L'assassinio nel Vicolo della
Luna (1883)
di Giulio Piccini (Jarro)
Edizioni Rogas, 2015
pp.300
Firenze, anno di Grazia 1831. Un
uomo viene accoltellato in un vicolo del vecchio ghetto. Nonostante l'arresto del presunto colpevole, molti aspetti di questo delitto rimangono
incomprensibili e irrisolti, e sono diversi coloro – tra i quali un poliziotto e un giudice
istruttore – che non sono convinti di aver catturato il vero responsabile.
Questa in estrema sintesi la
trama di una singolare crime story scritta
nel 1883 e ambientata mezzo secolo prima, nella Firenze preunitaria. Il primo
volume delle Inchieste di Lucertolo,
ripubblicato dopo oltre un secolo, è in realtà una sorta di preludio
all'effettivo lavoro di investigazione sul delitto che avrà termine nel secondo
volume dal titolo Il processo Bartelloni,
in cui la figura di Lucertolo, in questo primo volume appena abbozzata, avrà modo di
entrare in scena e di svolgere appieno il suo ruolo.
Perché dunque parlarne ora? forse
perché un racconto poliziesco italiano scritto a fine Ottocento è cosa
abbastanza rara, o forse perché quel poco che in questo volume si ricava circa
le caratteristiche di questo investigatore ci restituisce una figura simile a
un antieroe. Lucertolo – il nomignolo deriva dall'uso toscano di definire un grosso
taglio di carne, a significare il fisico imponente dell'uomo – non è un fine detective che filosofeggia dalla
poltrona armeggiando con violini, pipe e cocaina, ma un semplice e volgare "birro", un poliziotto di strada dai
modi spicci e dall'acume sottile (in termini molto relativi, intendiamoci); l'autore
lo presenta brevemente all'inizio della vicenda, quando il crimine viene
scoperto, per poi dimenticarsene fino agli ultimi capitoli, quando Lucertolo inizia
effettivamente a indagare sull'accaduto e rivela i lati meno edificanti ma
sicuramente più realistici del suo essere.
In effetti, L'assassinio nel Vicolo della Luna ha ben poco a che fare con un
romanzo giallo come di norma lo si intende: è piuttosto quel tipo di narrativa fin-de-siècle che poteva essere
pubblicata a puntate sulla Domenica del Corriere, rivolta a un pubblico non
particolarmente raffinato. Toni melodrammatici, prosa ridondante, continue
divagazioni ne inficiano seriamente la leggibilità e la scorrevolezza.
Nonostante questo, tuttavia, è un libretto che val la pena di sfogliare, se non
altro per la capacità di Piccini/Jarro nel descrivere un ambiente – la Firenze
del primo Ottocento – in modo tutt'altro che edulcorato e nostalgico. Povertà
estrema, squallore, sporcizia sono rese in modo esplicito ed efficace, così
come corruzione e violenza. Non mancano poi accenni all'inefficienza della
macchina burocratica e all'ottusità della polizia governativa, composta in
realtà da semidelinquenti incapaci e pericolosi e incardinata sul fenomeno
della delazione più che sull'effettiva ricerca della verità.
Stefano Crivelli