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San Berillo |
Non amo le eroine, perché nel rispecchiarsi dei ruoli, in quella ricerca di libertà che così prepotentemente cerco nella letteratura, e che il grande Sanguineti declamava, cercando un barlume di oggettività nel personaggio che dice “Io”, auspicandone l’indipendenza quasi fosse “un vivente che assiste alla propria storia, la elabora, la progetta senza avere una sostanza determinata, come un luogo di esperienze dove l'io sperimenta se stesso”, non c’è posto per un personaggio di genere. Mi risultano maldestre le protagoniste nate con la pretesa di un assoluto canone femminile, a volte melense o troppo mascoline, sempre paradossali. Amo invece le scrittrici in quanto donne libere, disarmate, consapevoli e coraggiose. Molte sono le figure di intellettuali che hanno lasciato un segno nel mio percorso e una di queste è Goliarda Sapienza ( leggi qui ). A lei penso quando passeggio nei luoghi feriti di una città bella e saccheggiata come Catania, nel cuore di quel San Berillo dove altre donne hanno perso le loro battaglie, ma non senza mostrarsi sopra le righe, fragili e fortissime, nelle vie malfamate di sesso a pagamento, dove oggi il quartiere cerca una rinascita, mentre un tempo nascondeva le sue vergogne, quasi fosse un ghetto autoproclamatosi autonomo e inviolabile.
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San Berillo, lucciole |
Penso a Modesta, la protagonista dell’Arte della gioia, romanzo particolare e unico, non capolavoro nella forma, ma soprattutto anticonvenzionale, antiborghese, antitetico a tutto, perfino a se stesso. Con una forza espressiva unica, spontaneo e mai costruito, come il suo personaggio che è desiderio puro, che è forza, che è esplosione di desiderio e vita.
“Ma non preoccupatevi. Non starò a raccontarvi passo per passo la lotta che ognuno conosce per dimenticare. Soffrii esattamente come tutti. Ma l’amore non è assoluto e nemmeno eterno, e non c’è solo amore fra uomo e donna, possibilmente consacrato. Si poteva amare un uomo, una donna, un albero e forse anche un asino, come dice Shakespeare.Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esatta,ente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali...E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione. (Goliarda Sapienza, L’arte della gioia)
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