di Enrico Brizzi
Mondadori, 2015
pp. 497
€ 22
Spinto dall'ansia dei genitori, Teo sta andando in uno sperduto paesino di montagna a cercare suo fratello maggiore Max,
sparito coi suoi due figli dopo aver detto alla ex moglie di sentirsi
un pessimo padre (incapace di provvedere agli alimenti) e aver
espresso la convinzione di poter essere più utile da morto. Che
abbia commesso uno sproposito? Che abbia fatto del male ai bambini?
La struttura dell'ultimo libro di Brizzi alterna brevi momenti
al presente dedicati al viaggio in macchina del fratello minore da Bologna al
Trentino a capitoli più lunghi che ripercorrono la vita della
famiglia Lombardi, a cominciare dall'infanzia dei due figli. Sono
veramente piacevoli le pagine iniziali che ci immergono in un mondo
fatto di giochi, stupore, paura, estati al mare e della felice
inventiva dei ragazzini, che con la fantasia riempiono ogni cosa di
emozionanti significati; si tratta delle normali vicissitudini di due
figli della media borghesia negli anni '80, dipinte però con
profonda capacità descrittiva che consente un appagante ritrovarsi
nei riti pre-puberali del giovane Teo, raccontati con un'unione
perfetta tra il punta di vista del bambino e il lessico e la sintassi
ricca del Brizzi maturo.
Ecco però che in agguato ci sono “gli anni difficili”, quelli
in cui il protagonista comincia a sentire la tremenda ingiustizia
d'esser fratelli minori: non solo ti sono preclusi certi permessi
accordati al figlio più grande, ma da un giorno all'altro passi da
miglior amico di tuo fratello a “bamboccio”, troppo piccolo per
esser ancora un compagno di giochi interessante per chi è già
entrato nell'adolescenza. In questo travagliato periodo
dell'esistenza Max comincia a covare una ribellione “standard”,
plateale ma non violenta, frutto dell'insofferenza agli schemi
angusti della famiglia e soprattutto al contegno moralista della
madre. I germi di quello che i ragazzi diventeranno da grandi può essere scorto, col senno di poi, in quello che hanno vissuto da
piccoli: forse Brizzi a volte collega in maniera troppo diretta le
esperienza del Max minorenne alle sue future scelte di vita, ma in
linea di massima è verosimile che il carattere venga forgiato nel
corso del tempo. Il suo sogno di riuscire a guadagnarsi da vivere
lavorando in montagna (in un contesto di libertà dalle costrizioni
della società borghese), che il padre giudica irrealistico, è il
simbolo delle aspirazioni giovanili che prima o poi (secondo gli
adulti) devono scontrarsi con la realtà; eppure l'ambizione di Max
si realizza: guida alpina in Trentino, contratto e stipendio, per poi
diventare una delle più promettenti nuove leve di scalatori, sempre pronto a nuove sfide.
A differenza del fratello e delle sue aspirazioni avventurose, Teo
vuole amore e sicurezza; lo ammette candidamente, ed è nel prendere
le distanze dal fratello che capisce che per ottenere entrambe deve
seguire la strada che Max ha rifiutato: avviarsi ad una carriera alla
Vortex, la ditta di motociclette in cui lavora il padre, ramo
“relazioni esterne”. Posto fisso e serenità. La tranquillità in
cambio della rinuncia ad un'attitudine estrosa sembra un buon
compromesso per la sua indole, ma anche questa scelta ha un prezzo da
pagare: una frustrazione ed un rancore che vengono fuori a poco a
poco e che ribaltano le nostre aspettative. Pian piano, infatti, Teo si
trasforma sotto i nostri occhi: la timidezza e l’insicurezza che
aveva da ragazzo (e che ce lo avevano reso simpatico) diventano col
tempo sentimenti più meschini. È come se l'ingresso nell’età
adulta abbia inacidito il suo temperamento: alla lunga ciò che prima
era un'indole tutto sommato positiva diventa, senza la maturità a
calibrarne i pesi, qualcosa di guasto. Con questo personaggio Brizzi
gioca sempre col rischio di cadere nel pessimismo di chi pensa di
amare troppo la vita per trovare soddisfazioni superata l’età
mitica dell’adolescenza. Diventare adulti per Teo significa
praticamente accentuare la sua innata mediocrità, tra rapporti
occasionali, un lavoro remunerativo ma senz’anima e l’uso di
droghe per annichilire i dubbi.
L'autore stupisce il lettore offrendogli un
protagonista ambiguo quando ormai era scattata l'empatia. E' il
matrimonio di Max (che significativamente dà anche il titolo al
romanzo) a sancire la trasformazione avvenuta in Teo: testimone di
nozze del fratello, il protagonista dà sfogo nella sua testa a
pensieri libidinosi e cattivi (la passione per le ragazze si è
tramutata in sottile maschilismo), reso sulfureo e irriconoscibile
dall'astinenza dalla cocaina ma anche involgarito da un cambiamento
di personalità ormai completo.
I due giovani Lombardi, apparentemente ben distinti tra loro e dal
carattere opposto, nascondono in realtà sfumature e contraddizioni:
è ad esempio il tranquillo fratello minore a cercare avventure senza
peso con le coetanee; ai suoi occhi, il matrimonio (che dovrebbe
essere il simbolo della pace che tanto agogna) è un’istituzione
che non ha senso. Nella mente ha l’esempio dei suoi genitori, delle
sfiancanti discussioni a tavola, dello spegnimento progressivo della
passione. Come può Max, d’indole così ribelle, voler prendere
moglie, sistemarsi?
Improvvisa, arriva una tragedia a dar man forte alle elucubrazioni di Teo: sopravvissuto
miracolosamente ad un tentativo di impresa epica (la conquista
invernale della montagna tibetana Nanga Parbat, la “mangiatrice
degli uomini”) Max rimane compromesso nel fisico, non più adatto
al lavoro ad alta quota e alienato dalla comunità di arrampicatori.
E' quindi costretto a costruirsi una nuova vita, che accetterà solo
a grande fatica e deteriorerà i già compromessi rapporti con la
moglie. L'ultima parte del romanzo lo vede arrabattarsi nel
ruolo di padre separato, tra litigi meschini con l’ex moglie e le
pressanti difficoltà economiche.
Sembra uscirne una visione disillusa del matrimonio (frutto anche
delle piccole e grandi ipocrisie su cui si fondano i legami della
generazione precedente, quella dei genitori rimasti assieme ma a
prezzi altissimi per la propria espressione individuale), i cui unici
due esiti possibili sono il fallimento o il logoramento anche dei
legami più forti. Alla lunga, la donna che hai amato ricambiato
diventa un'estranea, insofferente alle tue piccole quotidianità,
addirittura una nemica. Un capitolo del libro si chiama “La tomba
dell'amore” e non c'è un solo caso (tra i protagonisti o
tra le loro conoscenze) in cui lo sposalizio abbia portato ad una
situazione positiva.
Poco prima che il racconto al passato e quello al presente
arrivino a coincidere temporalmente, un ulteriore tassello nella
tormentata vita di Max getta una luce inquietante sulla sua
irreperibilità, insinuando il dubbio che il protagonista sia un
moderno Willy Loman, incapace di affrontare la realtà. Alla fine,
però, tutti trovano un modo per andare avanti: basta autoconvincersi
che ci sia un senso e quello magicamente appare.
In questo modo, Il matrimonio di mio fratello risulta sconclusionato ma non in senso negativo: rifiutando il finale tragico non poteva che essercene uno “a metà”,
in perfetta sintonia con l'ambiguità del narratore, che predica
tanto contro il matrimonio e poi trova la soluzione di tutti i mali
in una donna con cui fare figli.
Si può cambiare improvvisamente dopo un grande spavento o in
seguito all'incontro di una ragazza di cui si innamora? Forse sì, ed
è un bene, ma alla fine di “questa storia sbilenca, che un po'
fa ridere e un po' mette paura” resta il dubbio inquietante se
Brizzi ci abbia consegnato un messaggio reazionario o la lucida
testimonianza di un'intera generazione che non crede in niente e che
non stima il passato ma non ha neanche la profondità d'esser
nichilista fino in fondo; una generazione per la quale la salvezza
dalla depressione, dalla rabbia repressa e dal vittimismo aggressivo
è un fatto aleatorio e, in fondo, totalmente superficiale.
Nicola Campostori