La condizione femminile,
storie difficili che hanno per protagoniste donne, il dramma dell’immigrazione,
la violenza sulle donne. Storia di Irene è
un racconto che condensa, ancora una volta, i temi sopraccitati attraverso una
narrazione ricca di pathos e di attuale veridicità.
Irene è poco più che una
ragazzina; inconsapevolmente cresciuta troppo in fretta affronta già una
gravidanza precoce. È una “donna di mare" che odora di sale e di ricci marini.
Ha frequentato poco la scuola imparando a leggere, ma non sa scrivere. Sulla
spiaggia di Flores, in un angolo quasi sperduto delle isole greche, in
un’insenatura dove il mare s’infila per
riposo dalla spinta del vento, avviene lo strano incontro con
l’interlocutore-scrittore. Con lui la ragazza si confida, non ha ancora
compreso chi gli sta di fronte, forse un cantastorie, ma ha intuito che la sta
ad ascoltare e che sa comprendere ogni sua parola, ogni suo gesto. Il racconto
della sua breve vita si anima grazie ad una sensorialità gestuale predominante
nel dialogo a due. Fa da sfondo, a questo incontro, l’immensità del mare con i
suoi puntini illuminati, il cielo sgombero
di nuvole, l’odore di salmastro e di barca da pesca.
L’infanzia di Irene non è
stato un periodo fanciullesco gioioso; la bambina cresciuta in fretta, non ha
avuto spazio per il gioco, mungeva le capre, dormiva sopra una semplice stuoia
in cucina, pescava nuotando agilmente. Ed ecco che affiorano i tasselli di vita
dell’interlocutore; ascoltando la storia di Irene egli rivede i momenti differenti
della sua crescita, ricorda tutta l’educazione e l’istruzione ricevuta a
scuola. I due mondi sono distanti…, molto. Ma si crea un curioso fluido tra i
due, come tra i delfini. Irene comprende la lingua di questi splendidi animali
marini e ripete che la lingua
funziona anche con lui.
Le chiedo in che posto farà nascere (il bambino). In mare. E per aiuto? Tutto l’aiuto del mare. La guardo: Irene ha la schiena piegata in avanti, si vedono le costole a mantice su e giù. Allora aspetto la storia di Irene, le dico. Prima devo vederla uscita fuori da qui. E si batte di nuovo la pelle di tamburo. Le crederò. Mia madre protestava: “Non credi al creatore dell’universo e dai retta a chi ti racconta una storia”. E commentava il mio silenzio: “ Che accidenti è successo alle persone? Erano credenti di una fede, poi sono diventate credulone di oroscopi, indovini, lotterie”. È così le dicevo, però per credere a una storia devo pure credere alla voce, agli occhi che la pescano svariando nel ricordo, ai piedi che non possono mentire.[1]
Irene parla un linguaggio
strano…le sue frasi non usano la
congiunzione, la scrittura sacra la mette a inizio frase, le consonanti sono la
materia e le vocali sono invece acqua, luce, aria, il soffio dell’ossigeno
dentro la sostanza minerale. Conosce tutto del mare, colori, suoni,
armonie…è lei stessa un’armonica a fiato, osserva le voci marine che
l’affascinano al mattino e al tramonto. Escono le murene dagli scogli, che si
muovono agilmente e Irene sorride quando vede spuntare tra le onde i delfini. Loro conoscono le intenzioni, i pensieri
cattivi e quelli buoni in testa ai pescatori e scherzano con le onde sonore che
non si possono sentire. Con quelle guardano dentro il corpo.
Anche gli uomini di mare
amano raccontare della loro vita, ma Irene è diversa. Non condivide il pensiero
delle altre donne che amano incontrarsi, parlare in un luogo in cui sanno che
non verranno interrotte. Le donne sono
un’isola. Irene non ha posto tra loro e neanche tra gli uomini. È destinata
a rimanere sola, è ingenuamente forte, il mare è la sua casa, la sua terra, il
posto dove si sente libera. Il suo corpo è in grado di spostare l’acqua come
una prua. Dolce e agile, è una creatura delle onde. Il mare le riempie gli
organi, il cuore, il cervello, i polmoni e nuota come fosse in un paradiso
marino accompagnata dai suoi delfini.
Il racconto di Irene
rievoca allo scrittore il proprio passato in cui trovano spazio gli
innumerevoli viaggi: in America, in Africa, in Tanzania… paesaggi, musiche, gridi,
richiami, fruscii, lingue, culture, tradizioni e tante altre storie… percorsi
irti di difficoltà, “carovane” di popoli in costante migrazione, porti da cui
le navi partono ininterrottamente cariche di gente, che ha come ultima ancora verde ciò che ci si aspetta di
trovare al di là dell’oceano o del mare a noi più vicino, isole ancoraggio che
si mescolano al blu marino. Il mare è osservato come culla materna, come
scroscio di vita vissuta, come padrone della vita di ognuno dei pescatori, come
fratello o sorella, padre o madre, amico o nemico, ma sempre compagno fedele,
per Irene, dei suoi segreti più intimi.
Il suo bambino nascerà
tra le onde, accanto ad una grotta, in un girotondo di emozioni.
Nell’acqua più limpida e generosa, lei
solleverà la sua creatura in modo naturale come la natura vuole, lontana dalle
barche dei pescatori, distante da chi non sa cosa significhi essere padre, ma
vicina ai riflessi dell’acqua, che paiono stelle
cadute a mare, dentro il proprio mondo, circondata, ancora una volta, dai
suoi amati delfini.
Irene entra in mare anche quando sbatte forte, cavalcato dal vento. In quella notte i delfini raggiungono una grotta. […] Una corrente d’aria scende a cascata da un’apertura invisibile. La grotta si riempie di onde sonore, vibra come un organo. I delfini giocano a chi manda (ora) il segnale più forte…[2]