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#FFF2015. Linda Lê: "Come un'onda improvvisa", l'insostenibile leggerezza dei rapporti umani

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Come un'onda improvvisa
di Linda Lê

Edizioni Clichy, 2014

Trad. italiana di Federica Di Lella,
Lorenza Di Lella e Francesca Scala

pp. 266, 15 €



Quando si entra in libreria, ognuno di noi in genere sa bene dove dirigersi: c’è la sezione dei gialli, per gli amanti delle investigazioni; c’è il reparto dedicato ai libri storici, per gli eterni nostalgici; ci sono i romanzi d’introspezione, per i più riflessivi; infine, i grandi classici, quelli ai quali si può attingere per non sbagliare mai. E io davvero non so dove, in libreria, si potrebbe collocare Come un’onda improvvisa di Linda Lê. Ogni scelta apparirebbe come un errore di giudizio, un imperdonabile impoverimento di un romanzo che contiene tracce di ogni genere (e molto di più).

È gialla la trama alla base del libro: Van viene investito e ucciso dalla moglie Lou, all'uscita dell’appartamento della sua amante, Ulma. È storico nelle lunghe digressioni sull'infanzia e l’adolescenza di Van in Vietnam, suo paese natale, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Anni durissimi per il Paese, sconvolto dall'intervento militare degli Usa nel Nord prima, e dal regime comunista poi, dilagato fino a Saigon, città natale di Van, da cui l’uomo fugge per trasferirsi a Parigi a quindici anni, grazie ai grandi sacrifici dell’adorata madre, interprete presso l’Ambasciata francese. È un romanzo d’introspezione nella forma: quattro voci si alternano, Van, Lou, Ulma e Laure, la figlia di Van e Lou. Quattro distinti flussi di coscienza che, nell'arco di una giornata (dalla notte fonda al crepuscolo) e all'indomani del funerale di Van, ripercorrono la propria esistenza, analizzano le cause, discutono gli effetti, sviscerano i percorsi intrapresi, recriminano, rimpiangono, ricordano.


Infine, Come un’onda improvvisa assurge al rango di grande classico, per le tematiche sollevate e per lo stile raffinato del narrare. La famiglia, i legami di sangue e quelli elettivi, in senso goethiano, la connessione atavica e inconscia che Van ha con le proprie origini, sebbene la rinneghi, e che lo porterà tra le braccia di Ulma, personificazione di una Patria abbandonata frettolosamente e di una Madre persa precocemente, come lui stesso ammette: 
Amarla, per me che mi ero sempre sentito in esilio, significava scoprire di avere una patria, non essere più uno straniero incapace di entrare veramente in sintonia con gli altri.
E ancora:
Non avrei adorato Ulma se non avessi proiettato su di lei l’amore che nutrivo per la donna che mi aveva partorito.
Lo stile, infine: una narrazione esteticamente bella, ricca nel linguaggio, profonda nelle sfumature semantiche, che fa apprezzare anche quelle parti del romanzo in cui lo svolgersi del racconto si ferma, indugia, langue in un’analisi che è intima e personalissima per ognuno dei personaggi, tanto che il lettore, a tratti, si percepisce quasi come una spia, un intruso, un osservatore improprio che incolla l’occhio allo spioncino di una porta e non se ne stacca che all’ultimo, quando tutto è disvelato, ogni segreto esposto, e tuttavia nulla risolto né risolvibile.

Nulla trova composizione alla fine, non può esserci pace alla disperazione immersa in recriminazioni di Lou, che si duole di quell’attimo di cieca follia che l’ha portata a premere l’acceleratore; nella lucida calma sconsolata di Van, che riflette su ciò che è avvenuto considerando ineluttabile tanto il gesto della moglie, quanto il suo amore patologico per Ulma; nelle lunghe lettere di quest’ultima al suo psichiatra, dove racconta di una madre che non l’ha amata, che anzi la invidia con malignità per i suoi successi professionali e privati, e che l’ha condotta a due tentativi di suicidio; e infine nel maturo dolore di Laure, che ha perso un padre e si preoccupa per la madre.

È forse il legame patologico col passato l’elemento chiave che accomuna i personaggi adulti di questo romanzo, Van, Lou e Ulma. Questione modernissima e insita in una società - la nostra - sempre meno capace di elaborare, maturare, superare. Al centro delle lunghe riflessioni dei protagonisti, infatti, c’è sempre una relazione malsana con le figure di riferimento, una solitudine esasperata e impossibile da superare. Van rifiuta l’idea di Patria a causa dell’abbandono subìto da parte del padre, quando era piccolissimo; Lou odia la madre, che ha sempre preferito i suoi fratelli maschi a lei e l’ha ripudiata quando si è sposata con un vietnamita. Ulma, infine, ha un legame patologico con la madre, tossicodipendente e animata da una sincera cattiveria nei confronti della figlia; un legame che Ulma non riesce a rompere, malgrado tutto, che continua a influenzarla nelle scelte, nella visione del mondo e di se stessa, tanto che nelle sue lunghe lettere al dottor Sullivan, il punto di vista materno si sovrappone e cancella ogni spiraglio d’identità di Ulma, la fagocita, e la voce di una diventa quella dell’altra, dando un vero senso di soffocamento al lettore.

Chiudere Come un’onda improvvisa ti fa sentire per un attimo privo di speranza, totalmente disincantato, e un filo infastidito, forse, da quell'ineluttabilità che si percepisce ad ogni pagina.Ma leggerlo è un’esperienza affascinante, una riflessione profonda alle radici dell’essere e della natura dei rapporti umani.

Barbara Merendoni