di Simone Marcelli
Giuliano
Ladolfi Editore, Borgomanero (NO), 2015
pp. 48
€ 10
La giornata altrove è l'opera prima
dell'esordiente Simone Marcelli, pubblicata nel novembre scorso da Ladolfi.
Già il
titolo, ripreso in una poesia che sembra svelarne il senso: «E quando rincaso a
sera / e so ancora prima d'entrare che sarà stata altrove / la giornata, non
poco pesa questo nostro essere / ininterrottamente qui»[1],
colpisce. "La giornata altrove"
fa pensare a un'assenza, a qualcuno che c'è e che non c'è allo stesso tempo, a
una presenza distante. Chi vive la giornata è certamente l'autore, ma altrove
appunto, da lontano, come se si trattasse di un'altra esistenza.
La raccolta
si apre con una poesia sulla solitudine, metaforicamente rappresentata da una
«palla» «di pelo nero»[2]
e prosegue con componimenti in cui questo stato d'animo sembra dilagare.
La solitudine è questa palla che ti mostro: guardaquesta che tiro fuori spingendo il pugnofin dentro la gola, alle tonsille: sembrerebbe di pelonero (accumulato in questi mesi, leccandomi dalla noia).Ora, se io porto la mano agli occhi, la sentodentro e la sento fuori: e prende infatti a lievitaree levitare e levigare ogni spigolo di questa casuccia.Non dire allora: fermati; piuttosto: prendi la viadegli ippocastani magri e tutto il quartiere Navile, prendila città e la crosta intera di questo deposito-mondo.La vastità è in fin dei conti tenue, sempre. Ben più gravela microscopica sfera che non saprei lasciaree che sposto soltanto di tasca quando in centrod'un cappotto faccio sfoggio.[3]
Il poeta
vive una condizione di "inappartenenza" caratteristica della
dimensione contemporanea, per uscire dalla quale la relazione con l'altro è
l'unico mezzo, come osserva Giulio Greco, autore della prefazione.[4]
Graficamente,
si nota nella pagina una certa concentrazione del testo, che si addensa in uno
spazio limitato, quasi a amplificare il vuoto attorno, a costruire massicce cornici
di carta bianca. Lo spazio vuoto è forse quella frontiera dell'altrove, oltre
la quale si compie una vita, scorre una giornata che non è qui.
Intervista a Simone Marcelli
Ci spieghi il perché di questo titolo?
Tutte le
poesie, forse si nota, si ambientano all'alba o al tramonto e sono realmente
state composte in questi particolari momenti della giornata. In più, quasi
tutte si svolgono dentro casa; le uniche poesie ambientate all'esterno sono in
realtà dei ricordi.
Quando
viviamo la giornata, essendo completamente dentro l'attimo vivo, che
immediatamente si brucia, non possiamo appropriarci di essa attraverso la
coscienza. Da una parte la giornata come vissuto non ci appartiene, dall'altra
quando ce ne appropriamo attraverso la coscienza facendo poesia quel momento
non corrisponde al vissuto reale. C'è quindi una frattura tra il vivere e
l'esistere. Nel momento delle elucubrazioni personali, all'interno della
propria casa, raccogliamo il vissuto e facciamo progetti. Raccogliamo quindi il
passato e lo proiettiamo in maniera progettuale nel futuro, ma questo avviene sempre
"altrove" rispetto al vivere. C'è una separazione dolorosa e
drammatica tra questi due momenti e ciò ci impedisce di vivere.
A cosa è dovuta l'impostazione grafica
della pagina?
Nel momento
poetico si isola una sorta di flusso. La poesia, nella pagina, a livello visivo
sembra il fotogramma di un film. Se ci fai caso, quasi tutti i testi hanno una
forma quadrata. Quando inizio a scrivere poesia, per me l'unità metrica è il
verso, non il piede. Componendo, penso in una maniera "ritmica"; il pensiero
ritmico si esaurisce nel verso e all'interno della poesia come oggetto.
In che maniera l'altro si inserisce in una
questa dimensione?
I dialoghi,
nella mia raccolta, sono il riflesso dell'incompletezza. C'è sempre un
"tu", che a volte è una persona concreta, altre volte potenzialmente
chiunque, anche Dio. Questo infatti è il modo di Dio di essere nel mondo: non
identificarsi con l'io e permettere il dialogo.
Dato che è
impossibile raggiungere la completezza di vita, il dialogo è la ricerca di un
ricompattamento dell'esistenza. Credo si noti che i dialoghi di questo libro
sono quasi ossessivi. Ciò è il sintomo di questa impossibilità, i dialoghi sono
infatti a una voce e il tu è in absentia.
Nella prefazione di Giulio Greco si parla
di Kant.
Sì, si cita La ragion pratica. La mia non è una
riflessione sui massimi sistemi. Faccio il conto di tutto ciò che c'è e che non
c'è. Cerco di cogliere il senso dell'esistere attraverso la percezione, a volte
il tatto, di tutto quello che c'è in quanto manifestazione di questa alterità,
perché tutto è fenomeno del tutto. Tento di aggrapparmi attraverso un rapporto
fisico a quello che c'è e a quello che non c'è.
Come agisce quello che non c'è?
Nella poesia
in cui parlo dei «volti che mi assomigliano»[5],
con riferimento alle foto di famiglia appese nella mia camera, scrivo che «mi
calciano e mi spingono»[6]
perché anche chi non c'è agisce con una pressione sulla nostra esistenza. Tutto
ciò che accade ha un peso specifico nella nostra esistenza. Quando prendi
coscienza della tua vita in maniera autentica, devi considerare tutto ciò che
ha transitato per la tua vita, non puoi essere selettivo. Essendo la giornata
"altrove", essa è anche altro, quindi noi non abbiamo diritto di
sfrangiarla. Nello sforzo di riappropriazione della propria vita bisogna fare i
conti con l'alterità, che non è soggetta alla nostra autorità. Non abbiamo
autorità verso la giornata: essa è altra e altrove.
Come ti poni verso "la giornata
altrove"?
Nel momento
poetico, se vogliamo cogliere l'autenticità della nostra vita, dobbiamo dire
"sì" alla nostra giornata. Questo è connesso alla morte: l'unico modo
che abbiamo per non considerare la morte sterile e ucciderci quotidianamente è
accoglierla. Se infatti ci liberiamo di ciò che non c'è più non stiamo integrando
ciò che è vivo e ciò che è morto. Se vogliamo solo ciò che è vivo siamo
destinati a morire. Se invece accogliamo anche ciò che è morto siamo uno
stratificarsi che reintegra il morire all'interno dell'esistenza e
dell'esistere e ci riscattiamo da una morte totale. Il morire è qualcosa di
progressivo in cui dobbiamo stare per integrare ciò che muore e ciò che nasce.
In cosa consiste questo rapporto con la
morte?
La «sostanza
dolorosa»[7]
che trovo tra le lenzuola è il decomporsi del corpo e dell'anima. Ogni notte
riconsegniamo alla morte qualcosa di noi. Nella mia poesia, come vedi, io non
lo butto via, lascio che mi accolga ancora ogni notte.
Cosa mi dici dell'ordine delle poesie nella
raccolta?
C'è una
vaghissima narratività: si inizia infatti con la solitudine e alla fine, grazie
agli incontri con l'altro, si arriva a una sorta di acquisizione di coscienza.
Alla fine, tutto sommato sono qualcosa.
Il senso che
sta dietro a queste poesie è, in definitiva, il senso che io ho trovato nella
vita.[8]
Natalia Guerrieri
[1] Simone Marcelli, La giornata altrove, Borgomanero, (No),
Giuliano Ladolfi Editore, 2015, p. 21.
[2] Ivi, p. 11.
[3] Ibidem.
[4] Giulio Greco, La solitudine è questa palla, in La giornata altrove, cit.
[5] Ivi, p. 26.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 16.
[8] Simone Marcelli, Intervista su "La giornata
altrove", a cura di Natalia Guerrieri, Bologna, 9 gennaio 2016.
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