di Fredrik Sjöberg
trad. Fulvio Ferrari
Iperborea, 2015
pp.224
€ 16
Che vuol dire essere collezionisti di mosche?
Tutti nell'intimo lo siamo, anche se non ce ne siamo mai accorti, ci risponde Fredrik Sjöberg nel suo L'arte di collezionare mosche, tradotto da Fulvio Ferrari ed edito da Iperborea.
Manuale di entomologia? Guida pratica all'uso dello spillone? Crudele racconto di trafitture e teche polverose?
Le mosche sono un pretesto, un contesto, sono un mezzo anche se sembrerebbero il fine.
Le mosche, o per meglio dire i sirfidi, sono pur sempre «accessori di scena» e «il racconto tratta anche di altro, qua e là. Esattamente di cosa non saprei. Certi giorni mi persuado che il mio scopo sia dire qualcosa sull'arte di limitarsi e sulla sua eventuale felicità. E anche sulla leggibilità del paesaggio. Altri giorni sono più cupi. Specchi dappertutto. Come se me ne stessi in coda sotto la pioggia fuori dal campo nudisti intellettuali della letteratura autobiografica. Livido di freddo.»
Messa alla stretta su una domanda rigidamente inquisitoria posta da qualcuno disgustato dagli insetti, dovrei metterlo in guardia: sì, il libro parla di questo.
Ma lasciarlo sullo scaffale sarebbe in ogni caso davvero un peccato.
Le mosche, dicevo, sono un pretesto e un contesto.
Lo scrittore è pur sempre un entomologo e collezionista e questo rende il tutto più affascinante.
Fredrik Sjöberg, signore del giardino, ci invita a fare una passeggiata in una sorta di suo hortus conclusus mentale, ma anche fisicamente delimitato dallo spazio (metaforicissimo) di un'isola semideserta a est di Stoccolma. Dove vige la regola dell'attesa paziente, della curiosità infaticabile, del senso del tempo.
E lo fa con una scrittura dispersiva a tratti, millimetrica nell'analisi scientifica del sentimento dell'attesa eppure vaga come lo sguardo di qualcuno che segua un bombo svolazzare in un'aiuola in un giardino d'estate traboccante di profumi e colori.
Narra storie della sua vita intrecciandole a quelle di vite che non sono la sua, con un gusto per la narrazione aneddotica punteggiato da uno humour sottile e piacevolissimo.
Grandeggia però nel suo immaginario, e conseguentemente nel nostro, l'eccentrica figura di René Malaise (1892-1978), entomologo svedese avventurosissimo, «un Don Chisciotte alla Balzac», la cui fama è dovuta però all'invenzione di una trappola per mosche.
Una divagazione dopo l'altra, si toccano i grandi temi cari al collezionista: la lentezza, la solitudine, il narcisismo, la concentrazione, l'ambizione.
Collezionare mosche è quindi palestra o metafora, della vita?
«Ci sono tre argomenti: l’amore, la morte e le mosche. Da quando l’uomo esiste questo sentimento, questa paura e questa presenza l’hanno accompagnato sempre. Altri si occupino dei primi due. Io mi occupo delle mosche, che sono migliori degli uomini, ma non delle donne».
Giulia Marziali