Un solo essere
di Marco Montemarano
Neri Pozza,
2015
pp. 251
€ 17,00
pp. 251
€ 17,00
L’opera di
Marco Montemarano si apre con una dichiarazione d’intenti: viene immediatamente
svelato lo spunto autobiografico della narrazione, insieme al bisogno dell’autore
di ritornare su una vicenda di cronaca nera che lo ha interessato da vicino,
nel vano tentativo di trovarvi un senso. L’esplorazione del crimine, ci viene suggerito,
diventerà indagine esistenziale, riflessione sulle sorti umane, sul coraggio e
la determinazione con cui si può affrontare un lutto, su una città con tutte le
sue contraddizioni:
Monaco è una provincia di un
milione e mezzo di abitanti dove sembra che nulla possa davvero interferire coi
tuoi piani. Una città di artefici del proprio destino che a volte fanno
l’errore di credersi immortali mentre invece la morte è ovunque (p. 12).
Proprio a
Monaco, infatti, quasi a punire questa hybris
dilagante, un uomo è stato ucciso in circostanze incomprensibili. La fidanzata
è stata testimone di un atto di violenza apparentemente gratuito, di cui non
riesce a capacitarsi. Il colpevole non è mai stato identificato.
Da questo episodio cronachistico decolla la storia, nonostante i
preconcetti e la maldisposizione iniziale del lettore, che crede gli sia già
stato detto tutto. I nomi vengono cambiati, il reale si muta in romanzesco e
lascia presagire uno sviluppo diverso, l’occasione di un riscatto finzionale
laddove storicamente la giustizia ha fallito.
L’evento drammatico fornisce il pretesto per la ricostruzione
introspettiva di una vita, di più vite. Innanzitutto quella di Natalia, giovane
donna volitiva e un tempo radiosa, rimasta improvvisamente e illogicamente sola
in balia di quello che dapprima lei chiama destino, non avendo il coraggio di
pronunciare né scrivere la parola “morte”. Ma indagate sono anche le giornate di Massimo
e Alexander, i suoi comprimari: il primo è un accademico anticonvenzionale, tatuato
e pieno di piercing, che riveste il ruolo di testimone e voce narrante
pragmatica e presumibilmente oggettiva; il secondo è un professore stimato e
misterioso, che nessuno conosce veramente e che cela dietro ad una inscalfibile
imperturbabilità una verità tragica sul proprio passato. Grazie alla
moltiplicazione dei piani narrativi, la trama si complica e si fa avvincente,
suscitando domande che solo nelle ultime pagine troveranno una risposta,
peraltro non scontata. Eppure, dopotutto, non è questo lo scopo primario
dell’autore, che pare più interessato a rallentare il ritmo dell’esposizione che
non a orientarla rapidamente verso la sua conclusione. La scelta non è casuale,
bensì mimetica: l’esistenza stessa di Natalia è infatti stata congelata nel
momento dell’assassinio; il suo sguardo verde e intenso da quel momento appare
svuotato, rivolto non più verso il mondo esterno, ma verso l’interno della sua
mente, dove si ripete sempre la stessa scena di morte. Anche lei vorrebbe
essere scomparsa, “diventare la stessa cosa che era lui [Martin], un solo essere,
come era successo mille volte in quegli otto anni passati insieme” (115).
L’omicidio insensato apre la strada ad una profonda riflessione sulla memoria, sulla
nascita e sull’importanza del ricordo, sulle modalità della sua conservazione. Il
fatto traumatico macchia e contamina il passato: “la Seppia maledetta che
offuscava e anneriva ogni cosa” (27) è il sangue scuro di Martin che penetra
nell’anima di Natalia e diventa la nuova cifra dominante di ogni ricordo
condiviso. Si scopre un desiderio ossessivo di riscrivere gli eventi,
cambiandone il finale (la stessa operazione che, del resto, azzarderà nel
romanzo Marco Montemarano).
Per questo motivo, probabilmente, il più interessante tra gli
sviluppi narrativi è quello che coinvolge i potenziali assassini: non ce ne può
essere soltanto uno, perché il colpevole non è stato individuato (nell’opera non ancora, nella realtà mai), ma anche perché la figura scura
intravista da Natalia nella notte fatale, più che una persona specifica, incarna
la morte stessa, nel suo potenziale di follia e imprevedibilità. Attraverso una
serie di scorci momentanei la cui natura verrà svelata soltanto in un secondo
momento, il lettore familiarizza con una serie di figure inquietanti, tutte
ugualmente pericolose: dal killer slavo ubriaco e delirante al
tossicodipendente fuori controllo, dal neonazista frustrato e desideroso di
riconoscimento al borghese insospettabile che cova nel segreto la propria
psicosi. La soluzione, quando arriverà, sarà ugualmente impensabile, ugualmente
plausibile e ugualmente poco utile, perché nel frattempo le prospettive sono
cambiate e tutto quello che doveva succedere è già successo. Attraverso lo
scorrere delle pagine, ci si rende conto infatti che ad importare non è più tanto la
scoperta e l’arresto di un criminale, quanto il processo di guarigione emotiva
di Natalia, il percorso di riscoperta di sé messo in atto da Alexander, la
maturazione progressiva del narratore stesso. I tre personaggi, ognuno a suo
modo, imparano attraverso la sofferenza, trasformano il dolore in risorsa,
trovano la forza di lasciarsi il passato alle spalle, senza dimenticarlo, ma
traendone nuovo slancio vitale per reinventare il proprio futuro.
Carolina Pernigo
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