di Stefano Ercolino
Bompiani, 2015
€ 15 cartaceo
€ 15 cartaceo
pp. 290
È
molto probabile che il termine “romanzo massimalista”, oggi, sia ancora legato
al contesto postmoderno in cui spesso è stato declinato; l’idea non è totalmente
errata, ma va chiarita sin dalle prime battute l’accezione che si vuole dare al
movimento (è chiaro cosa sia questo postmoderno? Vanno bene le categorie che
gli assegniamo?).
Ercolino
taglia da subito il segmento temporale su cui intende lavorare – gli ultimi
decenni del Novecento – cercando di includere nell’analisi scrittori e opere
che non provengano esclusivamente dagli Stati Uniti. La linea seguita dimostra
innanzitutto una volontà di lavorare con un modello narrativo che non è
rilegato a nessuna corrente particolare, e il tentativo di volersi svincolare
dall’apparentemente egemone produzione letteraria americana per abbracciare
romanzi sotto una luce di internazionalità. Non sfugge quindi la volontà di
creare un terreno fertile per un modello che non vuole più essere limitato ad
una sola dimensione, quella postmoderna, spesso segnata da un alone di
negatività. Proprio declinando l’enciclopedismo
come uno dei caratteri principali di questi romanzi asserisce:
Maggiore è la complessità del
mondo, maggiori divengono gli sforzi per rappresentarla e le conoscenze
necessarie per tentare una sintesi, ma questo non ha in nessun momento
costituito un deterrente per il proliferare di tentativi enciclopedici nella
letteratura occidentale. Probabilmente non si smetterà mai di descrivere opere
enciclopediche, perché si tratta di una pratica legata ad un profondo e
ineliminabile bisogno di illudersi di poter ordinare, e quindi controllare, il
caos e la follia dell’esistenza.
Checché ne dica Lyotard, non
tutte le grandi narrazioni sono tramontate con l’avvento del postmoderno. Per
lo meno sul piano estetico.
Il
romanzo massimalista, in tutte le sue forme, perde dunque connotazioni troppo
vincolanti per acquisire una forma nuova che lascia spazio a declinazioni
spesso assai differenti tra loro. Per stessa ammissione dell’autore potrebbero
esser state aggiunte, alle otto già presenti, opere molto precedenti
cronologicamente – tanto per citarne una Le Perizie di William Gaddis – opere
che non solo risalgono agli anni ’50, ma che spesso non hanno, almeno a livello
contenutistico, nessun punto d’aggancio.
Ercolino
lavora con i “testi prescelti” in un attento processo di identificazione degli
elementi caratterizzanti, in un continuo tentativo di legittimare la categoria
tramite aspetti che la uniscano e la definiscano. Ci prova con un approccio
diverso e rinnovato, con l’inclusione di una folta schiera di critica americana
(una delle più attive sull’argomento) e con l’astuta capacità di non rendere le
categorie in esame fisse ed immobili.
Ancora
una volta è l’analisi del mondo, della realtà, ad evidenziarsi come argomento
più interessante della brillante disquisizione; perché se c’è un dibattito che
è ben lontano dall’essere chiuso è proprio il problema del realismo nella seconda
metà del secolo scorso. Alla luce, infatti, di un altro testo di critica
italiana – Realismo e Letteratura. Una
storia possibile di Bertoni (e di altri studiosi come J. Wood) – Ercolino definisce
il realismo in questione un realismo
ibrido:
Cavalcando ipotesi alternative
di realismo, il romanzo massimalista lancia nuove sfide estetiche al sistema
letterario postmoderno, nell’amara consapevolezza che per raccontare il mondo
di oggi, probabilmente, bisogna renderlo irriconoscibile. Un prezzo altissimo,
imposto da un’epoca di irrealtà diffusa, che gli autori dei romanzi discussi in
questo studio sembrano, però, disposti a pagare, sostenuti da una profonda
fiducia nel potere critico e universalizzante della scrittura massimalista.
Realtà
irreale, enciclopedismo, lunghezze astronomiche, paranoia… solo alcuni questi
dei motivi che s’incontrano quando si legge questo tipo di letteratura. Leggiamo
Pynchon, Foster Wallace, Zadie Smith, Bolaño, DeLillo e ci troviamo in un mondo
dissonante, estremo, difficile da riconoscere eppure molto familiare. Nel vortice
che è, o forse “è stata”, la grande letteratura degli ultimi trent’anni questo
testo ci porta per mano a riconoscere e apprezzare un tipo di scrittura che
affonda le sue radici sulla grande tradizione occidentale, ma ne stravolge l’assioma
di base per ricostruire una forma che vuole essere altro, che si svincola da
ciò che è stato prima perché sembra essere sempre più vero che il romanzo abbia
il dovere di fermarsi a descrivere il mondo in cui siamo immersi: se il mondo
cambia deve necessariamente cambiare anche il modo di raccontarlo.
Social Network