La lunga vita di Marianna Ucrìa
di Dacia Maraini
Rizzoli, 1990
di Dacia Maraini
Rizzoli, 1990
Tra le crepe nobiliari e
popolane di una Sicilia di metà Settecento, nei luoghi simbolo palermitani, si
snoda il romanzo di Dacia Maraini, La
lunga vita di Marianna Ucrìa. Il motivo di una rilettura attenta è legato,
oltre alle capacità di scrittura dell’autrice che conosciamo, ad una forma di
realismo narrativo che ben sottolinea l’enorme divario di una condizione
femminile minoritaria, umiliante e per molti aspetti di grave devastazione
morale a cui forse non si è riservato il giusto rilievo, all’interno dell’attuale
dibattito letterario sociologico e di rivendicazione di un qualche diritto
egualitario.
Basterebbe infatti
chiedersi se e quanto questo romanzo sia stato incluso nelle antologie
letterarie per l’insegnamento e non. I molti temi di carattere storico e
sociale, che emergono durante la lettura, danno invece molti spunti di
riflessione; contestualizzati e analizzati all’interno di uno studio sulla
storia delle donne a partire dalle peculiarità regionali nel contesto storico
di riferimento, potrebbero divenire importanti tasselli nel percorso di
ricostruzione della condizione sociologica identitaria delle donne nel
Settecento.
“Così si viveva e così
vivevano le donne popolane e colte a metà Settecento”. La storia è nota:
Marianna, figlia di Signoretto Ucrìa di Fontanasalsa e affetta da una
disabilità grave (mutismo e sordità che si scoprirà verso la fine del romanzo
non congenite) viene data in sposa tredicenne al quasi anziano signor zio Pietro Ucrìa di Campo
Spagnolo, un uomo burbero, spinoso, cocciuto, ostile e sospettoso con tutti,
con la passione per l’araldica e per il whist, per le passeggiate in campagna
fra i limoni di cui cura personalmente gli innesti. Nulla sembra “congiungere”
l’uomo all’infelice sposa.
La famiglia Ucrìa è
nobile, lo zio è discendente del barone della Scannatura di Bosco Grande e di
Fiume Mendola, conte della sala di Paruta, marchese di Sollazzi e di Taya.
Nella grande villa dove andranno a vivere, nello studio, c’è un grande quadro
che rappresenta il martirio di san Signoretto Ucrìa di Fontanasalsa e Campo
Spagnolo, un sacerdote pisano nato il
1269 e pare giunto a Palermo in soccorso dei poveri che “ infestavano”la città.
La ragazzina si trova
improvvisamente immersa in un universo di doveri coniugali a cui tenta
disperatamente di opporsi, cercando rifugio nel proprio “assurdo” nucleo
familiare. Nulla valgono i tentativi di comunicazione scritturali, tant’è che è
la stessa madre a rispedirla dal marito, perché l’unica cosa che può fare la
fanciulla in “certi momenti intimi” che nulla hanno a che fare con la
gratificazione affettiva fisica e amorosa, è “pensare ad altro” e che quello è
il destino di tante, anzi di tutte le donne.
Marianna vive quindi una
vita precocemente violata, adattandosi ogni giorno alle angherie e ai soprusi
ai quali è costretta a cedere.
Per molti nobili della sua età, vissuti e maturati nel secondo passato, i pensieri sistematici hanno qualcosa di ignobile, di volgare. […] Marianna sa che lui non la considera sua al pari.[…] Per lui la moglie è una bambina di un secolo nuovo, incomprensibile, con qualcosa di triviale nella sua ansia per i mutamenti, per il fare, il costruire. L’azione è aberrante, pericolosa, inutile e falsa, dicono i suoi occhi malinconici, guardandola aggirarsi indaffarata per il cortile ancora ingombro di secchi di calce e di mattoni. (p. 53).
Diviene prima madre di tre femmine. Non verrà
organizzata nessuna festa, nessuna celebrazione o sorriso alla loro nascita. Un
benché minimo sorriso, un accenno di gioia maschile. Tutto questo verrà riservato invece alla
nascita del quarto figlio, “finalmente maschio”. Nel frattempo Marianna, cerca
di cogliere tutto ciò che le capacità sensoriali le permettono di utilizzare.
Sono soprattutto gli occhi a vedere, osservare, scrutare nei minimi particolari
ciò che la circonda permettendole spesso di riordinare qualche tassello
memoriale: le immagini della campagna di Bagheria, i sugheri contorti dal tronco nudo e rossiccio, gli ulivi dai rami
appesantiti, i rovi nelle strade, i campi coltivati, i fichi d’India, i
ciuffi di canne e dietro, le colline ventose dell’Aspra; ma anche le vie, i
borghi cittadini attirano lo sguardo di Marianna, come la piazza Marina gremita
di gente, di teste ondeggianti, di colli che si allungano, di bocche che si aprono, di stendardi che si levano, di cavalli che scalpitano
di tutto ciò che accende i colori
dei sentimenti provati dalla protagonista.
E sono anche i profumi a
rivelarle un significato ulteriore: assaporando l’aria, riconoscendo e
catalogando gli odori con pignoleria, Marianna odora l’acqua di lattuga, la fragranza della cipria di riso, l’unto dei
sedili, il pizzicore della polvere, il leggero sentore di mentuccia. La
bellezza e la suggestione dei paesaggi contrastano con l’intensità di un vivere
quotidiano a cui mancano le gioie umane affettive. Il divario si fa più
evidente quando riaffiorano, in alcuni sprazzi drammatici nel racconto, la
superficialità di una vita economicamente nobile ed agiata e le improvvise
rivelazioni di squallidi abusi familiari, la cui interpretazione non può essere
relegata solamente nella sfera delle miserie morali.
Si tratta, infatti, di
ben altro. Padri che violentano le figlie, nobili che ingravidano le serve a
loro piacimento con conseguenti aborti clandestini, soprusi di ogni tipo. Violenza,
brutalità, maltrattamenti confinati spesso all’interno delle mura domestiche
nobili e popolane.
Le uniche fonti di
felicità per Marianna sono i figli: Giuseppa, Felice, Manina e Mariano ai quali
lei cercherà in tutti i modi di riversare quell’affetto e quell’amore che tanto
le sono mancati nel prosieguo dell’esistenza. Ma anche i loro destini sono
segnati. Giuseppa è ribelle ed è l’unica che lotterà per non sposarsi, Manina verrà
data in sposa precocemente, Felice si consacrerà monaca e Mariano soffre di
problemi psicopatologici. L’altro figlio, Signoretto morirà a soli quattro anni
a causa di una grave malattia.
E sono purtroppo gli anni
in cui malattie come il vaiolo e la tisi portano inesorabilmente alla morte,
non risparmiando nessun ceto sociale. Sono squarci di vita in cui entra un
pezzo della storia sanitaria del nostro paese, ancora gravemente lacunoso nella
lotta contro queste malattie. Una storia sanitaria che si intreccia con le
tradizioni della storia regionale e sociale del nostro paese: i Santissimi
Padri dell’Inquisizione nel grande Palazzo dello Steri alla Marina, il ruolo
del convento delle Carmelitane di Santa Teresa, dei frati domenicani, (che
detengono il braccio dell’avo, il beato Signoretto Ucrìa, morto eremita) e poi
notizie dal cardinale Alberoni, da Filippo V, Ferdinando, il nuovo figlio di
Carlo III re di Sicilia, informazioni dettagliate sulla discendenza dei baroni
siciliani, i problemi del latifondo siciliano, i campieri, il gabelotto…
Solo qualche
corrispondenza riuscirà a distogliere Marianna dalla tempesta emotiva che
sembra travolgerla. Una mattina il padre era arrivato con un dono inatteso: un
completo da scrittura, un retino di
maglia d’argento con dentro una boccetta dal tappo avvitabile per l’inchiostro,
un astuccio in vetro per le penne, un sacchetto in pelle per la cenere nonché
un taccuino legato ad un nastro fissato con una catenella al retino di maglia e
una mensolina portatile, pieghevole in legno leggerissimo da appendere alla cintura
con due catenelle d’oro. La biblioteca di villa Ucrìa, diviene, col
trascorrere degli anni, un’ancora di salvezza perché fortunatamente i momenti
in cui Marianna è costretta a presenziare col marito fuori dalla villa in cerimonie
ufficiose, sono rari.
Incroci, tradimenti, troppe concessioni
silenziose e l’ assurda continuità di privilegi: al figlio maschio andrà la
dote più consistente:
Che debba andare tutto, ma proprio tutto a Mariano è un insulto…in Olanda dicono che non si fa più così. Se poi li vogliono spogliare e lasciare nudi e crudi i figli perché li fanno?...non sarebbe meglio lasciarli in paradiso fra gli alberi di manna e le fontane di vino dolce? p. 100.
E ad un certo punto ecco il sogno rivelatore:
lo squarcio di un lampo memoriale ridisegna tutta la verità sull’ infanzia
violata di Marianna; si scopre finalmente il motivo del suo precoce matrimonio
con lo zio Pietro.
In una narrazione
emotivamente coinvolgente per il lettore, il narratore segue la crescita e la
maturazione di Marianna: inizia per lei una nuova esistenza, guarderà con uno
sguardo diverso gli accadimenti. Nuovi viaggi, scoperte. Forse si aprirà per
lei una nuova luce affettiva, un diverso orizzonte futuro. I profumi intensi e
i ricordi saranno in ogni luogo… gli stessi di sempre.
Una miriade di pesci argentati risalgono il flusso lì dove l’acqua quasi si posa, forma un lago fra cespi di ortiche e spunzoni di cardi. L’odore che sale dall’acqua è buono, di terra fradicia, di mentuccia e di sambuco. (p. 264)