniziando a combattere con le insidie del mondo degli
adulti. In entrambi i casi, comunque, qualunque sia l’atteggiamento che hai
deciso di assumere, il senso di inadeguatezza ti accompagnerà per molto tempo,
ben oltre la terza decina, o almeno fino quando la tua vita non avrà imboccato
la strada che conduce alla meta scelta. Potrebbe sembrare la descrizione della generazione
di giovani choosy del XXI secolo, ma
in realtà quella descritta è una condizione esistenziale che tutti i ventenni
dell’umanità hanno vissuto. Definirei il graphic novel di Alessandro Tota e
Pierre Van Hove una cronaca dei vent’anni e di tutti gli stravolgimenti che
questi comportano nella vita di ciascuno di noi.
Nella Parigi del 1953, sfondo
della storia, non si dialoga di cultura su Skype e non si scambiano i propri
pensieri su Twitter, ma ci si incontra nei caffè e alle serate di gala organizzate
dall’editore Gallimard, mecenate esimio della città. Un mondo di giovani diametralmente
opposto a quello attuale ma che nasconde al suo interno lo stesso furore e lo
stesso spirito propositivo di ogni generazione di ventenni.
Daniel Brodin ha infatti poco meno
di vent’anni e si trova a Parigi per studiare legge; così ha voluto la sua
famiglia (in particolare il nonno, avallato dallo zio comunista), originaria di
un piccolo paesino di campagna dove il lavoro rappresentava l’unica moneta con
cui pagare la propria affermazione nel mondo. Impensabile una vita bohémien a bighellonare tra i vicoli
della città. Daniel, però, ha trovato nei libri la salvezza dalla monotonia
della vita di campagna e non solo: la lettura e la scrittura gli causavano “una
continua erezione” che lo ha accompagnato tutta la sua adolescenza. Impensabile,
allora, ignorare i fermenti avanguardistici in atto una volta giunto in città.
Come non perdersi nelle sale gremite dei caffè dove singolar tenzoni poetiche
facevano emergere le nuove energie compositive? Proprio in una serata mondana, Daniel
si ritrova a vendere come sua creazione una poesia di un autore misconosciuto
appartenente al “gruppo dei pazzi”, poeti italiani minori. Il plagio passa
inosservato, la poesia riscuote un successo inaspettato e per Daniel si aprono
le porte di nuove possibilità, in primis la pubblicazione dei propri componimenti
su «Les Temps Modernes», la rivista diretta da Sartre. “Il giorno più felice
della mia vita” dichiara senza remore; ma Daniel è giovane, appunto un
ventenne, e un vortice di eventi lo spingerà ad essere vittima, carnefice,
agitatore, raffinato artista e dissoluto avanguardista, fino al picaresco
epilogo della sua storia.
Il disegno di Pierre Von Hove,
che rimanda esplicitamente alla tradizione di Robert Crumb, Daniel Clowes e
dell’underground statunitense (dal gusto per il bianco e nero, alla fisicità
cartoonesca dei personaggi, alla suddivisione ordinata della tavola in 9
vignette, seppur non manchino le splash page adatte a raccontare i postumi di
notti brave tra assenzio e hashish) e che molto ricorda la tecnica fotografica,
si coniuga alla perfezione con la sceneggiatura imbastita da Alessandro Tota
(tra i fondatori della rivista «Canicola» e autore di graphic novel visionari e
rivoluzionari, come Fratelli e Yeti). Il premio Gran Guinigi
per il miglior graphic novel al Lucca Comics & Games 2015 è tutto meritato.
La storia, infatti, si snoda su tre livelli contemporaneamente, in apparenza
slegati ma che in realtà convergono verso il medesimo punto.
Su un solco si muove la vita di
un giovane che si racconta in prima persona; pochi i dialoghi e molte le
didascalie, in un continuo avvolgere su se stessi le proprie sensazioni e i
propri pensieri, spesso amplificati e idealizzati (chi è che non costruisce in
mente opere architettoniche dalle fragili fondamenta?).
Sulla seconda strada si apre una
finestra sui fermenti letterari della Parigi degli anni Cinquanta: si conoscono
nomi nuovi dell’avanguardia lettrista e si scopre il peso che il pensiero di Jean-Paule
Sartre, Albert Camus, Simone de Beauvoir e René Char ebbe inevitabilmente su
quella generazione antiborghese, madre dei sessantottini che su queste idee
fondarono il proprio movimento.
Sul terzo livello, quello più
profondo e affascinante, si toccano astrazioni più profonde sui concetti di
felicità, successo e arte. Il protagonista in un primo momento crede che il
successo sia farsi abbracciare da una marea di gente che approva il suo (falso)
componimento; avalla quest’idea, mitigando la gloria con la vita dissoluta tra alcool
e fumi insieme al gruppo di poeti contestatori. Nel corso della storia capisce
che invece la felicità consiste in altro: una casa, una donna a cui organizzare
piccole sorprese e la monotonia delle dolcezze quotidiane. Proprio quando perde
ogni cosa, guadagna tutto. Tuttavia la vita riserva sempre delle sorprese e
anche il pensiero della felicità, a volte, non è sufficiente ad assicurare la serenità.
Daniel è un Il ladro di libri non
solo metaforico, poiché si appropria di opere altrui, ma anche reale, in quanto
inizia la sua carriera di voleur
proprio rubacchiando volumi dalle librerie. È un gesto per lui irresistibile e
in tutta l’irrazionalità di quest’atto sta la bellezza del volume: è una storia
inventata, che racconta le vicende di un uomo comune con tutti i suoi vizi e i
suoi tic, ma al tempo stesso riluce della grandezza artistica che le fa da
sfondo, realistica come altrimenti non potrebbe essere.
Federica Privitera
Tavole riprodotte per autorizzazione della casa editrice
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