I La Buoncostume sono il gruppo di autori, tutti rigorosamente italiani e trentenni, da qualche tempo a questa parte "sulla bocca di tutti". Reduci dal successo come “Miglior web series” al Roma Web Fest 2015" per Klondike , la serie sui trentenni creativi alle prese con le traversie (leggasi sfighe) del mondo del lavoro e delle partite IVA, questo gruppo di giovani autori è una ventata d'aria fresca in un panorama, come quello italiano, troppe volte, imbolsito e sclerotizzato. Inoltre i La Buoncostume si sono approcciati anche al grande pubblico scrivendo più di cento puntate di Camera Café e realizzando, nel 2014, Il Candidato, la serie inserita all'interno di Ballarò con protagonista un Filippo Timi uomo politico "a sua insaputa. CriticaLetteraria non poteva certo farsi scappare la possibilità di un'intervista con uno di loro: ecco Simone Laudiero dei La Buoncostume.
La prima cosa che "salta agli
occhi" su di voi, su La Buoncostume, è che, sulla scia dei Wu Ming, non vi
presentiate con i nomi dei singoli membri, ma come un'entità unica. Mi potresti
parlare di questa vostra scelta?
Darsi un nome
collettivo sul web è normale, ma per noi che siamo nati come quattro
sceneggiatori è stata anche una scelta di marketing: se dopo un episodio di una
serie tv scritta da noi si leggesse “Scritto da” e la sequela di nomi e cognomi
l'occhio dello spettatore ci passerebbe sopra distrattamente. Invece il marchio
“La Buoncostume” genera curiosità e resta impresso nella memoria. Anche il
fatto che tu stesso mi abbia fatto questa domanda è spia di questo. Devo
ammettere però che alle volte questa scelta si può “ritorcere” contro di noi.
Succede quando ci troviamo a dover suonare dei campanelli. Alla fatidica
domanda “Chi è’” la risposta “La Buoncostume” può genere degli ovvi
fraintendimenti.
A livello di scrittura ho trovato molto
interessante il fatto che voi siate, per così dire, in limine tra il grande
pubblico della televisione generalista, diciamo pure mainstream e il
piccolo/non piccolo sottobosco delle web-series: da una parte Il Candidato, dall'altra
Klondike per estremizzare. Come si possono conciliare questi due mondi?
La scrittura in
sé non cambia quanto si potrebbe credere. Quello che cambia radicalmente è il
tipo di struttura “che gira intorno”: da un lato, per Klondike, eravamo noi con
le nostre, magre, forze, mentre dall'altro lavoravamo per una grande casa di
produzione, Cross, quindi avevamo a disposizione un budget maggiore e la
possibilità di avvalerci di attori importanti. Poi ogni medaglia ha due facce.
Con Klondike eravamo assolutamente padroni del nostro destino, scrivevamo per
il nostro pubblico e quindi potevamo decidere, ad esempio, la lunghezza degli
episodi. Se avessimo proposto episodi di 19-20 minuti alla Rai, Mediaset o Sky
non ce i avrebbero accettati: già con 7 minuti rischi di passare per “troppo lungo”.
Viceversa in Cross abbiamo avuto la possibilità di collaborare con un team di
professionisti che ci ha permesso di crescere, come già succedeva quando
scrivevamo per Camera Cafè e Piloti. È interessante notare che, contrariamente
a quanto si potrebbe pensare, tra Klondike e Il Candidato è la serie tv ad
avere il linguaggio più sporco. Ma in fondo è solo un problema di necessità: una
web-series sui giovani trentenni di Milano non necessitava di molte parolacce,
mentre una serie sui professionisti della politica, magari di lungo corso,
aveva bisogno del “carico pesante”.
Invece per quanto riguarda le influenze o
comunque gli stimoli che vi vengono dall'esterno, quali sono i vostri fari o le
stesse series o libri o racconti o riviste che seguite particolarmente?
Abbiamo tutti
influenze molto personali e molto diverse, la maggioranza delle quali
provengono dall’estero. Un po’ come avviene per la musica, spesso e volentieri
le cose all’estero arrivano prima che in Italia. Poi magari ci arriviamo anche
noi e anche in maniera molto personale e bella, ma dopo. Tuttavia per farsi
un'idea dei nostri interessi e delle nostre influenze, ora la Buoncostume ha
anche una newsletter: si chiama Charlize ed è possibile iscriversi a questo indirizzo
(clicca qui). Lì trovate
tutto!
Ma davvero i commercialisti
si vergognano di voi, anche dopo il vostro successo?
Il nostro
successo è molto ma molto mini quindi non è che a casa Buoncostume si sia
cominciato a fatturare chissà che. Detto questo i nostri commercialisti sono
delle bravissime persone e non sono così “spietati” come quello di Klondike.
Hanno anche dei nomi molto buffi che non posso rivelare, ma questa è tutta
un’altra storia! Tuttavia se ci pensi bene “salta” agli occhi la figura del
commercialista perché è un qualcosa di inedito in Italia, che si vede poco in
televisione, nonostante tutti debbano pagare le tasse e pochi sappiano farlo da
soli!
In Klondike mi sono accorto di una cosa a
cui, la prima volta che ho visto per intero la serie, non avevo fatto troppo
caso: cioè il fatto che voi raccontiate/riprendiate una Milano completamente
dimenticata/sconosciuta al grande/piccolo schermo. Questa è stata una scelta
precisa o è un po' capitato?
È una scelta
precisa, davvero precisa. Abbiamo impiegato tanto per capire come mostrare una
Milano che non viene raccontata spesso, una Milano che somigliasse a quella
vissuta dai trentenni creativi di oggi. Abbiamo voluto allontanarci il più
possibile da un’immagine da cartolina, cercando proprio quella determinata
inquadratura e quella ben specifica luce. Anche perché Milano è cambiata tanto
in questi anni ed è cambiata in meglio, e merita di essere raccontata.
Si sente spesso la retorica dell'
"imprenditore di sé stesso": in che modo giudicate frasi del genere?
È una frase
molto bella che però si usa per giustificare tutta una serie di comportamenti
detestabili. In realtà è un mondo ancora
inesplorato quello della partite IVA: somiglia a quello della corsa all’ora, da
cui il nome Klondike. Per tanti che ce la fanno, che trovano il loro filone,
tanti rimangono lì, sepolti sotto la neve. E non possono mettersi in malattia!
Se si dovesse trovare una cosa nella quale
le nuove generazioni, rispetto alle precedenti, eccellono in modo netto, quale
sarebbe? E, viceversa, qual è una cosa nella quale i trentenni proprio
"non ce la fanno"?
Difficilissimo,
fammi pensare. Questa generazione ha sicuramente in più delle altre la
“stamina”, ovvero la capacità di sopportare determinate situazioni che, ad
esempio la generazione precedente difficilmente avrebbe digerito. Viceversa,
secondo me, noi pecchiamo molto di acquiescenza, cioè non sappiamo quando è il
momento di puntare i piedi e dire basta. Finiamo per perdere un sacco di tempo e
di energie correndo dietro a lavori mal pagati, imbarazzanti e che non portano
da nessuna parte.
L'immancabile domanda
sul futuro: ci sarà una "stagione due" di Klondike?
Beh
io mi aspettavo quella sui sogni nel cassetto! (Risate) Stiamo lavorando e stiamo scrivendo, ma non abbiamo ancora
nulla di certo in mano, quindi non posso dire niente. Ma sempre meglio non
poter dire niente che non avere niente da dire, giusto?