di Risk Hallberg Garth
Mondadori, 2016
pp. 1005
€ 25
Città in Fiamme di Risk Hallberg Garth
edito da Mondadori è una Tetide. Per
Tetide si intende l’oceano primordiale che, grosso modo intorno all’era in cui
i Dinosauri erano gli assoluti dominatori della terra (tra il Permiano e il
Miocene), separava l’Africa Settentrionale dall’Europa e dall’Asia. Come la
Tetide era una spazio onnicomprensivo, che frazionava ma anche e soprattutto
univa tutte le specie esistenti in un costante “non isolamento” delle specie
(cosa questo che invece si verificherà sempre di più con i mammiferi), allo
stesso modo Città in Fiamme è un’opera che fagocita tutto quanto e che, via via
che la storia anzi le storie proseguono si alimenta di nuova linfa, di nuova
energia vitale e di nuova dissacrante carica nichilista. Un misterioso omicidio
che sconvolge la vita di vari personaggi sul fondo della New York anni
Settanta, dove i fumi della discomusic stanno per lasciare il tempo e lo spazio
ai furori del punk. Dire se questo sia o meno il libro dell’anno è un mero
esercizio di stile: quello che proprio non si può dire a meno è che sia
un libro che lascia indifferenti.
Il
fattore tempo: un viaggio lunghissimo di dieci anni
Qual è l’arco di tempo di Città in
Fiamme? Non molto vasto, grosso modo circa dieci anni, ovvero dai primi anni
Sessanta alla piena maturità degli anni Settanta, quando le città bruciano. Che
cosa vuol dire questa scelta cronologica? Vuol dire che Risk Hallberg Garth ha
optato per raccontare l’età in cui l’America non soltanto ha perso la sua
innocenza ma l’ha anche rinnegata, per andare ad abbracciare, più o meno
convintamente, nuove direttive, nuovi stili di vita e nuove possibilità di
coesione sociale. Perché gli anni raccontati nelle pagine del libro sono anni
nei quali la morale cambia, le droghe da leggere si fanno pesanti, i colori da
pastello si fanno acidi e dove la musica, dopo qualche giro su se stessa che
avrebbe potuto far gridare al manierismo, deflagra in un’onda barbarica e
pulsante di nuovi sensi, ragioni, forme e colori. Non potevano essere altri gli
anni di Città in Fiamme, anni passati da quasi mezzo secolo ma che s’inseriscono
e si sposano alla perfezione con il libro più contemporaneo ed importante dell’anno.
I
personaggi: tutti insieme appassionatamente
Non c’è un personaggio centrale nell’economia
del romanzo ma tutti, chi più chi meno, sono “equamente inutili” ai fini della
storia. Perché non è una storia di singolarità questa, un romanzo classico dell’ottocento
con un protagonista titanico che si erge sul fondo di ogni vicenda. Questo è
invece un racconto corale nella sua forma più squisita, dove la polifonia
domina sulla singolarità della voce. Certo gli adorati (ma anche i detrattori)
di Risk Hallberg Garth avranno
certamente i loro personaggi preferiti, le loro storie che amano di più ed
anche i passaggi meno riusciti, eppure questo non conta assolutamente nulla. Perché
quello che è davvero importante è la voce, frutto di più voci, che si staglia
su tutto: una città brulicante, una città che sale, una città che vive e che
muore ogni giorno, ogni anno.
New
York, un luogo, mille luoghi
Essere scontati non è un difetto se si è
onesti e coraggiosi fino in fondo. Questa potrebbe essere una frase di Ernest
Hemingway ma si sposa bene con la scelta del luogo di Città in Fiamme, ovvero
New York. New York è la città delle città, la Parigi-Babilonia del XX secolo,
la più inflazionata se si vuole, ma la metropoli senza la quale in concetto di
universalismo, almeno nella decade presa in considerazione dal romanzo, non
sarebbe potuta essere autentica. Già perché la New York del 1973 era la città dove, più di tutte le altre città, si potevano trovare genti e persone
da ogni altro angolo del globo e dove tutto si assommava e tutto si
contraddiceva, in un incredibile teoria degli opposti che mai si scontrano del
tutto ma che invece s’attraggano quasi sempre. Ecco perché Città in Fiamme è un’ode a
New York tanto onesta e genuina, perché canta tutte quante le sue bassezze, l’odore
nauseabondo delle sue strade, i vizi che si possono consumare facilmente e i
tragici dislivelli sociali. Ma New York, lo si sa, è anche la città più vicina
al cielo, dove si può fare tutto: porta dell’inferno e città celeste. Se
proprio deve bruciare che lo faccia con stile.
Questione
di stile
Qual è lo stile di Garth Risk Hallberg?
Pare che per rispondere occorra ancora una volta citare la Tetide, anzi la
divinità da cui trae il suo nome, ovvero Teti, madre di Achille.
Hallberg come Teti è arcaico, materico e materiale, perché tratta di cose
concrete, usa le armi dell’humanitas per muovere a proprio piacimento le
persone. Eppure, proprio come Teti nell’Iliade, è anche pieno di scatti, è moderno e guizzante, come una creatura dell’acqua. Ecco perché lo stile di
Hallberg è così particolare e al contempo così tradizionale: perché è liquido e
prende la forma del contenitore dove si alberga. Se deve parlare di mondo
finanziario allora ecco che si fa rigido ed imbolsito, se deve trattare di
fanzine punk diventa sberciato e pieno di borchie, se deve parlare di droga si
fa perduto per sempre.
Per tutta questa serie di motivi Città
in Fiamme è, senza ombra di dubbio, il libro dell’anno e ne vale sicuramente la
pena di tuffarsi in quest’oceano di carta. Poi, naturalmente, occorre una certa
dose di attenzione di perizia per non finire sbranati dai mostri che ne
popolano gli abissi, ma in alcuni punti l’acqua è davvero cristallina e la
vista incantevole. Mai incendio è stato più simile ad un oceano come in questa Tetide dei nostri giorni passati.
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