La valle dell’Eden: ritorno all’epica

La valle dell’Eden
di John Steinbeck
Bompiani, 2014

pp.  762
€ 15,00


Nel XX secolo solo la Salinas Valley poteva essere scenario per la grande impresa che Steinbeck si preparava a scrivere da tutta la vita: terra desolata e fertile, covo di desideri inespressi e speranze celate nelle vecchie stalle, la valle racchiude tutto l’universo pensabile tra le sue colline e in un caldo abbraccio californiano si fa teatro per forze in eterna contrapposizione.
Il Bene e il Male si combattono con disperazione e profonda riflessione in ogni pagina del romanzo, rivelando una realtà sempre in bilico tra la sfolgorante modernità degli anni ’50 (bellissime le pagine dedicate al funzionamento dei primi modelli della Ford) e l’immutabile staticità dei comportamenti umani. Proprio qui sta la genialità di uno scrittore che contrappone il Tempo – immobile – dell’epica, il tempo che si muove restando fermo, che propone personaggi bloccati nella loro staticità, mai corruttibili da ciò che li circonda, a un tempo che si muove invece continuamente verso il progresso, verso il miglioramento; l’eterna lotta tra la tradizione letteraria classica e le forze motrici degli Stati Uniti del secondo dopoguerra.
Il nuovo secolo però porta anche nuove speranze: se i personaggi nati nell’800 sono ancora legati ad un tipo di rappresentazione che li fissa nei ruoli predefiniti del “Tipo”, per dirla alla Lukács, i figli del ‘900 vivono un’esistenza dove la scelta diventa parte fondamentale della crescita personale, la vita non è più scandita da movimenti interni incontrollabili bensì dalla capacità di slegarsi dal passato, sia esso storico o familiare, per ricominciare e ricrearsi; in questo processo di liberazione ancora una volta sono i padri a gestire le redini del gioco, che siano essi affettuose figure illuminate o fantasmi viventi:
“Aiutalo, Adam” disse Lee. “Aiutalo. Dagli una possibilità. Liberalo. È la sola cosa che innalza al di sopra delle bestie. Liberalo! Benedicilo!”
Ancora non è abbastanza, però. Ogni personaggio è a suo modo condannato a restare imprigionato in se stesso sin dalle prime pagine; non c’è speranza per chi si comporta in modo corretto né per chi agisce nel Male. In tutto il racconto volteggia sopraelevato un Dio giudice che osserva e decide senza lasciare possibilità di appello.
La risposta la trova l’unico che viene da fuori, l’unico soggetto che appartiene al mondo descritto senza appartenervi fino in fondo, trova la soluzione alla condanna implicita nelle esistenze in un tentativo durato anni, un tentativo di comprendere un messaggio che molti avevano frainteso.
Attraverso lo studio e l’interpretazione delle parole ci si può salvare. Solo se comprendiamo  bene ciò che ci è stato tramandato, forse arriveremo alla salvezza; se siamo abbastanza attenti e capaci per comprendere saremo liberi di agire secondo la nostra volontà e potremo sperare in un futuro diverso.
“Ho detto che quella parola conteneva la grandezza di un uomo, se quello voleva approfittarne.”
“MI ricordo che a Sam Hamilton era piaciuto.”
“lo aveva liberato” disse Lee “Gli aveva dato il diritto di essere un uomo, distinto da ogni altro uomo.”
“Ci si sente soli”
“Tutte le cose grandi e preziose sono solitarie.”
“Com’era quella parola?”

“Timshel  - tu puoi.