Vite segrete dei grandi scrittori italiani
di Lorenzo di Giovanni e Tommaso Guaita
con illustrazioni di Tommaso Guaita
Electa Mondadori, 2015
Vite segrete dei grandi scrittori italiani di Lorenzo di Giovanni e Tommaso Guaita, corredato dalle divertenti e godibili illustrazioni dello stesso Guaita, è una raccolta di aneddoti e curiosità sui vizi, le manie e i tic dei grandi autori della letteratura italiana, a testimonianza del fatto che tutti i grandi scrittori, prima che poeti e narratori, sono uomini e donne come noi, con le loro debolezze e imperfezioni. Leggendo il libro si può venire a conoscenza non solo delle vicende importanti e pubbliche, che sono tipiche delle biografie ufficiali, ma anche dei fatti un po’ più curiosi, intimi e privati dei vari letterati italiani di tutti i tempi. In tal modo si scoprono abitudini e aspetti insospettati e sorprendenti della loro personalità.
Come passavano il tempo i grandi autori della letteratura italiana, tra un capolavoro e l’altro? Dante si trastullava, scambiando insulti in rima con gli amici o stilando liste delle femmine più procaci di Firenze. Boccaccio era solito apporre, a commento originale dei libri che considerava banali e scialbi, dei disegni volgari, come il braccio a forma d’ombrello. Carducci era un appassionato di briscola e scopone scientifico, e passare per una schiappa nei giochi di carte lo faceva imbestialire più di un giudizio critico negativo fatto a un suo componimento poetico: "Ditemi pure che non so far versi ma non dite che non so giocare a scopa", disse una volta a un suo compare in osteria. Verga passò gli anni delle vecchiaia al bar del quartiere a giocare a biliardo o a starsene appoggiato al tavolo di gioco con l’occhio lungo rivolto verso la strada, per intercettare le donzelle in transito davanti all’ingresso. Silvio Pellico trascorse quasi dieci anni della sua vita nella prigione dello Spielberg, passando buona parte del tempo, visto che non c’era poi molto da fare, ad ammaestrare formichine e ragni. Calvino, durante il suo lavoro in casa editrice, rosicchiava letteralmente penne e matite, tanto che il suo collega Pavese, irritato dall’incessante rumore, prese a chiamarlo "scoiattolo".
Che vizi aveva l’elite letteraria italiana? Leopardi era così goloso di tarallucci,gelati,cassatine,spumoni,sorbetti e mantecati, che lo scrittore Alberto Savinio, indagando a fondo su questa sua debolezza, scrisse in una rivista che il poeta recanatese era sicuramente morto di quella che i napoletani chiamano "a' cacarella". Il professor Pascoli, invece, era solito sbronzarsi anche prima di andare a scuola, e a volte, durante lo svolgimento delle lezioni, cadeva, con la testa annebbiata dai fumi del cognac, in un lieve e improvviso sonno alcolico. Svevo era un fumatore accanito come lo Zeno del suo romanzo, e riusciva anche a fumare sessanta sigarette al giorno; ma il record tra gli scrittori fumatori spetta a Salgari che era capace di rollarsi fino a cento sigarette giornaliere. Con il fumo, però, colui che si spinse più avanti, anche se solo in un’occasione, fu l’insospettabile Ungaretti che , nel corso di una festa, provò a fumare marijuana; ne rimase profondamente deluso, constatando che era sicuramente meglio "drogarsi di poesia".
Gli spigolosi e ruvidi lati del carattere di alcuni scrittori emergono fin dai primi anni di vita. Marinetti manifestò la sua indole irrequieta, ribelle e futurista già da bambino: aveva l’abitudine di abbassarsi i pantaloni e di affacciarsi alla finestra o al balcone di casa, rilasciando un rubinettante ed arcuato getto di piscio sui malcapitati passanti. Oriana Fallaci diede i primi segnali di ribellione addirittura già prima di nascere, mentre ancora sguazzava nel liquido amniotico: la madre aveva deciso di abortire e ogni giorno tracannava a tale scopo un bicchiere di acqua e sale, finché, dopo una capriola uterina, Oriana non le fece cambiare idea e la mamma decise di tenersi la figlia, portando a termine la gravidanza.
Anche i grandi letterati, come tutti gli esseri mortali di questo mondo, soffrirono di malattie e ossessioni di vario tipo. Alcuni di loro manifestarono i primi disturbi fin dall'adolescenza. Alfieri mise in atto un goffo tentativo di suicidio già all'età di sei anni. Aveva saputo dell’esistenza di una pianta velenosa chiamata cicuta: così un giorno scappò da casa di nascosto dalla madre, si mise a strappare l’erba del prato circostante e la ingurgitò, sperando che in quelle zolle cavate a mani nude ci fosse traccia della pianta letale. Ma il tentativo fallì miseramente e il piccolo Alfieri riuscì a procurarsi soltanto una banale indigestione e qualche conato di vomito. Anche Foscolo ebbe degli sbalzi d’umore fin da piccolo, tanto che una volta fu cacciato dal collegio perché aveva picchiato due maestri. I genitori provarono a curare questo suo caratteraccio somministrandogli una bizzarra terapia a base di vino, che però, ebbe solo l’effetto di procurargli sbronze tristi e picchi d’ira. Torquato Tasso sviluppò strane forme di allucinazioni: vedeva folletti che gli aprivano i cassetti e gli rubavano la cena. Ma il più problematico di tutti fu Alessandro Manzoni che aveva mille tic e disturbi: soffriva di agorafobia, era ossessionato da alcuni rumori, tra cui il cinguettio degli uccelli, ed era afflitto da un balbettamento che non gli permetteva in alcun modo di parlare in pubblico. Silvio Pellico era invece terrorizzato dalle ombre e, quando gli capitava di guardare sotto i mobili o negli angoli bui, era convinto di vedere tante piccole vecchie che gli facevano delle smorfie di scherno. Gadda era talmente ossessionato dalle feci, che nei suoi libri le descrisse come dei dolci: "merde mandorlate come torroni secchi", "merde imbimbite come babà", escrementi di gallina che diventano "cioccolatini verdi" o "bonbons". Pirandello, dopo aver avuto a che fare per tutta la vita con una moglie folle, negli ultimi anni fu colpito da demenza senile, tanto che un giorno a tavola, circondato dai nipotini borbottò: "Virrì, virrivivì, enchirichiticchiù e firticchiu", lasciando basiti i commensali.
Nel libro si incontrano, poi, scrittori in preda a istinti sessuali irrefrenabili, spesso animaleschi. Il focoso Machiavelli si sfogava solitamente con prostitute alla buona , come la bella signora di Ponte alle Grazie che lo aspettava a fiche aperte, pronta a soddisfare le sue voglie. Un giorno fu preso da una "foia" così insaziabile che, non trovando niente di meglio, si accontentò di sfogare il suo appetito sessuale con una vechia ribalda, benché questa avesse le coscie vize et la fica umida, gli occhi storti, la bava alla bocca, pochi capelli pidocchiosi e un’orribile peluria sul volto et che le putissi un poco el fiato. Goldoni si faceva prendere dal desiderio anche in pubblico, amoreggiando tra i canali veneziani sotto gli occhi indiscreti dei barcaioli. L’erotomane D’Annunzio aveva la mania di fare strani regali alle sue amanti; dopo aver tagliato i capelli o i peli dei baffi, durante la toletta, li riponeva in una scatola per donarli a una delle sue donne. Con una di queste, Olga Levi Brunner, fece addirittura di peggio: le regalò un suo fazzoletto, dopo averlo vergato a modo suo con del liquido seminale. Pavese, durante il confino solitario in Calabria, quasi impazzì, preso da voglie sessuali bestiali, come testimoniato da una lettera scritta alla sorella: "Ho notato che le scrofe, qui numerosissime, viste di dietro hanno una somiglianza impressionante con la vista di dietro delle signorine in genere. Son tentato di condurmene una a letto per compagnia."
Riguardo, infine, alle attività sportive e motorie praticate, quasi tutti i grandi letterati furono sedentari. Tra le eccezioni figura Pasolini, che faceva molto sport e giocava piuttosto bene a calcio: era molto agile con la palla tra i piedi e fu anche tra i fondatori della Nazionale Attori. Lo stesso non si può dire del vate D’Annunzio che non riuscì in alcun modo ad appassionarsi al calcio, appena importato dall'Inghilterra: sulla spiaggia di Francavilla si cimentò nel nuovo sport, ma al primo contatto con il pallone cadde rovinosamente a terra e si ruppe due denti.
L’impressione, una volta terminato il libro, è quella di un’operazione divertente e originale, condotta dai due autori con la leggerezza che è propria delle tematiche affrontate, ma anche con adeguato spirito di ricerca, perché i fatti raccontati nel libro sono tutti veri. Il testo è consigliato a tutti gli appassionati di letteratura italiana, che vogliono farsi delle sane risate, e agli insegnanti di lettere, affinché, nei momenti di stanchezza degli alunni, possano attingere ai numerosi fatti raccontati nel libro, per rendere loro la lezione meno faticosa e i letterati italiani più simpatici.
L’unico scontento, alla fine, rimarrà forse il povero Pavese. I due giovani autori di Vite segrete dei grandi scrittori italiani, infatti, non sembrano aver ascoltato l’ultimo suo desiderio prima di suicidarsi, quando lasciò scritto sulla prima pagina del suo libro Dialoghi con Leucò, che si trovava sopra il comodino accanto al letto in cui fu ritrovato cadavere: "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono, ma non fate troppi pettegolezzi".
Marco Adornetto
(Le illustrazioni di Tommaso Guaita, in ordine di apparizione, rappresentano Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Cesare Pavese e Pier Paolo Pasolini)
Tavole riprodotte per autorizzazione della casa editrice
Marco Adornetto
(Le illustrazioni di Tommaso Guaita, in ordine di apparizione, rappresentano Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Cesare Pavese e Pier Paolo Pasolini)
Tavole riprodotte per autorizzazione della casa editrice
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