Non bisogna sottovalutare l'importanza dei gesti in una conversazione anche e soprattutto quando colui il quale li compie è considerato da buona parte della critica a livello internazionale il migliore narratore della sua generazione. Non si poteva introdurre diversamente l'incontro organizzato da Mondadori presso l'Hotel Manin di Milano mercoledì 30 marzo con Garth Risk Hallberg, l'autore di Città in fiamme (qui la recensione ). Infatti lo scrittore statunitense si è letteralmente prodigato a spiegare ai blogger invitati le ragioni del suo romanzo-fiume, riuscendo con un mix di frasi mai banali e di gesti inequivocabili a rendere plasticamente l'idea di quale fosse l'intenzione che muove l'intera opera.
Per scrivere Città in Fiamme ho dovuto pormi in un auto-esilio. Se avevo intenzione di ricreare un mondo, un mondo che fosse il più possibile autentico, dovevo estraniarmi da questo di mondo.
Garth Risk Hallberg non ha alcuna sfumatura da poseur o da autore-gradasso ma si confessa candidamente alle domande degli addetti ai lavori. Infatti una delle prime cose che gli piace sottolineare è il fatto che per scrivere Città in Fiamme egli si sia volontariamente posto in un auto-esilio, proprio perché, essendo un libro insieme molto concreto e anche molto "aereo" e artistico, doveva per forza "andarsene da questo mondo per entrare nell'altro, come se nella nostalgia del primo si potesse trovare linfa vitale per il secondo". Ed ecco allora che per ricreare i disordini provocati dal black-out totale nella New York City del 1977 Hallberg ha utilizzato stralci di cronaca dei disordini di Los Angeles del 1992 perché "l'isterismo che colpisce le persone in situazioni sovra ordinarie è più o meno lo stesso nel corso del tempo".
Ho continuamente lavorato, stralciato, ripensato e rielaborato le parti che hanno a che fare con i diversi piani temporali. Il tempo è un fattore che mi ha letteralmente ossessionato perché credo che sia basilare per creare uno zeitgeist il quanto più possibile credibile
Garth Risk Hallberg nel corso della conversazione ritorna più volte sul concetto di tempo perché ha trovato estremamente difficile tenere insieme tutti i diversi piani narrativi e, giustappunto, temporali che vi sono nel romanzo. Tuttavia questo continuo lavoro di ripensamento e rielaborazione dei piani e dei vari capitali è stato molto fruttuoso a livello creativo. Egli è partito da una base, piuttosto solida, di circa sei-sette episodi chiave che, in maniera preliminare, si era prefissato di raccontare. Poi intorno ad essi ha come fatto germogliare un intero universo con le sue regole precipue e le sue caratteristiche proprie, riuscendo (questo l'autore americano non l'ha detto ma lo possiamo affermare noi) a tenere tutto insieme in una miracolosa forza di gravità.
Il punk-rock, molto presente nel libro, è stato per me fondamentale. Ho frequentato la scena punk-rock di Washington D.C. che molti bollano come una città noiosa ma che io, nella seconda metà degli anni Novanta, ho trovato favolosa. Questa musica, questo modo di pensare mi ha fatto capire che era stupido giudicare una persona dal modo in cui si veste: era meglio giudicarla per ciò che creava, diceva o esprimeva
Un altro punto chiave del suo romanzo è, senza ombra di dubbio la componente giovanilistica e musicale. Infatti, per stessa ammissione dell'autore mentre risponde a una nostra domanda sull'importanza del punk in Città in Fiamme, spiega che il punk-rock, la filosofia che muove questo tipo di musica così immediata, un po' selvaggia e sempre e comunque giovane, muove molti fili narrativi della storia. "Ho conosciuto il punk-rock più o meno nella stessa età dei protagonisti è per me è stata una rivoluzione. Finalmente quel ragazzo un po' strano e solitario che ero poteva trovare un mondo che, in qualche misura lo capiva". Quindi senza cadere nel trito citazionismo e inventandosi anche gruppi ex-novo, Garth Risk Hallberg riesce a dare il giusto tributo a questa musica così amata. Tanto è vero che, ancora oggi, egli scrive numerosi articoli su questo argomento in un blog musicale molto seguito.
In una grande città non vi sono mai divisioni manichee, buono/cattivo, buoi/luce, santo/demonio. Credo invece che una grande città, una grande città come New York, è tale perché può essere la città di tutti. Almeno io è quello che sento quando ci vivo e quando ci andavo da ragazzo per studiare: una città brulicante in cui tutti possono viverci
Che New York sia la protagonista indiscussa di Città in Fiamme non ci piove, così come afferma Hallberg . Tuttavia è importante sottolineare il fatto che "la New York di Hallberg" è allo stesso tempo una città ideale, alla stregua della "Civitate Dei" di Sant'Agostino (citata dallo stesso scrittore durante la risposta alla nostra domanda) ed una città tremendamente reale in cui vi è contenuto tutto e il contrario di tutto. Ma è anche e soprattutto una città amata profondamente dall'autore che, fin da quando ci andava per studiare, l'ha sempre trovata "umbilicus mundi" e centro propulsore di ogni tipo di idea, aggregazione di culture e sfumature diverse, Tetite creativa del nuovo secolo. In fondo anche se parla della città anni Settanta quella decade continua ancora oggi ad influenzarci dato che "proprio durante quegli incendi a seguito del black-out larga parte dei quartieri della città dovettero essere totalmente ripensati. Questo fatto permise a numerosi imprenditori edili, tra cui la famiglia Trump, di comprare a pochissimo grandi immobili fatiscenti e poi di rivenderli a peso d'oro. Trovo sia giustificata la frase: gli anni Settanta sono ancora tra noi".
Adoro l'Italia e gli italiani, soprattutto per il modo che avete di spiegarvi senza avere bisogno delle parole ma semplicemente con dei gesti. Mia mamma è stata spesso nel Belpaese e le sue descrizioni entusiastiche mi hanno molto influenzato
Senza dover piacere a tutti i costi, ciò che stupisce grandemente in Hallberg è, almeno per questo suo esordio nel mondo delle lettere, una totale mancanza di schermi protettivi per così dire tra egli e la critica. Ovvero invece di trovarci di fronte un autore magari ombroso e rinchiuso nei suoi dubbi e tormenti esistenziali, abbiamo trovato un ragazzo che dimostra molti meno anni di quelli che ha e che si è prodigato a spiegarci esattamente la sua idea del romanzo. Una persona candida ma non banale che ha espresso a più riprese il suo genuino amore per l'Italia, in particolar modo per i gesti della popolazione. Quando chiediamo, citando uno spezzone del libro, quale sia il gesto che fanno gli italiano per dire "quanto costa" Hallberg, sorridendo, unisce il pollice alle altre quattro dita formando una punta e poi le sfiora "Ecco è questo, il gesto universale del quanto costa. Dai politici ai turisti tutti lo fanno!".
Anche se sono un pessimo conoscitore di Photoshop ho curato personalmente gli inserti grafici, proprio per dare la possibilità al lettore di riposarsi, ogni tanto, viste le dimensioni del libro.
Hallberg si è davvero speso anima e corpo in questa sua opera. Infatti, come ha confermato durante la chiacchierata, egli ha curato personalmente le parti grafiche, molto numerose, nel libro, "pensate per creare una sorta di oasi dove distendere le gambe e schiacciare un pisolino sotto una palma durante l'attraversata". La volontà era quella di ricreare la grafica e i font di ritagli di giornale, pezzi di diario o pagine di fanzine punk, tutti media che l'autore mastica ottimamente, avendoli frequentati (e frequentandoli) tutti e tre. "Io fino all'ultimo ero convinto che il mio libro fosse impubblicabile. Poi quando ho trovato l'editore che credeva in me gli ho proposto anche questi miei lavori artigianali con Photoshop. Io sono un dilettante in questo settore ma ammetto che, alla fine, il risultato mi ha pienamente soddisfatto".
Non è che odi i social network, semplicemente non li uso perché per farlo dovrei concentrarmi e se debbo concentrarmi preferisco farlo sulla mia opera. Trovo però che questa generazione dello specchio, sempre intenta a specchiarsi, rischi di perdere il contatto con gli altri.
Al termine dell'incontro il discorso scivola, quasi naturalmente, sulla sua "assenza" dai social. Garth Risk Hallberg in maniera molto franca spiega come non abbia tempo di curare le proprie pagine (gestite dal suo autore americano dopo il nulla osta dello stesso autore) perché preferisce spendere le proprie energie di concentrazione su altro, come ad esempio la realizzazione della sua opera. "Lo scrivo anche nel libro: lo specchio è il mobile più pericoloso perché chi si focalizza su di esso perde il contatto con gli altri, non li vede. E a me gli altri interessano perché, forse, conoscendo gli altri posso conoscere anche me stesso". Ecco che Hallberg, in ultima analisi, ci svela la sua vera "materia di ricerca letteraria": gli altri, la continua-ossessiva sete di conoscenza degli altri nella speranza che così facendo si bossa sbrigliare il misterioso nodo rappresentato da noi stessi.
Non sappiamo a che punto sia questa ricerca di Hallberg ma siamo sicuri che la sua Città in Fiamme sia, parafrasando una famosa frase di Woody Allen, "uno dei motivi per cui siano valido vivere". O per lo meno un valido, validissimo motivo per posare il proprio telefono ed entrare nel mondo.
Non sappiamo a che punto sia questa ricerca di Hallberg ma siamo sicuri che la sua Città in Fiamme sia, parafrasando una famosa frase di Woody Allen, "uno dei motivi per cui siano valido vivere". O per lo meno un valido, validissimo motivo per posare il proprio telefono ed entrare nel mondo.
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