di Nikolàj Leskóv
Traduzione e cura di Paolo Nori
Marcos y Marcos
2016
pp. 256
€ 13 (cartaceo)
Chi è il 'giusto' a cui Nikolàj Leskóv (1831-1895) nella sua opera narrativa dedica una ricca e variegata galleria di ritratti leggendari? Walter Benjamin, acuto lettore dello scrittore russo, nelle sue Considerazioni sull'opera di Nikolàj Leskóv (che si legge in Angelus Novus), sembra avere le idee piuttosto chiare: "raramente un asceta, quasi sempre un uomo semplice e attivo, che diventa santo, a quanto pare, nel modo più naturale del mondo. L'esaltazione mistica non è affare di Leskóv. [...] Il suo modello è l'uomo che sa orientarsi sulla terra senza impegnarsi troppo a fondo in essa".
Di questo identikit Paolo Nori, affermato scrittore nel panorama letterario italiano contemporaneo, sceglie tre diverse realizzazioni narrative che traduce e cura editorialmente per i tipi di Marcos y Marcos. I tre giusti del titolo fanno riferimento infatti ai protagonisti di altrettante storie di Leskóv più o meno note al pubblico italiano.
Ne L'angelo sigillato, del 1872, una cooperativa errabonda di artigiani e costruttori si stabilisce temporaneamente sulle rive del fiume Dnepr per costruire un grande ponte. Prerogativa di questa comunità di "antichi credenti" è una fede pura e primigenia, in antitesi con la gerarchia ufficiale della chiesa ortodossa, alimentata dalla venerazione per delle icone sacre che portano sempre in viaggio con loro, tra le quali spicca, anche per la pregevole fattura estetica, quella di un angelo con poteri miracolosi. Proprio attorno a questa icona, che a un certo punto verrà sequestrata e 'sfigurata' con un sigillo dalle autorità ecclesiastiche locali, ruota una trama costruita su una serie di peripezie e di eventi sorprendenti di matrice divina; un intreccio che focalizza nello scontro tra l'antica fede e il credo ufficiale il tema portante della storia.
Che sia una parabola allegorica, il lettore lo intuisce con nitore nell'episodio centrale in cui il narratore con il compagno Levóntij, alla ricerca dell'isografo Sevast'jàn, si imbattono nell'anacoreta (ma legato alla fede ufficiale) Pamva, il quale così profetizza al narratore (e al lettore): "Non vantarti della verità se non vuoi che l'angelo ti abbandoni. [...] Ecco l'angelo! Vive nell'anima umana, sigillato da una vana sapienza, ma l'amore spezzerà il sigillo...".
Infatti, dopo un epilogo che Leskóv lascia volontariamente sospeso tra una spiegazione razionale degli eventi e un'aura soprannaturale, il narratore conclude la parabola con l'immancabile insegnamento morale tipico del genere favolistico popolare: "ciascuno giudica secondo la propria fede e per noi non è importante per quali strade il signore trovi i suoi uomini e da quale calice beva purché li trovi e plachi la sua sete di concordia con la patria".
A proposito della sonata a Kreutzer, racconto scritto nel 1890 e pubblicato solo postumo nove anni dopo, propone un'altra tipologia di 'giusto', lontana dall'ambito meramente religioso del primo racconto. La citazione che accompagna questa storia, tratta dalla famosa opera di Tolstój, giustifica la scelta del titolo che in una prima versione richiamava invece, in maniera più immediata in relazione alla trama, l'altro grande mostro sacro della letteratura russa ottocentesca: Dostoévskij. Proprio il giorno del funerale dell'autore di Delitto e castigo si apre il racconto, quando il narratore riceve la visita di una sconosciuta e misteriosa donna che non vuole rivelare la sua identità. Il motivo di tanta enigmaticità ha origine nella storia di adulterio che la donna confida al narratore nella speranza di ricavarne un consiglio. Solo qualche anno più tardi, quando quest'ultimo la riconoscerà in una inquieta signora in villeggiatura con la famiglia, la vicenda virerà verso un drammatico finale. Che anche in questo caso rimane aperto alla capacità del lettore di discernere i lineamenti del 'giusto' nel fango (non solo metaforico, come si vedrà leggendo il racconto) dell'infinita complessità della vita reale.
Più classico appare invece l'intreccio dell'ultimo racconto, L'uomo di sentinella (1887), che attualizza, trasportandolo alla realtà militare della Russia di fine Ottocento, il dissidio tragico tra il dovere 'umano' e quello derivante da una responsabilità pubblica. Il soldato Póstnikov, il giusto di questa storia, contravvenendo al suo dovere di sentinella del palazzo dello zar, abbandona - seppure per pochi istanti - la sua postazione di guardia per salvare un uomo che stava annegando nelle fredde acque della Nevà. Questa azione di una giustizia esemplare, lungi dall'essere valutata come naturalmente si dovrebbe, metterà invece in moto una grottesca serie di eventi in cui Leskóv non manca di ridicolizzare, denunciandola, la stolta e in fondo disumana burocrazia politico-militare russa.
Comune denominatore di questi tre racconti, oltre alla già rilevata peculiarità dei protagonisti, è, in effetti, a ben osservare, il contrasto che sorge tra il "giusto" di turno e la realtà storica e sociale in cui esso agisce. Non è un caso allora, come ci ricorda nella nota finale Paolo Nori, che questa produzione letteraria di Leskóv (in russo skaz) attinga a piene mani dal patrimonio popolare russo della narrazione favolistica, e che anzi, in una zona di confluenza tra l'elemento reale e quello più marcatamente fantastico, trovi il proprio punto di forza. Come a ribadire narrativamente che l'esistenza e la realtà di un giusto si svolge in un crinale non sempre distinguibile tra un mondo ideale e quello storico.
Pietro Russo