Zephiro torna, e 'l bel tempo rimena,
E i fiori, et l'erbe, sua dolce famiglia,
Et garrir Progne, et pianger Philomena,
Et primavera candida et vermiglia.
Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena.
Giove s'allegra di mirar sua figlia.
L'aria, et l'acqua, et la terra è d'amor piena.
Ogni animal d'amar si riconsiglia.
Ma per me lasso tornano i più gravi
Sospiri, che del cor profondo tragge
Quella ch'al ciel se ne portò le chiavi.
Et cantar augelletti, et fiorir piagge,
E 'n belle donne honeste atti soavi
Sono un deserto, et fere aspre, et selvagge.
(F. Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CCCX, ed. critica di Giuseppe Savoca, Olschki, 2008)
Rinascono la valentia
e la grazia.
Non importa in che forme - una partita
di calcio tra prigionieri:
specie in quello
laggiù che gioca all'ala.
O tu così leggera e rapida sui prati
ombra che si dilunga
nel tramonto tenace.
Si torce, fiamma a lungo sul finire
un incolore giorno. E come sfuma
chimerica ormai la tua corsa
grandeggia in me
amaro sulla scia.
Sainte-Barbe du Thélat, maggio 1944
(V. Sereni, da Diario d'Algeria, in Id., Poesie e prose, a c. di Giulia Raboni, Mondadori, 2013)
"Non importa in che forme", ci dice Vittorio Sereni dal campo di prigionia algerino, così distante dal 'locus amoenus' che fa da sfondo alla "dolceamara" vicenda amorosa del Canzoniere petrarchesco. Il soffio di "Zephiro", mite vento che accarezza i volti amati come i prati e le ombre, oltrepassa tutte le coordinate spaziotemporali per ricordarci che sì, la primavera ritorna ogni volta, e con essa la speranza di un tempo che allevia le pene umane. Una rinascita piena nella "grazia", della natura circostante o di una partita di pallone. Perché anche il più piccolo dettaglio quotidiano, nel segno di Zephiro, "grandeggia" in noi appena (ri)nati e di nuovi aperti ai fiori della vita.
Pietro Russo