in

Pillole d'Autore: Le scelte che non hai fatto di Maria Perosino

- -
E lì ho capito che la vita è così, non si può stare a prevedere tutto, e allora tanto valeva continuare a fidarsi. Poi si vedrà, ma intanto non avevo voglia di vivere diffidando.
Con poche parole Maria Perosino riesce ad esprimere una poetica fatta di amore per la vita e per le meraviglie che offre e ne fa il centro attorno al quale ruotano le storie del libro Le scelte che non hai fatto, pubblicato nel 2014 poco dopo la sua scomparsa prematura. Le ultime pagine le scrive mentre è in ospedale, assistita dalla sua amica e editor Dalia Oggero, come scrive Stefano Bartezzaghi su Doppiozero. Ma considerarne le riflessioni come una sorta di testamento sarebbe riduttivo, se non addirittura sbagliato. 
Incredibilmente, non c’è traccia di tristezza, se mai un po’ di nostalgia:
Mi piace che la nostalgia abbia le qualità di un profumo: dolce, intenso, persino stordente. Ma anche volatile. Fa presto a dissolversi nell’aria. Basta ricordarsi, di tanto in tanto, di aprire le finestre. Non per tutti è così. Per tanti, la nostalgia è rancida. E corrode. Si porta dietro il rancore, l’invidia. È una nostalgia cattiva quella per vite che non hai vissuto. È colpa dei sogni che si infrangono. Dove? Quando? Perché? È colpa nostra o è colpa loro, dei sogni?  
Quello che emerge chiaramente è invece l’entusiasmo per la vita, per la buona tavola e gli amici,  la passione per i viaggi e la capacità di sentirsi a casa in qualsiasi posto. Bellissime sono certe descrizioni di paesaggi non solo geografici, ma affettivi:
Dalla terrazza si vede il mare. E intanto si è fatta l’ora di portare a tavola il mio, di mare, quel Mediterraneo da assaggiare e da annusare. Mi suscita una passione incondizionata, questo mare così piccolo e così pieno di storie e di luoghi. Di odori e di sapori: da mangiarselo, appunto. A volte mi ritrovo a cercare i suoi profumi come altri cercano quello dell’amato nelle pieghe di un maglione dimenticato.
E poi, comunque, se c’è un merito da riconoscere a questo tipo di quartieri, quelli che danno alloggio a ricchezze che si tramandano da generazioni, è l’affidabilità dei negozi di alimentari, gli unici a non essere sfiorati né dalle mode né dalle crisi economiche. Solo in strade come questa si trovano panetterie come quella in cui sono appena entrata: arredo da spaccio di un paese del Patto di Varsavia, luce al neon, quattro ripiani e tre, solo tre, tipi di pane. Ma ovunque profumo di forno e una patina di farina e… hanno le michette! Il fruttivendolo dirimpetto è al contrario molto civettuolo, con mazzi di lavanda e carrettini di legno graziosamente disposti sul marciapiede su cui fanno bella mostra acrobatiche composizioni di cavolfiori e carciofi, ma qui, e quasi solo qui, si trova anche frutta matura. E io la compro! E il macellaio poi… ha talmente la faccia di un macellaio che ogni volta che entro nel suo negozio me lo ridico.
Nella bibliografia di questa scrittrice compare solo un’altra opera – Io viaggio da sola – edita da Einaudi. Eppure, due libri sono sufficienti per disegnare un perimetro letterario fatto di riferimenti culturali e personali in cui non solo chi scrive, ma anche – e soprattutto – chi legge, si può muovere con comodità. Possiamo vedere  Le scelte che non hai fatto come un lungo racconto sulla libertà di decisione. Maria, narratrice in prima persona, ricorda alcuni episodi della sua vita e si chiede come sarebbero andate le cose se si fosse comportata diversamente. Affronta questo percorso presentando in ogni capitolo un nuovo personaggio che per qualche ragione può essere portatore sano di una vita non sua, e alla fine si accorge di non rimpiangere niente, regalando a chi legge riflessioni lucide e piene di speranza.
Posso crogiolarmi quanto voglio nella convinzione di essermi trovata di fronte a bivi fatali, attribuire al coraggio (mio) le cose che sono andate bene e alle circostanze quelle che no, ma so che è una bugia. Nella vita le cose non funzionano come in una macelleria, dove effettivamente si compra O l’agnello O l’anatra. Quando mai c’è stato un giorno in cui qualcuno (me stessa inclusa) mi ha chiesto dìse volevo diventare ricca o no? O se preferivo tenere un fidanzato per sempre o cambiarlo di tanto in tanto? Se volevo un lavoro fisso o in comodato d’uso? E c’è mai stato un giorno in cui qualcuno ha aperto un atlante per chiedermi dove volevo vivere? Il fatto è che il più delle volte non si sa che domande fare al futuro, è più semplice farle al passato.
 Quello che sto cercando di dire è che anche se nessuno, almeno tra quelli che frequentiamo, ha una vita da film, in realtà c’è un film dentro ogni storia. Anche nelle vite più banali, sì, proprio quelle che indossano i passeggeri stipati sul mio stesso tram: la signora di mezza età con l’amica, la donna peruviana col passeggino, quel gruppo di adolescenti chiassosi sul fondo, l’impiegato al telefono e la ragazza pure al telefono. Anche l’altra, quella che sta ascoltando la musica, e anche l’operaio che sta leggendo la pubblicità di un corso di inglese. Ogni capitolo delle loro vite è più interessante di quello di un romanzo: saperlo leggere, e ancor più saperselo raccontare, è un altro paio di maniche.
No, quello che ho capito è che non si possono riannodare fili con quello che non siamo state, che non abbiamo fatto. È un paesaggio senza geografia quello delle storie che non abbiamo vissuto. Possiamo esplorarlo, restarne affascinate o infastidite, ma non capiremo mai dov’è il centro. Le amiche che ho incontrato sono tutte portatrici sane di vite che non sono la mia.
E poi come sarebbero fatti l’anima e il vero io? Dei fantasmini che ci portiamo dentro, nella pancia o sul cuore? No, io a queste cose non credo. Ma in una cosa credo: ognuno di noi, nel bene o nel male, è la sua storia. Anzi, le sue storie, comprese quelle non vissute e solo immaginate e sognate. Questo siamo.