“Mi arrabbierò sempre alla stessa maniera contro Ivan il cocchiere, sempre alla stessa maniera discuterò, esprimerò a sproposito le mie idee, ci sarà lo stesso muro fra il tempio dell'anima mia e quello degli altri, e perfino mia moglie accuserò sempre alla stessa maniera del mio spavento e ne proverò rimorso; sempre alla stessa maniera, non capirò con la ragione perché prego e intanto pregherò, ma la mia vita adesso, tutta la mia vita, indipendentemente da tutto quello che mi può accadere, ogni suo attimo, non solo non è più senza senso, come prima, ma ha un indubitabile senso di bene, che io ho il potere di trasfondere in essa!”
Storcerete il naso, lo so già. Urlerete alla banalità e alla
superficialità critica di una redattrice frettolosa che si crogiola nei cliché
più abusati pur di non lasciarsi sfuggire l’occasione di scrivere e di parlare;
un po’ come i chirurghi, che si dice non riescano a resistere alla tentazione
di usare il bisturi anche quando la patologia non lo richiederebbe. Eppure Anna
Karenina è stata davvero la donna che, insinuandosi nella mia coscienza in
crescita, è rimasta un faro ad illuminare i ricordi e, a intermittenza,
guidarmi nella vita. Lo è stata non per il suo essere un’eroina (non credo nell’esistenza
di individui che si ergono sugli altri; credo
che chi venga considerato eroe sia semplicemente una persona che vive in
profondità il concetto di etica e di valori, rispetto a una massa umana volubile e debole), ma per essere proprio l'esatto contrario: un costante spunto di
riflessione durante la lettura.
“Io penso, disse Anna sfilandosi un guanto, che se ci sono tanti ingegni quante teste, ci sono tanti generi d'amore quanti cuori.”
Grazie ad Anna Karenina ho capito cosa non significa amare:
il sentimento che offre al proprio ego la giusta gratificazione per i propri desideri
e le proprie aspirazioni non ha nulla a che vedere con la totale abnegazione di
sé che il sentimento vero dell’amore comporta. Eppure la visione distorta e
totale dei sentimenti vissuta da Anna mi ha comunque insegnato a
contestualizzare i propri sentimenti e, soprattutto, quelli altrui, senza
pretendere di dare una risposta univoca alle proprie sensazioni.
“Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.”
Grazie ad Anna Karenina ho capito cosa significa avere una
famiglia: nella dimensione adolescenziale di ragazzina, ho scoperto che anche nell’affascinante
mondo aristocratico della Russia ottocentesca (e forse soprattutto in quello), in
una dimensione così lontana da quella in cui vivevo io, le difficoltà
relazionali tra i imembri di un nucleo familiare erano gli stessi che si
snodanvano sotto i miei occhi. Intrighi, bugie, non detti e tradimenti sembravano caratterizzare l’esistenza di tutti gli individui protagonisti della storia. Chi ero io per scandalizzarmi della realtà che mi circondava? Durante la
lettura, chiara si snodava la possibilità di uscire da una fitta trama di infelicità e insicurezza.
“Vi è un solo modo per essere felici: vivere per gli altri.”
Grazie a Anna Karenina ho capito il valore della lettura e
dell’apertura a mondi che non sono nostri. Tanti sono stati gli insegnamti
ricevuti nel corso della degustazione di un’epopea sociale e culturale, non
soltanto familiare e individuale. Poiché non mi sento in grado di proporre spunti interpretativi critico-letterari, proprio nel giorno consacrato alle donne mi
viene in mente proprio questa donna: un personaggio
letterario mi ha aperto gli occhi sul potere della lettura come arma di
liberazione dai limiti (sentimentali, per lo più) imposti dal mondo. E per questo mi ha abituato alla
vita.
Federica Privitera