Commedia all'italiana
di Maurizio Grande
Bulzoni, 2002
pp. 280
€ 22
di Maurizio Grande
Bulzoni, 2002
pp. 280
€ 22
Commedia
all’italiana è una definizione
coniata dai nostri cugini francesi sul calco del film Divorzio all’italiana del 1961. Maurizio Grande in questo saggio la
ricostruisce e la scompone, a partire dal modo in cui essa ha saputo inserirsi tra
i macrogeneri della commedia e del realismo, dando così forma a una produzione
eterogenea e composita posta tra la fine degli anni ’50 e la prima metà degli
anni ’70 del secolo scorso.
Si potrebbe circoscrivere nascita e fine della commedia all’italiana al 1958 con I soliti ignoti e ad Amici miei del 1975, curiosamente
diretti entrambi da Mario Monicelli, uno di quei Mostri di una irripetibile generazione di registi, attori,
sceneggiatori italiani. Naturalmente la discussione su quali titoli si
candidino ad aprire e chiudere, potrebbe continuare all’infinito non inficiando
per questo la cornice temporale appena menzionata.
Il libro ci aiuta ad inquadrare e a squadernare i temi
principali presenti in queste opere e riguardanti principalmente lo scollamento
tra io e prestazioni sociali dettato dalla ripresa economica degli anni del Boom (altro titolo fondamentale), alla
luce di un rapidissimo cambiamento socio-culturale che investe un Paese
arretrato e impreparato a questo tipo di svolte repentine. L’italiano medio qui
raffigurato rimane spesso con un piede nella società adulta, in cui cerca
disperatamente di inserirsi senza averne i mezzi o la vocazione, e l’altro nel
limbo di un disadattamento-esclusione sul quale ricade la ragione principale
del meccanismo comico. Da Buster Keaton a Charlie Chaplin, da Totò ad Alberto
Sordi, infatti, fatte salve le ovvie macrodifferenze, il terreno comune è
proprio quello dei reiterati e patetici tentativi di essere come gli altri.
Secondo l’autore la
forma comica sancisce l’appartenenza alla società, così come la forma tragica
ne registra l’esclusione; il comico, quindi si può leggere come epopea dell’ingresso nella società
precostituita, come riconoscimento della legge dell’adattamento e come
assuefazione elastica alla mobilità del comportamento spesso contraddittorio e
sempre mascherato. Non siamo molto lontani dall’interpretazione freudiana
della collisione tra pulsioni dell’io ed esigenze di convivenza collettiva. I
temi dell’infedeltà coniugale e dell’adulterio, per esempio, vengono nella commedia all’italiana spesso tradotti e
dicotomizzati tra l’amore-eros delle pulsioni basiche individuali e
l’amore-matrimonio delle forme di vita associata, le quali richiedono una
rinuncia dell’io e un suo necessario quanto grottesco mascheramento per
ottenere l’inclusione nel corpo sociale.
Diviso in sezioni tematiche che vanno dal lontano cinema
italiano dei Telefoni bianchi negli
anni ’30, all’Epos capovolto della
commedia italiana dei ‘60, fino ai costruttori di maschere esemplificati da
Sordi, Totò e Tognazzi, il saggio di Maurizio Grande si offre come una lettura
approfondita e mai banale, suggestiva e accessibile a tutti, imprescindibile al
pubblico di appassionati che vogliano allungare lo sguardo su uno dei fenomeni
più rilevanti della cultura italiana del secondo ‘900.
Ma la dialettica del malessere collocata sul
tortuoso ingresso nella società adulta (e perciò stesso adulterata) non è
l’unico motivo portante del libro: i riferimenti a Frye, Lacan, Bachtin,
Bergson, Lukàcs ampliano il riverbero del comico
fino a portarlo sulle tracce di un discorso più esteso che lo vedrebbe come
lo stratagemma per evadere dalla realtà sociale e politica del proprio tempo,
attuata fin dai tempi della commedia attica e sintetizzata nei conflitti
familiari e consociativi che stanno alla base di ogni tipizzazione di commedia. In ciò la commedia all’italiana si allineerebbe in quanto requisitoria feroce e tenera sul
paesaggio-passaggio alla modernità e ai suoi gu(a)sti.
Si esce da questa
lettura con la netta sensazione che, in luogo di un disimpegno divertente,
comico, e da epos capovolto, i film
della grande stagione cinematografica italiana contengano in realtà una
metafora impietosa di disfatta umana e sociale, sebbene edulcorata da vicende
eroicomiche. Qui sta forse tutta la differenza con l’innocua e annacquata
commedia italica odierna, spesso non in grado di cogliere il portato emotivo e
culturale di un’epoca attraverso l’alchimia di sana cattiveria e di caricatura-deformazione
del reale che finisce poi col risultare più autentica del reale stesso.
I protagonisti della commedia italiana odierna (forse
specchio a loro volta di una società liquida,
che ha perso il senso dei perimetri, dissipato l’ordine simbolico di una
cornice morale, metabolizzato la mancata corrispondenza tra imperativi
categorici e significati fondativi) risultano sfilacciati e incongrui nel
raccontare i nostri tempi proprio perché manca loro non tanto l’aggancio al
presente e ai suoi assetti, quanto la capacità mimetica di rappresentarlo a
partire dalle sue – comiche? - (s)torture.
Destino di maschera e di eroe popolare, ritratto di
vizi e deformità, schedario di costume e bozzetto di nuovi soggetti sociali
emergenti, il film italiano leggero degli
anni ’50 e ’60 in verità enuncia una descrizione impietosa della nuova realtà
che va consolidandosi: quella dell’elogio della furbizia, della poetica della
mediocrità, dello smarrimento esistenziale e morale, della crisi dei valori di
riferimento relativi a una società che cambia troppo in fretta e che si
dimostra impreparata e inadeguata di fronte al nuovo che avanza, del ricorso a strategie apparentemente vincenti
che mascherano l’incapacità, l’inettitudine e il fallimento di individui
meschini e gretti, intrappolati nel meccanismo dell’adattabilità ad ogni costo,
incapaci di sottrarsi al tracollo economico e sentimentale.
Questo, sostanzialmente, l’asse portante di pellicole
nelle quali la fluidità di ripresa, il senso del ritmo, del dialogo, dei tempi
comici, le sceneggiature e i copioni elaborati da scritture capaci, solide,
professionali, rappresentavano poi un valore aggiunto.
Il tracciato del comico, secondo Maurizio Grande,
s’inserisce sempre sul tragico, e a partire da quest’assunto l’autore asserisce
che la commedia all’italiana si può
leggere come una forma estetica che si
interroga sul malessere del soggetto contemporaneo e sulle strutture profonde
del comico; sui rapporti fra catastrofe della storia e fallimento
dell’individuo, tra epos piccolo-borghese del successo e soggetto avido e
millantatore, addomesticato anche quando si finge ribelle e indipendente.
Il libro si apre con una puntuale prefazione di Orio
Caldiron che spiega come il volume, nato da un progetto editoriale concordato
con lo stesso autore sin dal 1995, sia una riproposta di due testi in
precedenza pubblicati dal compianto Maurizio Grande: Il cinema di Saturno. Commedia e malinconia (1992); Abiti nuziali e biglietti di banca. La
società della commedia nel cinema italiano (1986), dal quale sono state eliminate
alcune parti.