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È così attaccato alla Famiglia che ne deve scappare. Com’è destino di tutti i figli più legati. Sono sempre loro ad andarsene, si espellono da soli per non perire del tutto.
Tra le migliaia di figure paterne
che costellano la letteratura di ogni epoca, è stato il Nick Molise da La
confraternita dell’uva di John Fante a venirmi istantaneamente in mente
raccogliendo i ricordi legati alla festa del papà. L’autore tra i più dolorosi
della narrativa anglo-americana del Novecento ha racchiuso nel libro della sua
maturità letteraria la più micidiale e tormentosa elegia della figura paterna; Nick
Molise si erge massiccio, tirannico e ingombrante per tutta la durata
dell'opera, non rappresentando soltanto l'atavico padre di famiglia, granitico
e perennemente legato ai valori trasmessi dal lavoro manuale (incapace di
accettare come mestiere l’attività di scrittore del figlio Henry-John Fante),
ma anche l'emblema della prima generazione infangata di italiani emigrati in
America, oppressi e sommersi dai biechi pregiudizi pronunciati nei loro
confronti:
Creature di sangue africano, che girano con il coltello, figli di una nazione nelle mani della mafia.
La grande ed immaginifica capacità scrittoria di John Fante ci riporta in
un'epoca passata, di vecchie bettole, di amore per la materialità e di uno smisurato
(alle volte quasi ridicolo) senso del dovere. In tutto ciò, si coglie
distintamente come i valori dell'amicizia, dell'unione e del rispetto siano il
collante dell'anima delle persone, malta senza la quale le nostre esistenze
crollerebbero come muri (o affumicatoi, se preferite) mal costruiti.
I fianchi deliziosi delle colline autunnali filavano dietro i finestrini: alberi di manzanita, querce nane e pini, e poi fattorie, vigneti, mucche e pecore al pascolo tra rocce bianche, e boschetti di peri e di peschi. Da quelle parti, l’autunno era una stagione forte: la terra mostrava i muscoli, la propria fertilità, e nell’aria c’era un senso di selvaggia energia.
Per le strade della mia Sicilia, in queste fresche e soleggiate mattine primaverili
quando la natura esplode in tutto il suo rinnovamento, sembra che le parole di
Fante fungano da didascalia per il paesaggio che mi è più familiare. Risuona,
poi, la voce del mio, di papà, che durante il tragitto da casa a scuola negli
anni delle elementari teneva con me le conversazioni più bizzarre ma, al tempo
stesso formative, che la curiosità di una bambina in crescita potessero
suscitare. Se La confraternita dell’uva è un inno alla famiglia e alla ricerca della propria identità nel mondo, posso
affermare che la mia identità possiede la sua conformazione anche grazie a
quelle chiacchierate mattutine della mia infanzia con un padre assimilabile
alla titanica figura di Nick Molise. Non nei suoi difetti ma nel suo pregevole spirito
guida e nello stesso profumo di frutta, non fermentata nelle botti di castagno ma
fresca e genuina come gli agrumi “del cuore” di mio papà.
Come poteva un uomo vivere senza suo padre? Come poteva alzarsi la mattina e dire a se stesso: mio padre se n’è andato per sempre?Federica Privitera