di Jenny Offill
NN editore, marzo 2015
Traduzione di Francesca Novajra
pp. 168
euro 16.00
Per anni ho tenuto un post-it sopra la mia scrivania: “Pensa al lavoro non all’amore!”. Sembrava una felicità più consistente.
Arrivo con vergognoso ritardo, lo so. Arrivo, infatti, ad un anno dalla pubblicazione italiana di questo libro (e al primo compleanno della neonata casa editrice milanese NN editore, che proprio con tale romanzo ha iniziato la sua notevole avventura editoriale) e dopo così tante letture e recensioni entusiaste che hanno portato al romanzo di Jenny Offill il titolo di libro dell’anno da parte di – solo per citarne alcuni, tra i più autorevoli – New York Times Book Review, Guardian, Observer.
Insomma, questa volta non sono sul pezzo.
Insomma, questa volta non sono sul pezzo.
Ma se come me avevate notato l’uscita di questo romanzo e poi, chissà come, era rimasto nella – lunghissima – wishlist dei titoli da leggere, ecco, è il momento di rimediare. E in meno di duecento pagine il romanzo della Offill vi stregherà con uno stile puntuale e una narrazione originale, poetica e lieve, dove parole e trama sono l’una al servizio dell’altra, rese perfettamente nell’attenta traduzione italiana curata da Francesca Novajra.
Già autrice dell’apprezzato Last Things (di prossima pubblicazione la traduzione italiana, sempre per Nn Editore), di libri per bambini, saggi e antologie, la Offill come la protagonista di quest’ultimo romanzo insegna scrittura creativa a New York, la stessa città in cui la storia è ambientata e che tuttavia resta solo uno sfondo vago, di cui se ne intuiscono i contorni qui e là lungo la trama, ma senza mai rubare la scena ai veri protagonisti della storia. Che sono appunto l’io femminile, narratrice e protagonista, i sentimenti e i pensieri riversati sulla pagina in una sorta di flusso di coscienza.
Lei, la protagonista senza nome, mediante una narrazione costruita su frammenti e pensieri irregolari osserva la propria vita, un’esistenza ordinaria, come tante altre, fatta di gioie e dispiaceri quotidiani, amore e delusioni, risate e difficoltà. È la storia di una vita simile ad altre, che solo la letteratura – quando è all’altezza, come in questo caso – sa rendere speciale. Una donna, le sue ambizioni di scrittrice, la frustrazione e il sacrificio, l’amore e il matrimonio a cambiare ogni piano. Lui, che gira la città per registrarne suoni e rumori da riversare in radio, di notte, suona il piano, racconta aneddoti; lui, di cui nonostante il progetto di non sposarsi mai e «diventare un mostro d’arte» inevitabilmente si innamora.
Momenti di felicità che a volte è difficile riconoscere, ma che sono lì, offuscati dalle ansie e le difficoltà quotidiane.
Fa girare la testa, questa felicità.
Il matrimonio, il desiderio di costruire una famiglia, il dolore indicibile per la perdita del primo figlio, poi la spaventosa felicità per la nascita di una bambina. La città, i suoi pericoli, l’amore coniugale, il lavoro, l’apprensione, la maternità non sempre facile. Ma anche l’insonnia, la paura, il mistero del matrimonio e le incomprensioni. La solitudine, nonostante tutto.
Perché lei, nell’ossessionata ricerca della felicità perfetta forse ha perso qualcosa e nelle notti insonni passate a tormentarsi l’ansia sembra togliere il fiato, il matrimonio e la maternità che non bastano a cancellare la solitudine. È il ritratto di una donna complicata, di cui forse possiamo intuire fantasmi del passato, vecchi amori e delusioni che ne hanno plasmato il carattere, le ossessioni, le insicurezze, ma è un background che – come tutto il resto, come la città – resta uno sfondo sfuocato, perché la riflessione è tutta concentrata sul mistero del matrimonio, sulle sue complicazioni, le insicurezze che ci portiamo dentro:
Foto di Debora Lambruschini |
Tre cose che nessuno ha mai detto di me:
Sei molto misteriosa.
Rendi tutto così facile.
Devi prenderti più sul serio.
Poi, qualcosa si spezza e ogni cosa assume contorni nuovi di fronte al tradimento:
Le dicono, Te ne dovevi accorgere. Come hai potuto non capirlo? E lei risponde: non c’è niente che mi abbia sorpreso di più in tutta la mia vita.
Non importa di chi sia la colpa: rabbia e sofferenza, quella felicità imperfetta che era stata fino a quel momento la vita assume ora un valore tutto nuovo, mentre il matrimonio va alla deriva.
E la vita da scegliere, tra i ricordi di quella che in fondo era felicità – imperfetta, come lo è la vita stessa – e ciò che è adesso.
Diario, flusso di coscienza, frammenti e ricordi: il romanzo della Offill è un piccolo capolavoro di tecnica narrativa, sentimenti e citazioni, che coinvolge per il carico emotivo, le tematiche intorno a cui riflettere e l’uso sapiente della prosa.
Infarcito di riferimenti letterari più o meno celati, tra cui spiccano Keats, Rilke, Dickinson, Kafka, Coleridge, T. S. Eliot e numerosi altri, a cui si intrecciano aneddoti, curiosità scientifiche, considerazioni su letteratura e scrittura, è un romanzo a più livelli, ognuno di essi magistralmente costruito. È riflessione sulla ricerca della felicità e il mistero della coppia, sulle solitudini del matrimonio, le incomprensioni e le difficoltà quotidiane, sulla maternità più complicata e imperfetta di quanto si vorrebbe ammettere; ambizioni e sogni messi alla prova dalla vita di ogni giorno, frustrazioni e piccole infelicità, in un mai esaurito confronto tra arte e vita, desideri e compromessi.
Ed è un romanzo in cui la tecnica narrativa e l’uso attento della parola tornano prepotentemente protagoniste, non più celate dietro le complessità della trama ma ad essa partecipano per restituirne il senso più profondo. Da qui, l’uso della prima persona, il narratore interno alla storia la protagonista senza nome, che osserva da vicino, con accorata partecipazione, la propria vita e il matrimonio, per poi lasciare il posto al racconto in terza persona, laddove il distacco emotivo è necessario per prendere le distanze dalla storia e meglio comprenderla. Non più “io”, ma “la moglie”, insieme a “lui”, “il marito”, “la figlia”, e quella famiglia messa alla prova. Fino a ritrovare l’io finale, in una conclusione brevissima eppure estremamente intensa, dove le immagini evocate contano più delle parole, delle decisioni da prendere, perchè lì, in mezzo alla neve «il mondo è di una bellezza sospesa» ed è facile capire che cosa sia la felicità.
Un romanzo sperimentale e coinvolgente, che ha il sapore e a tratti l’impianto della short story: come la forma breve gioca con le parole e la tecnica narrativa, racconta il frammento, rinunciando all’universalità del romanzo per concentrarsi sul particolare, sul microcosmo rappresentato.
È ironico, doloroso, denso di sentimenti e citazioni. Di vita: imperfetta, straordinariamente ordinaria.
di Debora Lambruschini
Le dicono, Te ne dovevi accorgere. Come hai potuto non capirlo? E lei risponde: non c’è niente che mi abbia sorpreso di più in tutta la mia vita.
Non importa di chi sia la colpa: rabbia e sofferenza, quella felicità imperfetta che era stata fino a quel momento la vita assume ora un valore tutto nuovo, mentre il matrimonio va alla deriva.
E la vita da scegliere, tra i ricordi di quella che in fondo era felicità – imperfetta, come lo è la vita stessa – e ciò che è adesso.
Diario, flusso di coscienza, frammenti e ricordi: il romanzo della Offill è un piccolo capolavoro di tecnica narrativa, sentimenti e citazioni, che coinvolge per il carico emotivo, le tematiche intorno a cui riflettere e l’uso sapiente della prosa.
Infarcito di riferimenti letterari più o meno celati, tra cui spiccano Keats, Rilke, Dickinson, Kafka, Coleridge, T. S. Eliot e numerosi altri, a cui si intrecciano aneddoti, curiosità scientifiche, considerazioni su letteratura e scrittura, è un romanzo a più livelli, ognuno di essi magistralmente costruito. È riflessione sulla ricerca della felicità e il mistero della coppia, sulle solitudini del matrimonio, le incomprensioni e le difficoltà quotidiane, sulla maternità più complicata e imperfetta di quanto si vorrebbe ammettere; ambizioni e sogni messi alla prova dalla vita di ogni giorno, frustrazioni e piccole infelicità, in un mai esaurito confronto tra arte e vita, desideri e compromessi.
Ed è un romanzo in cui la tecnica narrativa e l’uso attento della parola tornano prepotentemente protagoniste, non più celate dietro le complessità della trama ma ad essa partecipano per restituirne il senso più profondo. Da qui, l’uso della prima persona, il narratore interno alla storia la protagonista senza nome, che osserva da vicino, con accorata partecipazione, la propria vita e il matrimonio, per poi lasciare il posto al racconto in terza persona, laddove il distacco emotivo è necessario per prendere le distanze dalla storia e meglio comprenderla. Non più “io”, ma “la moglie”, insieme a “lui”, “il marito”, “la figlia”, e quella famiglia messa alla prova. Fino a ritrovare l’io finale, in una conclusione brevissima eppure estremamente intensa, dove le immagini evocate contano più delle parole, delle decisioni da prendere, perchè lì, in mezzo alla neve «il mondo è di una bellezza sospesa» ed è facile capire che cosa sia la felicità.
Un romanzo sperimentale e coinvolgente, che ha il sapore e a tratti l’impianto della short story: come la forma breve gioca con le parole e la tecnica narrativa, racconta il frammento, rinunciando all’universalità del romanzo per concentrarsi sul particolare, sul microcosmo rappresentato.
È ironico, doloroso, denso di sentimenti e citazioni. Di vita: imperfetta, straordinariamente ordinaria.
di Debora Lambruschini
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