di Miriam Toews
traduzione italiana di Maurizia Balmelli
traduzione italiana di Maurizia Balmelli
Marcos y Marcos 2015
pp. 368
€ 18
Elf ha un pianoforte di cristallo dentro di sé, sente che il vetro si sta per spezzare in mille pezzi. Yoli non sa più che pesci pigliare con quella meravigliosa sorella che ha deciso di non voler più vivere.
I miei piccoli dispiaceri, da un verso di S.T Coleridge, è l’ultimo romanzo della scrittrice canadese Miriam Toews pubblicato da Marcos y Marcos con la traduzione di Maurizia Balmelli.
Come nelle opere precedenti l’ambientazione è di nuovo tra i Mennoniti, questa volta del Manitoba, nelle praterie canadesi da cui Miriam proviene e che ha lasciato a 18 anni per conoscere il resto del mondo.
Agli anziani Elf non è mai piaciuta, ha sempre avuto qualcosa su cui ribattere, per non parlare dei troppi grilli per la testa. Il pianoforte, per esempio, quella passione esagerata che l’ha resa un’artista celebre in tutto il mondo e chiunque l’abbia sentita suonare, giura, essersi commosso davvero.
Anche Yoli, la sorella minore, ha aspirazioni artistiche: vorrebbe fare la scrittrice, ma per il momento si accontenta di romanzi per ragazzi ambientati nel rodeo. La sua vita non è mai stata come quella di Elf: due figli da due mariti, lavori instabili, sentimenti precari, una vita che somiglia a quella di molti di noi e non può non ammirare il successo di Elf che riesce a fare tutto con la stessa grazia con cui muove le dita sul pianoforte.
Accade che un giorno Elf decida di morire. E la carriera brillante, il matrimonio felice anche senza figli, quella bellezza che sembra non sfiorire mai? Un incubo che si ripete, dopo che il padre delle due donne si buttò sotto a un treno e che ha tristemente a che vedere con l’autobiografia dell’autrice. Miriam Toews si è presa del tempo per riuscire a raccontare del padre e della sorella, morti entrambi di suicidio: «Non avevo parole. Mi ci vollero due anni prima di pensare 'No aspetta', sono una scrittrice, questo è quello che faccio, metto insieme del materiale e lo elaboro in qualcosa che abbia un senso per me»* ha dichiarato in un’intervista al Guardian.
Il romanzo è un lungo tentativo di convincere Elf a restare. Da una parte c’è lei per cui niente ha più importanza, dall’altro c’è Yoli che non riesce a contenere la fatica per tenerla in vita, che le scoppia il cuore di dolore e amore per quella sorella che vuole morire tutti i costi. Yoli lotta disperatamente per non lasciare andare Elf, ossessiona l’ospedale affinché la vigilino quando lei o i suoi familiari non ci sono perché non permette che tutto finisca così:
«Ti è mai venuto in mente che anch’io ho avuto un padre suicida, che anch’io faccio fatica a superarlo, che anch’io sto cercando di dare un senso alla mia stupida, patetica vita, che anch’io spesso penso che è tutta una ridicola farsa e che l’unica risposta intelligente sia il suicidio, ma poi mi dissocio da questa conclusione perché genera un peso piuttosto sgradevole? Manco fossi Virginia Woolf o uno di quei personaggi decisamente troppo fichi per vivere o troppo svegli o troppo in sintonia con la tragedia del tutto o che cazzo ne so io, e volessi crearti una stronzissima eredità di genio maledetto».
Ma Elf non vuole sentire e chiede a Yoli di aiutarla ad andarsene, magari in una clinica in Svizzera. I miei piccoli dispiaceri non è un romanzo politico, perché è prima di tutto la storia di due sorelle, tuttavia non può non emergere la questione del suicidio, in particolar modo di quello assistito. Nel febbraio 2015 la Corte Suprema del Canada si è espressa a favore dell’eutanasia non solo nei casi di estrema sofferenza fisica ma anche di disagio psichico incompatibile con la vita.
Qualche tempo fa in un’intervista per La Lettura il filosofo e romanziere svedese Lars Gustafsson ha ricondotto l’attenzione all'incomunicabilità del dolore come base della sofferenza:
«alla radice del problema linguistico vi è però, credo, un problema esistenziale: si tratta comunque di solitudine. Ponendo la domanda ‘in che modo la vita interiore è comunicabile?’ mi confronto comunque con una condizione di solitudine. La solitudine comunicativa, che crea la difficoltà di esprimere l’esperienza del dolore».
Allora come si può riuscire a cogliere quel pianoforte di cristallo che si sta frantumando dentro Elf? Per tutto il romanzo Yoli e la sua famiglia non la lasciano un attimo, provano a tirarle su il morale, fanno per lei progetti, le rendono meno dure le regole della clinica, ma Elf nemmeno li sta ad ascoltare perché forse ha già scelto.
In maniera sorprendente I miei piccoli dispiaceri diluisce frustrazione e speranza, pianti e risate, dolore e ironia rendendolo uno di quei romanzi da portarsi dentro a lungo.
Martina Pagano
*La traduzione è a cura di chi scrive. Per l'originale si rimanda al link.
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