Ama ciò che sei
di Silvia Tesio
di Silvia Tesio
Mondadori, 2015
pp. 168, 18.00 €
pp. 168, 18.00 €
Un vecchio detto recita che la storia non si fa con i se o con i ma. Lo ammetto, per molti anni anche io indugiavo nel what if, chiodo fisso che può torturare l’animo umano. Cosa sarebbe successo se non avessi fatto, detto, accettato o se avessi chiesto, risposto, indagato? Protagonista primario di questi viaggi mentali è quasi sempre il nostro io: egoisticamente la storia dell’umanità passa in secondo piano. Il titolo scelto da Silvia Tesio traspare serenità e accettazione; un invito a non viaggiare troppo in questo mondo di ripensamenti perché il migliore se della storia siamo proprio noi.
La verità è che tutto quel gran parlare di “rispettare se stessi” parte dal presupposto che uno sappia chi è.
In realtà Ama ciò che sei racconta un intrigo di segreti che di sereno hanno ben poco. Ha dei segreti Marta, non solo con gli altri ma soprattutto con se stessa, incapace a quarant’anni di ritagliarsi un posto autonomo nel mondo. Sta dormendo profondamente nel suo appartamento di Parigi, abbracciata al compagno di vent’anni più giovane, quando il telefono squilla: la voce della madre, con cui ha cercato sempre di stabilire una distanza geografica a salvaguardia della sua serenità, le dice di tornare subito a Torino, perché Andrea sta morendo. Quel nome che da vent’anni era stato cancellato dalla sua quotidianità, ripiomba con forza nella sua vita, strappandola alla delicata routine conquistata a fatica.
Anche Andrea ha dei segreti, tanti, tanti segreti: vive in un corpo che non sente suo, schifato tanto dai suoi attributi sessuali quanto dagli atteggiamenti da checca degli omosessuali più sfrontati. Lui semplicemente è una donna a cui alla casa madre hanno sbagliato i connotati.
Anche Andrea ha dei segreti, tanti, tanti segreti: vive in un corpo che non sente suo, schifato tanto dai suoi attributi sessuali quanto dagli atteggiamenti da checca degli omosessuali più sfrontati. Lui semplicemente è una donna a cui alla casa madre hanno sbagliato i connotati.
Fingere di essere qualcuno che non sei senza sapere però come fare a smettere è una tortura.
L’incontro tra i due è l’origine di un viaggio nel tempo tra anni Settanta e anni Duemila, affidato al racconto in prima persona di Marta e alle pagine dei diari dei due amici, scritte in una contemporaneità inconsapevole. Gli scheletri nei guardaroba (perché c’è bisogno di cabine armadio per contenere una tale quantità di segreti) vengono a poco a poco tirati fuori e messi sotto la luce del sole, per sgretolarsi immediatamente come nelle migliori storie di vampiri. Quella che viene imbastita in superficie è una vera commedia degli equivoci che insegue non detti e sottintesi che alleggeriscono il tono di una storia che, in realtà, nasconde un secondo strato denso di riflessioni e pensieri sul concetto di identità. Alla fine della fiera ottenere la propria identità sessuale appare (forse troppo banalmente) un’operazione molto più semplice che assegnare un nome alla propria identità interiore.
A volte il destino si organizza per esaudire i tuoi desideri, ma lo fa attraverso strade tortuose e inesplicabili.
La filastrocca d'apertura |
La scrittura della Tesio ti avvolge, scorre coinvolgente con quella piacevole leggerezza che ti spinge come una droga a sfogliare pagine pur di scoprire la fine della storia; vuoi mettere un punto a questi eventi così incredibilmente casuali ma che lasciano presagire una conclusione, di qualunque tipo, non per forza positiva. La delusione è tanta nel constatare che tutti i fili che erano stati sospesi in maniera magistrale in realtà non convergano in nessun nodo. Ti aspetti allora uno di quei finali enigmatici che ti costringono a ripensare a tutta la storia con un’altra ottica e ti lasciano quell'insicurezza tipica dei grandi libri. Molti bei personaggi apparsi perdono la loro forza; molte delle belle riflessioni effettuate non trovano riscontri nelle decisioni prese dalla protagonista; molti luoghi descritti con minuzia di particolari non si impongono con la loro carica emotiva. Cosa rimane, allora? Una storia ben raccontata, che si perde in una trama poco strutturata, e una filastrocca d’apertura che dice molto, forse di più della storia che introduce.
Federica Privitera
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