La Stanza è vera verissima, ma forse anche il Fuori lo è, solo che è nascosto sotto un mantello che lo fa diventare invisibile, come Principe JackerJack della storia. Gesù Bambino credo che esista solo in Tv, tranne che nel dipinto con la sua mamma, suo cugino e sua nonna, anche se la faccia gialla di Dio appare davvero dentro Lucernario e guarda giù, ma non oggi che è tutto grigio.
Room. Stanza, Letto, Armadio, Specchio è un romanzo della scrittrice irlandese Emma Donoghue pubblicato nel 2010. È stato finalista al Man Booker Prize inglese ed è attualmente in corso di pubblicazione in 24 paesi. Arriva domani nelle sale italiane l'adattamento del regista Lenny Abrahamson. Già vincitore del Toronto Film Festival, il film è stato candidato agli Oscar 2016 nelle categorie Miglior film, Miglior attrice protagonista - premio vinto da Brie Larson - Miglior regia e Miglior sceneggiatura non originale, affidata proprio all’autrice Emma Donoghue.
Abbiamo letto il libro e visto il film in anteprima, scoprendo così le due versioni di una storia molto intensa, ispirata a vicende di cronaca nera come il caso Fritzl.
Il titolo e il sottotitolo del libro delimitano già lo spazio dell'azione: una Stanza di pochi metri quadrati che sembra sospesa nello spazio e nel tempo. È impossibile dire dove si trovi, "la Stanza non sta su nessuna mappa".
La definiscono solo il Letto, l'Armadio, lo Specchio e tutti gli oggetti dentro racchiusi. Accanto all'incerta identità spaziale c'è l'identità emotiva della Stanza, datale dai due personaggi principali, il piccolo Jack e la sua Ma'.
Jack è nato nella Stanza e non conosce altro mondo fuori da questa; è l'unico spazio possibile, l'unico spazio reale. La Stanza è la casa che Jack ama tanto, ma è anche la prigione in cui Old Nick li tiene rinchiusi da sette anni.
Ogni notte, quando Old Nick viene a fare visita a Ma', lui va a dormire nell'armadio. Ma' non vuole che Jack veda Old Nick perché vederlo significa accettarlo, renderlo reale.
La definiscono solo il Letto, l'Armadio, lo Specchio e tutti gli oggetti dentro racchiusi. Accanto all'incerta identità spaziale c'è l'identità emotiva della Stanza, datale dai due personaggi principali, il piccolo Jack e la sua Ma'.
Jack è nato nella Stanza e non conosce altro mondo fuori da questa; è l'unico spazio possibile, l'unico spazio reale. La Stanza è la casa che Jack ama tanto, ma è anche la prigione in cui Old Nick li tiene rinchiusi da sette anni.
Ogni notte, quando Old Nick viene a fare visita a Ma', lui va a dormire nell'armadio. Ma' non vuole che Jack veda Old Nick perché vederlo significa accettarlo, renderlo reale.
Sia nel romanzo che nell'adattamento cinematografico la storia è raccontata dal punto di vista del piccolo Jack, che ha solo cinque anni e uno sguardo innocente e curioso su tutte le cose.
È nel libro che in particolare il punto di vista emerge con forza, sono le sue parole a definire i confini dello spazio del racconto e con il progredire della vicenda è il suo linguaggio a segnare la riscoperta del mondo, la riappropriazione progressiva di tutte le cose perdute.
Il primo approccio con la storia è disorientante: tanto il lettore quanto lo spettatore vengono immediatamente introdotti nello spazio della Stanza senza conoscere il contesto. L'effetto complessivo è di straniamento. Di lì a poco la verità si delinea in tutto il suo dramma.
Il tema più interessante del racconto, sia letterario che cinematografico, è l'esistenza di più mondi che si incastrano l'un l'altro e appaiono diversi a seconda della prospettiva di chi guarda. C'è quello della Stanza che è un infernale spazio chiuso per Ma' e un nido pieno di possibilità per Jack e poi c'è quel "Fuori" che Jack non conosce e che, come tutte le cose sconosciute, è quasi impossibile concepire.
Nonostante regali loro la libertà, anche il "Fuori" può essere ostile e fare paura.
C'è anche il mondo fittizio che Ma' ha inventato per Jack, fatto di storie e di avventure ispirate a libri e a canzoni:
Nonostante regali loro la libertà, anche il "Fuori" può essere ostile e fare paura.
C'è anche il mondo fittizio che Ma' ha inventato per Jack, fatto di storie e di avventure ispirate a libri e a canzoni:
Salgo su Dondolo per prendere i libri da Scaffale e costruisco un grattacielo di dieci piani su Tappeto. «Dieci piani di storie» dice ma’ ridendo, anche se non fa tanto ridere.Prima avevamo nove libri, ma solo quattro con le figure dentro [...]Ma’ non legge quasi mai quelli senza figure, solo quando è disperata. Quando ho compiuto quattro anni ne abbiamo chiesto un altro con le figure come Premio della Domenica e ci è arrivato Alice nel Paese delle Meraviglie. mi piace, ma ci sono troppe parole e molte sono antiche.Oggi scelgo Dylan l’escavatore, è uno di quelli in fondo, e quando lo prendo... craashhh crolla il grattacielo.
Il piccolo protagonista di Room ricorda spesso Alice che cade nel Paese delle Meraviglie, fatto di paradossi, nonsensi e giochi di specchi. Come nel romanzo fantastico di Carroll, anche dietro gli oggetti e i personaggi della favola di Jack si nasconde qualcosa di pauroso.
Accanto al tema dei mondi spicca quello del rapporto viscerale e simbiotico tra madre e figlio, tanto vicini da sembrare uguali:
Ma’ dà un colpetto col dito dentro Specchio dove c’è la mia fronte e lascia un cerchiolino. «La mia immagine sputata.» «E perché sono la tua immagine sputata?» Il cerchiolino sparisce lentamente.«È solo un modo per dire che mi assomigli. Credo che dipenda dal fatto che tu vieni da me, come il mio sputo. Stessi occhi castani, stessa bocca grande, stesso mento appuntito...»
Jack e Ma' hanno gli stessi lunghi capelli castani e il bambino, interpretato nel film dal talentuoso Jacob Tremblay, sembra quasi una bambina. La scelta di una rappresentazione quasi asessuata si allontana un po' dal racconto di una sessualità incipiente del libro, a tratti quasi incestuosa e simboleggiata dal gesto dall'allattamento.
Nonostante l'indubbia capacità dei protagonisti che regalano due intense performance di recitazione - quella di Brie Larson le è valsa persino l'Oscar - e danno corpo a una storia ad alto impatto emotivo, il film sconta come spesso accade lo sforzo di concentrare 400 pagine di racconto in due ore. Da qui una certa freddezza di fondo e l'incapacità di sviscerare molti lati della storia, come il rapporto con la famiglia di Ma', la crescita e l'inizio della consapevolezza di Jack, la sua totale estraneità al mondo degli altri, delle persone fuori dalla Stanza.
Il regista Lenny Abrahamson sceglie di concentrarsi ancora più marcatamente sull'unione indivisibile di madre e figlio: gli altri personaggi della vicenda, come il padre interpretato da William H. Macy, nel film rimangono meri comprimari, figure di contorno.
La fotografia è fredda dalla prima inquadratura della Stanza fino alla fine, non ci sono estati e primavere, a tratti compare il sole, ma è livido e invernale.
È la barriera che separa i due protagonisti dal resto del mondo e che rimane intatta quasi fino alla fine del film, per sciogliersi poi in alcune quadri conclusivi che lasciano spazio alle possibilità di una nuova vita e di una nuova libertà.
Jack e Mà' smettono di sopravvivere e iniziano finalmente a vivere.
Claudia Consoli
È la barriera che separa i due protagonisti dal resto del mondo e che rimane intatta quasi fino alla fine del film, per sciogliersi poi in alcune quadri conclusivi che lasciano spazio alle possibilità di una nuova vita e di una nuova libertà.
Jack e Mà' smettono di sopravvivere e iniziano finalmente a vivere.
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