Come un'onda improvvisa
di Linda Lê
Edizioni Clichy, 2014
Trad. italiana di Federica Di Lella,
Lorenza Di Lella e Francesca Scala
Lorenza Di Lella e Francesca Scala
pp. 266, 15 €
Quando si entra in libreria, ognuno di noi in genere sa bene
dove dirigersi: c’è la sezione dei gialli, per gli amanti delle investigazioni;
c’è il reparto dedicato ai libri storici, per gli eterni nostalgici; ci sono i
romanzi d’introspezione, per i più riflessivi; infine, i grandi classici,
quelli ai quali si può attingere per non sbagliare mai. E io davvero non so dove, in libreria, si potrebbe collocare Come un’onda improvvisa di Linda Lê. Ogni scelta apparirebbe come un errore
di giudizio, un imperdonabile impoverimento di un romanzo che contiene tracce di
ogni genere (e molto di più).
È gialla la trama alla base del libro: Van viene investito e
ucciso dalla moglie Lou, all'uscita dell’appartamento della sua amante, Ulma. È storico nelle lunghe digressioni sull'infanzia e l’adolescenza
di Van in Vietnam, suo paese natale, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta
del Novecento. Anni durissimi per il Paese, sconvolto dall'intervento militare
degli Usa nel Nord prima, e dal regime comunista poi, dilagato fino a Saigon,
città natale di Van, da cui l’uomo fugge per trasferirsi a Parigi a quindici anni, grazie ai grandi sacrifici dell’adorata
madre, interprete presso l’Ambasciata francese. È un romanzo d’introspezione nella forma: quattro voci si
alternano, Van, Lou, Ulma e Laure, la figlia di Van e Lou. Quattro distinti
flussi di coscienza che, nell'arco di una giornata (dalla notte fonda al
crepuscolo) e all'indomani del funerale di Van, ripercorrono la propria
esistenza, analizzano le cause, discutono gli effetti, sviscerano i percorsi
intrapresi, recriminano, rimpiangono, ricordano.
Infine, Come un’onda improvvisa assurge al rango di grande
classico, per le tematiche sollevate e per lo stile raffinato del narrare. La
famiglia, i legami di sangue e quelli elettivi,
in senso goethiano, la connessione atavica e inconscia che Van ha con le
proprie origini, sebbene la rinneghi, e che lo porterà tra le braccia di Ulma, personificazione
di una Patria abbandonata frettolosamente e di una Madre persa precocemente, come
lui stesso ammette:
Amarla, per me che mi ero sempre sentito in esilio, significava scoprire di avere una patria, non essere più uno straniero incapace di entrare veramente in sintonia con gli altri.E ancora:
Non avrei adorato Ulma se non avessi proiettato su di lei l’amore che nutrivo per la donna che mi aveva partorito.
Lo stile, infine: una narrazione esteticamente bella, ricca
nel linguaggio, profonda nelle sfumature semantiche, che fa apprezzare anche
quelle parti del romanzo in cui lo svolgersi del racconto si ferma, indugia,
langue in un’analisi che è intima e personalissima per ognuno dei personaggi, tanto
che il lettore, a tratti, si percepisce quasi come una spia, un intruso, un osservatore
improprio che incolla l’occhio allo spioncino di una porta e non se ne stacca
che all’ultimo, quando tutto è disvelato, ogni segreto esposto, e tuttavia
nulla risolto né risolvibile.
Nulla trova composizione alla fine, non può esserci pace
alla disperazione immersa in recriminazioni di Lou, che si duole di quell’attimo
di cieca follia che l’ha portata a premere l’acceleratore; nella lucida calma
sconsolata di Van, che riflette su ciò che è avvenuto considerando ineluttabile
tanto il gesto della moglie, quanto il suo amore patologico per Ulma; nelle
lunghe lettere di quest’ultima al suo psichiatra, dove racconta di una madre
che non l’ha amata, che anzi la invidia con malignità per i suoi successi
professionali e privati, e che l’ha condotta a due tentativi di suicidio; e
infine nel maturo dolore di Laure, che ha perso un padre e si preoccupa per la
madre.
È forse il legame patologico col passato l’elemento chiave
che accomuna i personaggi adulti di questo romanzo, Van, Lou e Ulma. Questione
modernissima e insita in una società - la nostra - sempre meno capace di elaborare, maturare, superare. Al centro delle lunghe riflessioni dei protagonisti,
infatti, c’è sempre una relazione malsana con le figure di riferimento, una
solitudine esasperata e impossibile da superare. Van rifiuta l’idea di Patria a
causa dell’abbandono subìto da parte del padre, quando era piccolissimo; Lou
odia la madre, che ha sempre preferito i suoi fratelli maschi a lei e l’ha
ripudiata quando si è sposata con un vietnamita. Ulma, infine, ha un legame
patologico con la madre, tossicodipendente e animata da una sincera cattiveria
nei confronti della figlia; un legame che Ulma non riesce a rompere, malgrado
tutto, che continua a influenzarla nelle scelte, nella visione del mondo e di
se stessa, tanto che nelle sue lunghe lettere al dottor Sullivan, il punto di
vista materno si sovrappone e cancella ogni spiraglio d’identità di Ulma, la
fagocita, e la voce di una diventa quella dell’altra, dando un vero senso di
soffocamento al lettore.
Chiudere Come un’onda improvvisa ti fa sentire per un
attimo privo di speranza, totalmente disincantato, e un filo infastidito,
forse, da quell'ineluttabilità che si percepisce ad ogni pagina.Ma leggerlo è un’esperienza affascinante, una riflessione
profonda alle radici dell’essere e della natura dei rapporti umani.
Barbara Merendoni