di Adam Gopnik
Guanda, 2016
Traduzione di I. C. Blum
pp. 269
€ 20 (cartaceo)
Tutti a parlare di primavera e a voi manca già l'inverno? Esiste un rifugio perfetto dove potete tornare indietro nel tempo, non solo per raggiungere il presunto inverno 2015, ma soprattutto per rievocare inverni rigidi come non se ne vedono più, quelli che oggigiorno si trovano solo a latitudini particolari... Ecco il vostro biglietto speciale per l'inverno: si tratta del saggio L'invenzione dell'inverno di Adam Gopnik, uscito per Guanda all'inizio di quest'anno.
Gopnik ci invita a salire sulla slitta trainata dalle sue passioni e dai suoi ricordi, a partire da una premessa fondamentale:
Oggi noi vediamo, udiamo e percepiamo, nell'inverno, note e sfumature emozionali che i nostri antenati e le nostre antenate non avvertivano. Spero di descrivere alcune di queste nuove mappe del sentimento e dell'inverno, e di raccontarvi qualche storia sulle persone - folli, avide e a volte ispirate - che le hanno ridisegnate. (p. 16)
Se, dunque, ci si attiene a quanto anticipato qui, non si tratterà di un viaggio con tappe rigide e preordinate, ma di un percorso appassionante, costellato di brividi e non sempre e solo di freddo: sì, perché a un certo punto l'inverno diventa anche un'occasione erotica per portare la propria amata nella neve e immaginare il calore sotto tutti quei vestiti.
Con attenzione diacronica e diatopica, ma anche diamesica, Gopnik, analizza quell'inverno tanto diverso nel Canada romantico, che «riceveva una tonificante carica di realismo» (p. 49), rispetto all'Europa, dove «scendeva un altro stato d'animo, [...] un nuovo pathos, una nuova serenità, un nuovo ricorso alla strumentazione ornata della musica popolare: l'inverno ammansito, certo, come già era accaduto prima, ma anche l'inverno reso elegante» (ibidem). Vi contribuiscono gli impressionisti francesi, Monet su tutti, ma anche la musica ha un ruolo essenziale.
Inoltre, l'inverno rappresenta con i suoi ghiacci una ricerca di isolamento nello spazio infinito, che si concretizza bene nelle esplorazioni (talvolta senza speranza) di tanti. Ma «ogni nazione moderna ha bisogno di un nulla, [...] di uno spazio bianco vuoto su cui lasciare impresso il suo segno: la sua idea di se stessa, le sue fantasie sulla propria storia e sul proprio significato» (p. 74). E non mancano diari di viaggio e cronache in diretta da naturalisti che hanno solcato mari ghiacciati, pur di realizzare tutto ciò.
Al di là del valore simbolico e spaziale, Gopnik si dedica anche all'influenza che ha l'inverno sullo spirito, e al significato intrinseco delle feste di Natale. Le curiosità sono tante: ad esempio, sapete cosa ha mosso Dickens a scrivere il celebre Canto di Natale? O da dove arriva tutta l'iconografia che ci riempie vetrine e case?
Ma l'interesse di questo poliedrico saggista si estende agli sport invernali, che danno al biancore tradizionale un nuovo senso di velocità. Viene subito in mente l'hockey, ma anche il pattinaggio diventa centrale in molti Paesi, non senza connotazioni erotiche.
E che dire allora del silenzio, che ammanta la città e la muta profondamente? Andando verso il Novecento, anche questa è una componente nuova e da considerare, soprattutto da quando sono stati introdotti i caloriferi, che hanno il potere di isolare l'inverno fuori dai muri domestici. Ciò non toglie che qualsiasi mutamento non ha intaccato il ruolo di questa stagione come nostro "segnatempo" personale:
«Al principio, consideravamo l'inverno come qualcosa da attraversare e superare, poi, abbiamo finito per vederlo come un tempo al quale aggrapparci» (p. 229)
Insomma, si giunge alla fine di questa lunga carrellata di aneddoti artistici, storici, tecnologici, sportivi, con una nuova consapevolezza. E soprattutto con la grande curiosità di approfondire almeno alcuni degli autori o dei personaggi affrontati da Gopnik, accettando di buon grado che
«l'inverno è la pagina bianca su cui scriviamo il nostro cuore. Su una pagina più verde, avrebbe un aspetto diverso.» (p. 231)
GMGhioni
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