Franz e François
François Weyergans
trad. Stefania Ricciardi
L'Orma editore, 2015
Tale padre tale figlio, tale madre tale figlia. Quante volte
me lo sono sentita ripetere da bambina. Peccato che io e mia madre non abbiamo
mai avuto nulla in comune, sebbene da piccola la venerassi come una dea. Questo
binomio padre (Franz) – figlio (François) è il nucleo centrale di quella che
potrebbe essere superficialmente definita l’autobiografia del regista-scrittore
belga François Weyergans. A dirla tutta, definire François regista-scrittore
potrebbe offendere la sensibilità del defunto padre. Una birichinata, da parte
mia, dato che l’attrito tra i due nasce proprio dall'attività letteraria del
figlio. Un regista, per Franz. Un regista e
scrittore, per François. Questione di congiunzioni.
Sarà bene procedere un passo alla volta. Franz e François non può essere definito semplicisticamente un’autobiografia.
François Weyergans non rispecchia la definizione di Philippe Lejeune secondo
cui l’autore dovrebbe concentrarsi sulla “sua vita individuale”. Qui, non ci si
sofferma sull’individuo e sulla singola vita dell’autore. Lo stesso titolo lo
suggerisce: la congiunzione “e” unisce due individui. A meno che – e la libera
interpretazione letteraria non lo vieta, anzi –, quella congiunzione non venga
interpretata come un’unione tra il primo e il secondo individuo.
Personalmente, non
voglio etichettare questo testo. Un po’ autobiografia, un po’ diario dei
ricordi, un po’ confessione psicoanalitica, il genere in questione ideato da
Weyergans è aperto a tutte le interpretazioni. Il testo può essere
suddiviso in due parti: la prima, in terza persona, in cui si racconta la fase
precedente alla scrittura stessa del testo e la fatica di portare a termine
(cinque anni!) un progetto tanto sentito quanto complesso a livello intimo. La
seconda parte, in prima persona, può essere suddivisa a sua volta in due parti,
anche se non è presente una vera e propria linea di demarcazione: in alcuni passaggi, l'autore rivive i ricordi familiari; in altri passaggi, l’autore intrattiene una conversazione con lo psicoanalista Zscharnack
che finisce per trasformarsi in una sorta di monologo con il lettore.
Come già precisato, il
titolo identifica il punto focale dell’azione: il rapporto tra Franz (padre) e
François (figlio). Lo stesso titolo deriva da un ricordo di François:
organizzato uno sketch comico con il padre, all’epoca l’autore desiderò
intimamente che si fossero chiamati semplicemente Franz e François piuttosto
che con il sarcastico Torci e Collo. Il testo è un giornale intimo, un racconto d’amore
in cui François Weyergans ripercorre tutta la storia del rapporto col padre
fino alla rottura pochi mesi prima della
morte di Franz.
Eppure, la morte
rappresenta solo una separazione fisica. Così come aveva già fatto il padre con
il figlio, François imprime il ricordo di Franz nero su bianco. Il lettore
comprende che sebbene l’autore faccia di tutto per non diventare l’alter ego
del padre, in realtà ne diventa il prosecutore. François Weyergans fa suo il
bagaglio culturale del padre evolvendolo. Spoglia il lavoro del padre delle
vedute strettamente cattoliche, ne assimila gli aspetti positivi e li adatta ad una cultura laica. Così, quello che
voleva essere un semplice ricordo e al contempo una critica al padre, diventa
un racconto d’amore straziante e commovente. Il pathos culmina quando l’autore regala
l’ultima penna a Franz, simbolo di rispetto nei confronti del suo lavoro
di critico cinematografico e letterario.
Proprio per questo
motivo, sento di dover riassumere il tutto con le parole dell’autore: “L’unica
cosa che conta veramente è l’amore, poco importa come si manifesta”. Non avrei
saputo trovare parole migliori.
Arianna Di Fratta